(L'altro mare)
Come scrive Michele Molino, il
veterano tra i giornalisti locali, pare che Giuseppe
Garibaldi, durante il suo breve soggiorno a San Salvo,
inseguito dai francesi, che lo braccavano dopo la caduta della
Repubblica Romana del 1849, riprese la fuga e, percorrendo la
“
Ve’ di Náscie”, arrivò alla foce del torrente
Buonanotte, dove era atteso da alcuni amici, i quali, a bordo
di un bragozzo da pesca, lo imbarcarono insieme ad Anita per
condurli in terra marchigiana, prima di proseguire verso San
Marino.
Sarà storia o leggenda popolare, tramandata da taluni anziani?
Come ho avuto modo di scrivere in merito, anche se i libri di
scuola scrivono di tutt'altro tragitto, molte volte il confine
tra la storia e la leggenda è separato da una linea molto
tenue, valicabile ed invalicabile, che l’oblio del tempo rende
mistero.
Ciò che invece non è mistero è che la “
Ve’ de Náscie”,
come scrive sempre Michele Molino, intorno agli anni ‘30 , era
percorsa da
zì Jnnàrë lu pisciaròlë (Gennaro
Raimondi, 1880 – 1975, vastese) , che di professione faceva il
pescivendolo, il quale da Vasto Marina, camminando scalzo
mare
a mare (lungo la riva del mare), con i pantaloni
accorciati sino alle ginocchia e
nghe nu panìre (con
un paniere) carico di pesce sulle spalle, la imboccava per
raggiungere San Salvo, dove nello spiazzale antistante il
palazzo de Vito in C.so Umberto I, vendeva il pesce ai
sansalvesi.
Ma che cos’è questa
Ve’ de Náscie e sopratutto esiste
ancora?
La
Ve’ de Náscie, che i sansalvesi di vecchia
generazione, me compreso, si ostinano ancora a chiamarla in
questo modo, esiste ancora, seppure con qualche variante
rispetto al tracciato originario.
Oggi si chiama ex S.P. Buonanotte (ex perchè da qualche anno è
diventata comunale) ed è la strada che, partendo dall’attuale
Via Grasceta (dalla rotonda degli alpini), arriva sino alla
S.S. 16 e quindi al mare.
Era così chiamata perché conduceva principalmente ai tenimenti
dei Nasci, famosa famiglia possidente da cui prese il nome, i
cui discendenti vivono a Roma, tra le cui proprietà si può
ancora ammirare una bellissima cascina, circondata da pini
romani, ubicata sulla collina che declina dolcemente verso il
mare.
Anticamente questa strada era poco più di un viottolo
interpoderale ed era frequentata durante l’anno dai contadini
che raggiungevano le loro terre. D’estate, invece, diventava
per molti sansalvesi, che in reatà erano pochi, un’altra via
per andare al mare, o meglio all'altro mare.
Infatti si può dire che, un tempo i sansalvesi è come se
avessero due "mari": il primo era quello a sud in cui per
arrivarci si percorreva
la ve’ de la staziàune (la via
della stazione ferroviaria) e poi continuando, dopo il
passaggio a livello, ci si immetteva in un viottolo battuto
sulla sabbia che costeggiava
la farmue (il formale -
oggi Via A. Doria, zona porto turistico); il secondo invece,
più vicino al centro abitato in linea d’aria, era
lu muáre
de Náscie, da qualcuno chiamato anche a Buonanotte, data
la sua vicinanza con la foce del torrente omonimo, ubicata più
a nord al confine con Vasto (oggi zona Via Raffaele Paolucci,
Le Nereidi ed il Biotopo).
I due “mari”, separati da circa due chilometri di dune ed erbe
selvatiche, erano per l’epoca considerati lontanissimi tra di
loro, seppure facenti parte di un'unica distesa di sabbia
quasi totalmente disabitata, denominata C.da Marinelle.
Entrambi i “mari” durante la stagione
bagne e arie,
così chiamava la gente la stagione balneare, erano pochissimo
frequentati. A sud si recavano per lo più i giovani, che
javene a jettà lu sanghe a lu muáre” (andare a buttare
il sangue al mare), modo di dire dispregiativo che stava a
significare, in una società prettamente contadina, l’inutilità
di andare a perdere tempo al mare; a
Náscie, invece,
andavano
a fa’ li bagne (a fare i bagni) per lo più i
contadini, che preferivano andare a
Náscie o a
li
Náscie, sopratutto a Ferragosto, quando dal paese
partivano
nghe le trajéne (i carretti) per la
tradizionale gita, il giorno
de Santa Mare’
(l'Assunzione della Vergine Maria) per mangiare
lu
pillastre archiàne (il pollo ripieno) e
lu citràune
(il cocomero) , che alcuni mettevano
a dimbràsche a láppe
de mare (a rinfrescare dentro un buco scavato nella
sabbia in prossimità della battigia).
Tutto l'immenso ed arido arenile, a tratti paludoso, era
abitato solo da qualche
sóccie (mezzadro) che
coltivava sulla sabbia, con non poche difficoltà, ortaggi e
citrìùne
(cocomeri).
