(La fabbrica degli
imballaggi)
Il miracolo si era compiuto.
Dopo l'inaugurazione della SIV da parte del Presidente del
Consiglio On. Aldo Moro, San Salvo si accingeva a
diventare una piccola Milano del sud.
Molti suoi figli che erano emigrati nel nord Italia,
proprio a Milano, decisero di tornare.
Fra questi ricordo con affetto il mio amico Tonino Longhi,
che nel '54, all'età di soli 17 anni, era emigrato a
Milano insieme a tanti suoi coetanei. Nonostante fosse il
mio miglior amico, era restio a raccontarmi la sua storia
di emigrante, che mi raccontò una sola volta di sfuggita,
per caso, mentre discorrevamo in auto. Partito falegname,
dopo un periodo in cui si mise a fare il venditore
ambulante, girando mezza Europa, fece ritorno a Milano,
aprendo in società, con un'amica, un laboratorio con una
ventina di dipendenti, che produceva scarpine da ballerina
(le rock and roll) ed altri oggetti con materiali tessili
moderni. Nel '67 abbandonò tutto e fece ritorno a San
Salvo, andandosene a lavorare alla SIV.
Era quello il periodo in cui la SIV assumeva
quotidianamente centinaia di operai ed impiegati. Vi
trovarono lavoro molti giovani del comprensorio che
avevano conseguito il diploma a Vasto. L'arrivo della SIV
j cascave a fasciole (cadeva loro a fagiolo).
Appena diplomati vennero assunti immediatamente,
un'opportunità inimmaginabile quando iniziarono gli studi.
Ma non tutti avevano studiato.
L'analfabetismo, e non solo a San Salvo, era ancora molto
diffuso. Una vera piaga sociale. Lo sapeva anche lo Stato.
Per questo motivo il Ministero della Pubblica Istruzione,
aveva incaricato la RAI, di mandare in onda, con cadenza
giornaliera, "Non è mai troppo tardi", un corso televisivo
di istruzione popolare per il recupero scolastico,
condotto dal maestro e pedagogo Alberto Manzi, che ne era
stato anche l'ideatore. Lo scopo era quello di di
insegnare a leggere e a scrivere agli italiani analfabeti,
che avevano superato l'età scolare.
Sopratutto alcuni operai, non più giovanissimi, assunti in
quel periodo, erano
alfabbéte (analfabeti), o
meglio "inalfabeti", così li definiva qualcuno che invece
sapeva fare appena la O con il bicchiere. Erano per lo più
persone che la politica aveva "ficcato" nell'industria,
nell'ambito di assunzioni clientelari che sono sempre
esistite, da che mondo è mondo.
La SIV, per istruirli, imitò la RAI. Chiamò il maestro
elementare Filippo Mariotti, originario di Torino di
Sangro, sposato con la sansalvese Maria Labrozzi, e gli
diede il compito di istruire, tramite corsi organizzati,
quella parte di operai che non sapeva né leggere e né
scrivere, in modo che imparassero almeno a leggere
cartelli ed insegne, come vietato l'ingresso, segnali di
pericolo, o semplici etichette come fragile, non
capovolgere, che venivano apposti sugli imballaggi.
Sì perchè il vetro prodotto, doveva essere imballato, per
poi essere spedito in treno, che arrivava sin dentro gli
stabilimenti, alle case automobilistiche che avevano
sottoscritto i contratti di acquisto dei parabrezza,
lunotti, cristalli laterali.
Il tracciato ferroviario,
oggi in disuso, che collegava la SIV con la
vecchia stazione ferroviaria di San Salvo per il
trasporto dei materiali e quant'altro produceva ed
occorreva allo stabilimento vetrario, prima
dell'avvento del trasporto su gomma.
La SIV che non produceva imballaggi, li acquistava
a
la fabbriche de le tavelàlle (la fabbrica delle
tavolette), così la chiamavano i sansalvesi, che fu la
prima piccola industria satellite all'ombra delle
ciminiere.
La vera ragione sociale dell' azienda era Bergia Legnami
di Aldo Bergia, una ditta del cuneese, che iniziò la
produzione degli imballaggi nel maggio '65, quando la SIV,
dopo l'accensione del primo forno a febbraio, iniziò a
produrre vetro a scala industriale. Le tavolette, invece,
altro non erano che i pezzetti di scarto del legname che
inevitabilmente si creavano durante la lavorazione.
Capannoni della Legnami
Bergia di Aldo Bergia
I sansalvesi chiamavano la
ditta Bergia di Aldo Bergia la fabbreche de le
tavelàlle perchè durante la lavorazione vi erano
molti scarti di legname di piccole dimensione, che
determinavano le tavelàlle (piccole tavole).
"
Addo' fateje?" (Dove lavori?) era la domanda.
"
A la fabbreche de le tavelàlle." Era la risposta.
