Capitolo XXXIII
LA NASCITA DELLA VILLA COMUNALE
e la posa della fontana
Il geom. Orsaletti della
ditta Antonio Guidi di Bologna, incaricata di eseguire i
primi lavori di sbancamento del terreno della SIV, era
disperato: non sapeva dove andare a scaricare tutto quel
terreno di risulta.
Mimì Napolitano, che con i suoi camion partecipava ai
lavori di sbancamento, ne parlò per puro caso con Virgilio
Cilli, il quale, solito ad idee geniali, subito trovò una
soluzione: con quel terreno si poteva riempire il vallone
che partiva
da lu Calevarie (dal Calvario) ed
arrivava
a le cenghe cerche (cinque quercie
secolari) che erano ubicate a valle, zona in cui oggi
sorge il teatro comunale, dove sempre su idea di Virgilio,
dopo lavori di una cava per prendere breccioline, vi era
stato realizzato qualche anno prima " La Fossa dei Leoni",
così chiamato dai sansalvese, un campo sportivo interrato,
con spalti naturali in terra scoscesa, che aveva il
terrreno di gioco ad un dislivello di 5 - 6 metri di
profondità.
Ma perchè riempire quel vallone, rinunciando a quel campo
sportivo, da poco realizzato, l'unico esistente in quel
periodo, dopo che i giovani sansalvesi avevano potuto
riassaporare, dopo anni, il gioco del calcio, essendo
stato il penultimo terreno di gioco, in C.so Garibaldi,
spaccato in due dal passaggio di Via Montegrappa, ancora
brecciata?
L'idea che balenò istantaneamente nella mente di Virgilio
fu quella che il campo sportivo lo si poteva rifare, e
questa volta bene, in un altro luogo. Lì invece, a ridosso
del Calvario, a due passi dal centro, ci si poteva
realizzare, una volta colmato il dislivello, una villa
comunale.
A dire il vero, non è che mancasse il verde a San Salvo.
Il paese era immerso nella campagna, e qualche bel
giardino privato vi era pure, ma una villa comunale vera e
propria mancava.
C'era il giardinetto del Monumento ai Caduti, tra l'altro
chiuso al pubblico e recintato con una lunga inferriata
con lance appuntite, che lo stesso Virgilio aveva
contribuito a realizzare, a mano, quando ancora ragazzino,
andava
a lu mastre (ad apprendere un mestiere) da
Mastr'Angelo De Felice, noto fabbro sansalvese. Poi
c'erano il giardino privato di Don Gaetano de Vito in C.so
Umberto, dietro al quale solo qualche anno prima, stave
le
ménnele de Don Caddane (i mandorli di Don
Gaetano) ed iniziava la campagna; quello più piccolo di
Do'
Ureste (Don Oreste Artese, farmacista ed ex Podestà)
in C.so Garibaldi; quello della famiglia Granata dopo la
vecchia caserma dei carabinieri, dove terminava
l'agglomerato urbano e qualche altro spazio privato
adibito ad orto da qualche altro benestante, ma un
giardino pubblico, aperto a tutti, come nella vicina
Vasto, mancava.
Virgilio, che quando si ficcava qualcosa in testa, era
difficile togliergliela, non perse tempo e tramite Mimì
Napolitano, all'insaputa di tutti, si mise in contatto con
il geom. Orsaletti, fissando con lui un appuntamento.
Si incontrarono al Calvario.
Virgilio gli mostrò il vallone, dicendogli: "Lo possiamo
riempire tutto".
Il geom. Orsaletti, rimase sbigottito. Occorrevano
centinaia di viaggi di camion per riempirlo interamente.
Nonostante fosse con il terreno alla ”gola”, disse a
Virgilio che quel luogo faceva al caso suo, ma che vi
sarebbe stato un aggravio di costi per il trasporto del
terreno, originariamente non preventivati, chiedendogli
500 mila lire per contribuire alle spese.
Per nulla avvilito dall'inaspettata richiesta di denaro,
Virgilio gli rispose:"Va bene. Prima però devo parlarne
con il Sindaco", che all'epoca era
Do' Lelle,
Vitale Artese.