Per l'approvvigionamento idrico delle coltivazioni, veniva
sfruttata a nord, verso
Náscie, l'acqua che si
riusciva a prelevare dal torrente Buonanotte; al centro
dell'arenile, la sorgente naturale che sgorga sulla
collina sopra la ferrovia e sfocia al mare (nella piazza
centrale del lungomare), mentre a sud-est, a confine con il
Molise, l'acqua veniva prelevata dal formale (
la fàrmue),
canale artificiale dirottato dal fiume Trigno, che oggi
termina la sua corsa all'interno del porticciolo turistico.
Era davvero una natura selvaggia ed incontaminata, con una
fauna e flora, d'altri tempi.
Il mare, senza barriere frangiflutti, aveva tre
settèle
(secche, zone nell'acqua marina in cui si formano delle dune
di sabbia visibili dalla riva):
la preme,
la
secànde e
la térza settéle: la prima, esistente
ancora oggi, era raggiungibile anche dai bambini; la seconda,
oggi inesistente perchè distrutta dalla posa degli scogli, era
raggiungibile anche da chi non sapeva nuotare, ma solo durante
la bassa marea (molte persone inesperte sono annegate nel
nostro mare a causa della sopraggiunta alta marea); la terza,
invece, molto più a largo,
'nzi tuccuáve (non si
toccava con i piedi) ed era meta solo di nuotatori esperti,
per lo più giovani, tra cui c'era sempre qualcuno a cui
piaceva
fa lu sbráfánte (mettersi in mostra).
Sul mare, a qualche decina di metri dalla costa, passava ogni
tanto qualche solitario
caggiáne (gabbiano, da cui
deriva il modo di dire "
Si' bianche gne' 'na caggiáne",
che significa non sei abbronzato e quindi bianco come un
gabbiano), che con il suo ritmico sbattere delle ali, volava
ramingo sino a sparire in lontananza (la presenza della
popolazione di gabbiani nel nostro mare è aumentata in modo
considerevole dopo la posa delle barriere frangiflutti).
Tra la vegetazione selvaggia trovavano rifugio varie specie di
uccelli migratori, vittime al loro passaggio dei fucili dei
cacciatori, che anche all'epoca sparavano, ed arrampicate
a
li cannézze (a cannucce), dopo la pioggia, uscivano
migliaia di
ciammaichàlle de mare (lumachine di
mare), di cui la gente ne faceva “
minestre” (le
catturava per mangiarle), riponendole provvisoriamente dentro
a ‘na mantìre (ad un grembiule da cucina) o
a 'na
mandrécchie o
a nu mandricchiàune (strofinacci
da cucina).
Sempre tra la vegetazione selvaggia, volavano
muschéje e
ciámbáne (moscerini), coccinelle ed insetti di ogni
specie. La battigia era popolata da minuscoli animaletti che
alla vista di qualcuno, si intrufolavano nella sabbia umida,
lasciando un buchetto che svelava la loro presenza. Era un
vero divertimento per i bambini, che con il ditino si
divertivano a scovarle. Non era raro vedere anche
lu
‘ppuallottacacate (lo scarabeo stercorario), una specie
de scardavàune (scarafaggio), che vive sopratutto in
campagna, che sulla battigia arrotolova con le sue zampine
anteriori sostanze organiche, dopo averle rese a forma di
palla.
Vista del Golfo da Vasto. Sullo sfondo si intravede la
costa sansalvese ancora ricoperta da una vegetazione
selvaggia, senza palazzi e palazzoni costruiti sulla
sabbia.
Tornando alla nostra
Ve’ di Náscie, che poi ci ha
condotti sin qui, sino agli anni ’60, non era comoda ed
asfaltata come oggi.
Il suo fondo stradale, era stretto, ricoperto da breccioline
ed era davvero impervio transitarvi. Virgilio Cilli che un
giorno vi si avventurò con la sua automobile, si accappottò.
Essendo brecciata, a primavera, dopo le pioggie invernali,
sembrava più un letto di fiume che una strada.
Da San Salvo, per imboccarla, dopo aver percorso
la ve' de
lu Vuáste (l'attuale strada Istonia ex S.S. 16), si
passava sopra un ponticello in aperta campagna, di cui esiste
ancora una sponda e poi si proseguiva lungo una stradina
(attuale Via Bachelet, quella che conduce oggi al campo di
bocce comunale), al cui lato, guardando verso il torrente
Buonanotte, negli anni ’60, vi era
lu munnezzare
(luogo di deposito
de la mennàzze dei rifiuti urbani
)
, che anni prima era stato ubicato a ridosso del centro
abitato
a lu puànte de le casulene (al ponte dei
casolani).
La Via di Nasci a sin. e la Via della Stazione a dx.
Sullo sfondo il mare ancora quasi deserto.
L'accesso attuale di via Bachelet era quindi l’inizio
de
la Ve’ de Náscie.