La sua prima sede fu la vecchia distilleria a due passi
dal passaggio a livello, per poi spostarsi, dopo un breve
periodo, in affitto, ad un capannone
de la fabbreche
de le matunélle (della fabbrica delle mattonelle),
di proprietà di
Don Gilde (Ermenegildo) Aganippe,
da Pollutri, un bravo omone, dall'aspetto distinto, che
fece parte di quella prima schiera di pionieri industriali
che giunsero a San Salvo dopo la venuta della SIV.
Infatti fu quello il periodo dell'insediamento delle prime
fabbriche cosiddette satelliti, di supporto alla SIV,
anche se non tutte lo erano.
Oltre alla ditta Legnami Bergia di Aldo Bergia, subito
dopo vennero autorizzati
da lu nuclee 'ndustriale (dal
Nucleo Industriale), che era un consorzio tra i Comuni di
Vasto, San Salvo e Cupello, costituito a Vasto nel '62 e
di cui era Presidente l'Avv. Antonio Marcovecchio di
Cupello, altri piccoli opifici di supporto al colosso
vetrario, come la FALC (forse Fabbrica Accomandita Legnami
Cupellese), i cui proprietari erano cupellesi, che
produceva anch'essa imballaggi per il vetro oltre a
cassette per la frutta e roba simile,
la fabbreche de
lu jàsse (la Gessi San Salvo), che come si intuisce
dal nome stesso, produceva principalmente gessi per
edilizia e la I.CO.MI S.p.a., che lavorava minerali
necessari alla produzione del vetro, nella cui palazzina
custode abitava Umberto Ranalli, ex carabiniere in
servizio a Cupello, persona distinta ormai in pensione,
padre di Rita e Michele, ex geometra comunale, in quegli
anni terzino impenetrabile della neonata U.S. San Salvo.
Queste prime industrie vennero ubicate a fianco della SIV,
lato mare, in quanto l'area industriale, all'origine, era
limitata solo a quella zona.
Tornando
a la fabbreche de le tavelàlle, quella di
Aldo Bergia, restò in affitto da Aganippe per un breve
periodo, sino a quando non chiamarono dapprima
mastre
Nicole (Mastro Nicola), un muratore di Vasto, che
costruì i primi due capannoni, e poi
lu rumuane,
Giorgio La Rocca, il costruttore di Ostia, che realizzò il
terzo capannone e la pazzina uffici. La fabbrica era
ubicata lungo la strada per la stazione, a monte della
vecchia distilleria, a pochi passi dalla chiesetta della
Madonna di Fatima, dietro la quale si scorgeva maestosa la
sagoma dell' HOTEL CRISTALLO (ora RSA San Vitale),
struttura alberghiera di prim'ordine, che la SIV, si
diceva, aveva costruito per ospitare i dirigenti, tecnici
ed operai, in missione a San Salvo.
A dirigere "La Bergia Legnami di Aldo Bergia", oggi
"Bergia Legnami di Livio Bergia", arrivò sin da subito
Massimo Conte (1941), anch'egli cuneese, un giovane di
belle speranze, che fungeva da dirigente, coordinatore, un
po' tuttofare.
Giovanissimo venne colpito dalla bellezza di una ragazza
del luogo, Antonietta Marcello, che nel '67 condusse
all'altare. Prima di farlo, però, pare dovette fare i
"conti" dapprima con la mentalità paesana, sospettosa a
dare le proprie figlie in sposa
a nu frastìre de fore
(ad un forestiero di fuori, che veniva da lontano) e poi
con Don Cirillo Piovesan, il prete, che non si sa come
venne a conoscenza del colpo di fulmine tra i due ragazzi
ed indispettito lo chiamò facendogli intendere che qui da
noi con le ragazze era un po' diverso dal nord Italia, da
cui anch'egli proveniva, essendo veneto di Mussolente
(VI). Anche questo facevano a quei tempi i preti.
A queste prime industrie satelliti sono legati molti
ricordi di giovani sansalvese.
Lì,
a la fabbreche de le tavelàlle, così come alla
Centrale del gas di Montalfano, d'estate, quando si
chiudevano le scuole, si "giocavano" le vacanze molti
studenti locali, che invece di andare al mare, sotto un
caldo afoso, si recavano in bicicletta o in motoretta, per
chi l'aveva, per buscarsi qualche lira, che significava
tanto.
Ricordo quando da ragazzo, d'estate, ci passavo dinanzi in
bicicletta, per andare al mare.
Era come in un film.
Pedalando tra le margherite sbocciate lungo il ciglio
della strada, in poche centinaia di metri, si udiva alla
SIV un sibilo perpetuo, simile ad un aereo pronto al
decollo, si passava poi in un paesaggio lunare causato
dalle polveri della ICOMI, ci si immergeva subito dopo in
un prato innevato
de la fabbreche de lu jàsse, e
giunti
a la fabbrecehe de le tavelàlle (alla
Bergia Legnami)
adduráve di segatiure (profumava
di segatura).
Nessuno ci faceva caso.
Erano nuovi paesaggi ed il profumo del progresso.
Era come in un film.
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