“
Ma vede la ve’ ca’ da fa ! Tu si màtte!" (Ma vedi
che strada devi prendere! Tu sei matto), gli rispose
Do'
Lelle, ritenendo l'impresa impossibile. "E poi come
giustificheremo in Consiglio Comunale la spesa a carico
nostro per il trasporto del terreno?", concluse.
"
Do Le'!", gli disse Virgilio, "
Tu nde ne
'ncareca'! Démme ca zi po fa! Li so' li faciame ascie'!"(Tu
dimmi che posso procedere. I soldi li faremo uscire).
L’idea di Virgilio, nonostante le iniziali titubanze di
Artese, andò in porto.
Decine di camion cominciarono a transitare per giorni e
giorni in Via Roma ed ogni giorno che passava, come
ricorda Virgilio, "
a èlle z'argnéve, z'argnéve" (il
fosso si riempiva).
Via Roma era diventata una "polveriera", nel senso di
polvere e di rabbia da parte degli abitanti
de lu
quart'abballe.
"
Ma che va truvuenne stu dusgrazijete!" (Ma cosa va
cercando questo disgraziato), iniziarono a protestare le
donne. "
A écche 'nze po' spánne chiù le pènne!"
(Qua è diventato difficoltoso anche stendere il bucato al
sole), fu la reazione di molte casalinghe inviperite
contro Virgilio, che come suo solito fungeva anche da
direttore dei lavori.
Alla fine il fosso si riempì.
Cosi scrive in merito mio padre, Evaristo Sparvieri, in
uno dei suoi rari articoli scritti per un giornalino
locale, quando non esistevano i social e tutto lo si
apprendeva per tramite la carta stampata:
"Imitando lo
stile dei versi iniziali de “La quercia caduta” del
Poeta Giovanni Pascoli, osiamo dire: “Dov’ era il fosso,
or sè la Villa spande altera".
Tornando alla nostra storia, per un breve periodo, dopo il
riempimento del vallone, su quel terreno venne realizzato
un nuovo campo sportivo, in leggera pendenza, con una
porta in direzione della scuola media e l’altra verso S.da
Istonia.
Ricordo un episodio in quel campo sportivo. Era la festa
di San Vitale e si disputò una specie di partita
inaugurale tra i reduci della vecchia Tenax, squadra
locale, e la squadra del Cupello. I bordi del campo,
delimitati con il gesso, erano ricolmi di tifosi locali.
Ad assistere alla partita vi era tutta San Salvo, donne
escluse. Io, ancora bambino, ero lì con mio padre ed
insieme a lui vi era il Sindaco pro-tempore Vitale
Piscicelli. All'epoca non era come si usa oggi in cui il
Sindaco indossa la fascia tricolore anche quando a momenti
va al bagno. All'epoca la si indossava, non a tracolla ma
alla cinta, solo quando il primo cittadino rivestiva la
carica di Ufficiale di Governo (es. un raro matrimonio
civile) o in qualche altra funzione istituzionale
importante e quindi, il Sindaco, mischiato tra il
pubblico, aveva semplicemente sembianze umane.
Orbene, anche se sarebbe meglio dire "ormale", inizia la
partita. Una partita infuocata. Il Cupello, che era una
squadra forte, annoverava tra le sue fila un
centrocampista di nome Bellano Antonio, degno di
palcoscenici migliori. Noi contrapponevamo il nostro
funambolico Michele Molino, un fuoriclasse dell'epoca, una
specie di antesignano CR7 locale e 'Ndonie De Narde
(Antonio Di Nardo), un roccioso ed ormai attempato terzino
della prima Tenax, che conobbi quel giorno in quanto era
appena tornato dall'Australia, dove era temporaneamente
emigrato (era il padre di Rosanna del Risto-bar La Sfinge,
di Vincenzo e Franco, quest'ultimi figli d'arte in campo
calcistico). In porta c'era Erminie (Erminio Del
Casale), l'ex vigile urbano, un acrobatico e spettacolare
portiere, che zumpave gne' nu grélle (capace di
compiere salti acrobatici come un grillo).
"Ue' Uaj'! Ne ve prehuccupate" (Ehi ragazzi non vi
preoccupate), aveva detto al mattino Tonino Pacchioli,
centravanti e capitano della vecchia Tenax, mentre
disegnavano gli stessi ragazzi il campo con il gesso. "A
Bellane le faciàme marca' da 'Ntonie De Narde. Addo' vo
je'!" (A Bellano lo faremo marcare da Antonio Di
Nardo. Riusciremo a bloccarlo).
Fatto sta, che nonostante Molino e 'Ndonie De Narde,
i reduci della vecchia Tenax, con qualche innesto di nuove
leve, non riuscivano a prendere il pallino del gioco.
Bisogna premettere che nel '63 eravamo agli inizi
dell'epoca beat e molti ragazzi iniziavano a portare i
capelli lunghi, che al Sindaco Piscicelli, non erano
affatto graditi. Erano per lui quasi un'ossessione.
Ricordo che vi era un'ala del Cupello, con i capelli
lunghissimi, velocissimo: una vera spina nel fianco della
difesa locale: volava su e giù per la fascia sinistra del
campo con i capelli svolazzanti. Non si riusciva proprio a
fermarlo.
Il tifo era salito alle stelle: incoraggiamenti, sfottò
contro gli avversari.
Il Sindaco Piscicelli, una persona mite ed educata, ne
rimase anch'egli contagiato da quel clima calcistico
rovente. Ad ogni passaggio del capellone lo apostrofava ad
alta voce: "Vatte a táje 'sse capélle ca' fi schéfe"
(Vai tagliarti i capelli che fai schifo).
E come si dice a San Salvo e
na vo'... e diue... e trà
(e una volta e due e tre), il calciatore cupellese
sbottò. Si fermò' un istante e rivolgendosi al
Sindaco esclamò in dialetto cupellese: "
Mavaffangule
cami'!" (Ma vattene all'altro paese cammina!),
lasciando di stucco il povero Piscicelli, che divenne un
po' rosso per l'inaspettato invito.
Fu un vaffa ben assestato, come spesso sarebbe stato
opportuno dire anche a qualche altro Sindaco successivo e
che invece
z'è tenìute 'ncúrpe (è mancato il
coraggio di dirglielo ad alta voce, tenendoselo dentro).
Tornando alla partita il risultato finale fu San Salvo 3
Cupello 2, con vittoria dei locali in rimonta.
Tornando alla villa comunale, il campo sportivo cessò di
esistere quando piantarono gli alberelli. Ricordo il
giorno che iniziarono a piantarli. Avevo all'incirca
dieci, undici anni. Chiesi a mio padre: “Quanto tempo ci
vorrà prima che crescano:” Lui mi rispose:”Qualche decina
d’anni”. Compresi che sarei diventato maggiorenne prima di
vederli rigogliosi.
Dal riempimento del vallone ne trassero vantaggio, qualche
anno dopo, anche gli studenti della Scuola Media, che per
andare a scuola, invece di andare a fare il giro in IV
Vico Cavour, che era l'unico ed originario ingresso dal
recinto, iniziarono ad accedervi anche dalla Via Istonia,
percorrendo una strada inizialmente brecciata sino al
palazzo scolastico.
Da sinistra i compianti
Miccheline de Remmecchéle (Michele De Francesco)
e Umberto Di Biase, insieme a Felice C'est bon
(Felice Tomeo), miei compagni di scuola, ritratti
nella strada ancora brecciata della neonata villa
comunale, prima di entrare in classe nella
Scuola Media - Foto di Umberto Di Biase.
LA POSA DELLA FONTANA
Ma una nuova e piacevolissima sorpesa era in arrivo.
Un bel giorno un gruppo di operai di una ditta
specializzata del nord Italia iniziò a lavorare nella
neonata villa, a due passi dal Calvario. Attorniati da
adulti e bambini curiosi, iniziarono a realizzare un
qualcosa che giorno dopo giorno assumeva sempre più
l'aspetto di grande una fontana, di forma esadecagonale.
Sino ad allora di fontane conoscevamo solo quella
ornamentale, con unico zampillo, giorni si e giorni no,
del giardinetto al Monumento ai Caduti e le fontanelle
potabili, sparse in punti precisi del paese, installate
qualche decennio prima, dopo la realizzazione del primo
acquedotto che avevano portato l'acqua sin dentro le case.
Vi erano poi le fonti per abbeverare gli animali: la
"fànta
vicchie" (la vecchia fontana) in Via Fontana; quella
a la ve' de Sandrocche, attuale Via Fontana Nuova,
alla periferia del paese; qualche altra in campagna in
C.da Sant'Antonio ed un'altra sotto la Chiesetta di San
Rocco, che erano poco più di abbeveratoi per animali.
Una fontana moderna, per altro luminosa, non solo nessuno
se la sognava, ma era anche inimmaginabile per i tempi che
erano.
La curiosità intorno agli operai diveniva sempre più
costante, man mano che l'opera d'arte prendeva forma.
Ed una sera d'estate la strabiliante sorpresa. I tecnici
attesero il buio per mostrare a pochi astanti ed agli
amministratori comunali, la fontana ultimata.
C'ero anch'io, naturalmente sempre insieme a mio padre.
Sembrava di vedere un disco volante, atterrato da chissà
dove.
All'improvviso centinaia di zampilli, luminosi e colorati,
iniziarono a spruzzare in alto, squarciando il buio della
notte, mentre lo scroscio dell'acqua, che ricadeva nella
fontana, creava come un mormorio di cascata, dando voce ad
un silenzio serale interrotto sino ad allora solo dal
canto dei grilli, a cui eravamo abituati.
La fontana era costituita da due condotte circolari e da
un' altra centrale. Dalle due circolari fuoriuscivano,
nella prima, verso l'interno della vasca, zampilli a forma
di cupola, mentre dalla seconda, verso l'esterno,
disegnavano come un vassoio, o meglio una ciotola
d'argento, che offriva i suoi zampilli ai meravigliati
astanti. Dalla condotta centrale partiva maestoso un
soffio d'acqua gigante, alto all'incirca tre metri, il
tutto cangiante di rosso, di giallo, bianco e azzurro.
Quella fontana, di cui una quasi simile venne installata
qualche tempo dopo sul lungomare di Pescara, visibile da
Piazza Salotto, rese tutti felici.
Tutti a farsi fotografare con la fontana zampillante alle
spalle.
Divenne la gioia dei bambini ed adulti.
Un orgoglio per il paese.
Divenne il simbolo di una nuova era, di una nuova pagina
di storia, che era ormai alle porte.
NOTE:
- Nel giardinetto del
Monumento ai Caduti, durante la guerra, negli ultimi
mesi del '43 vennero sepolti i corpi di alcuni
soldati tedeschi, deceduti a San Salvo. Vi restarono
sino a quando, nei primi anni del dopoguerra,
vennero a riprenderli i familiari per riportarli in
Germania (fonte Tonino Longhi).
- Lu quart'abballe era tutta la zona
andando in giù dall'attuale Piazza Papa Giovanni
XXIII, per l'esattezza da Via Fermi, sino al
Calvario, mentre lu quart'ammànte quella che
ripartendo sempre da Piazza Giovanni XXIII arrivava
sino a lu Termine, cioè alla fine di C.so Garibaldi.
C'erano anche altre zone come la Fànte (Via
Fontana), lu Trafore (Il traforo che
raccoglieva acqua piovana proveniente da C.so
Garibaldi), con il suo imponente muraglione alto una
decina di metri, oggi arbelate
(ricoperto di terra) in via Savoia, Le'Mburze (la
zona di Via Orientale, verso Via Trignina),
Lu térmene (il termine), così
denominata perche c'era un segnale stradale, e c'è
ancora, della vecchia S.P. Trignina, la
vecchia via di Palmoli, un blocco di di pietra che
segnava Km. 6 dal passaggio a livello (un altro
blocco della S.P. Trignina era proprio dinanzi alla
farmacia Di Croce che indicava Km.5). Vi erano poi
altre zone e quartieri, a volte denominati con i
cognomi dei suoi abitanti, come ad esempio a
Recciárde (famiglia Ricciardi) che coincideva
con la zona del termine, a la
Jnnarille (2° vico Umberto I), a lu puànte
de le casuluéne (zona di Padre Pio abitata
dai casolani), a le casuluene (zone in cui vi
erano altri insediamenti dei casolani) e
tante altre contrade che potrete appronfondire
meglio cliccando
qui.
Si
ringrazia il dr. Peppino Romondio per le splendide foto
cartoline mostrate nel racconto.
pag. 33