Il suo percorso proseguiva quasi interamente lungo la strada
attuale, oggi ampliata, fatta eccezione per la zona
interessata al cavalcavia ferroviario, dove la collina
declinava d’un tratto quasi al livello del mare, e dove vi era
un’altro passaggio a livello (
lu passaggie a livelle de
Náscie), che
faciàve harneà li gente (faceva
bestemmiare la gente) perchè era quasi sempre chiuso.
Oltrepassato il passaggio a livello e dopo qualche centinaio
di metri, si arrivava finalmente al mare.
Prima di arrivarvi, però, bisognava ancora oltrepassare una
specie di altro viottolo in perpendicolare, una stradina in
terra e sabbia battuta, in gran parte sul tratturo, (che agli
inizi degli anni ’60 diverrà come per miracolo la S.S. 16), da
dove si intravvedeva
la massarè de Sciò, che sembrava
come un oasi nel deserto
tra li jncie e le dune. Poi
costeggiando verso la foce del torrente Buonanotte (attuale
Via R. Paolucci), si arrivava finalmente alla battigia.
Quanti ricordi della mia fanciullezza sono legati
a la Ve’
de Náscie. Ci andavamo in bicicletta e poi ancora da
ragazzini con i motorini, cercando i punti migliori del fondo
stradale brecciato, per non cadere. Ogni tanto transitava
qualche automobile che ci riempiva di polvere, essendo la
strada bianca.
Ricordo che sotto il sole cocente ci fermavamo spesso
all’ombra di querce secolari, che sono ancora lì, scendendo
giù verso il mare (nella zona oggi denominata "a Lambiscia",
soprannome di Nicola Tana, vastese, che negli anni '70, fu il
primo ad aprire un'attività di sfasciacarrozze nel territorio
di San Salvo, dando forse per sempre il suo nome a quella
zona).
Giunti più sotto, dove oggi vi è la rotonda per la stazione
ferroviaria Vasto-San Salvo, prima del cavalcavia ferroviario,
in curva, sulla destra vi era
‘na frátte (una siepe),
dove crescevano spontanee le more: avevano un colore bianco
perché imbiancate dalla polvere sollevata dalle automobili.
Era il nostro luogo preferito di ristoro. Quelle more erano
gustosissime. Una soffiata sopra, una spolveratina con le
mani, pulite con la saliva e poi ingoiate.
Il passaggio a livello e poi, come detto, il mare.
Era un mare selvaggio, inimmaginabile oggi.
La brezza marina muoveva le foglie degli arbusti e si udiva la
voce del mare.
Oggi tutto è cambiato.
Due chilometri circa di lungomare.
Migliaia di bagnanti, decine di stabilimenti balneari,
centinaia di ombrelloni, pub, ristoranti, gelaterie, mercati,
fuochi artificiali.
Al mattino si fa acquagym
a nu jnucchie d'acque (ad un
ginocchio d'acqua), i bimbi ballano la baby dance ed i
giovani,
nghe cacche asene a vicchie 'nmezze (con
qualche persona anziana tra di loro), si divertono con balli
di gruppo, facendo
zimbue e zumbuétte (saltelli),
alzando
le vìute e li cocchele de le jnucchie (i
gomiti e le rotule del ginocchio) e battendo ritmicamente le
mani.
Di notte e di giorno la musica inonda le onde del mare.
Altri invece camminano
tése tése (con la pancia in
dentro e le spalle dritte), come se
tinassere ficchite nu
palatte a lu ..., facendo il Nord Walking con due
bastoni, anche se
ni è ciuppe (non sono zoppi).
Come sono lontani i tempi in cui le nostre nonne facevano i
bagni con le sottane ed i contadini
javene appete
'ncampagne (andavano a piedi in campagna)
nghe lu
zappàune sàprue a li spalle (con la zappa sulle
spalle),
lu triffule (l' otre in terracotta) e
l'ammappatelle abberrettéte a lu madricchiàune (con la
colazione avvolta in un salviettone).
E chi l'avrebbe mai detto, solo cinquant'anni fa.
Oggi è tutta
'na marave'! (una meraviglia).
A volte, però, chiudo gli occhi e sogno
a... làppe de mare
Il vento soffia ancora, ma non odo più la voce del mare.
Fernando Sparvieri
L'accesso originario de la Ve de Náscie - oggi
Via Bachelet.
Sulla sinistra esiste ancora una sponda del vecchio
ponticello
Lo sbocco de la Ve de Náscie da Via Bachelet
sull'originario tracciato stradale.
Tramonto sulla cascina dei Nasci sulla collina che
declina verso il mare.
Le quercie secolari viste da Lambiscie (l'ex
sfasciacarrozze).
In primo piano la pista ciclabile in costruzione che
ricorda moltissimo l'originale Ve' de Náscie.
In fondo a destra, in curva, vi era la frátte in cui
nascevano spontanee le more. In primo piano la pista
ciclabile in costruzione che ricorda moltissimo
l'originaria Ve' de Náscie.
Il relitto stradale della vecchia Ve' de Náscie
con la discesa ripida prima del passaggio a livello che
era ubicato dove vi sono nella foto le reti di protezione
in rosso.
Il vecchio tracciato de la Ve' de Náscie dove vi
era il passaggio a livello.
Dopo il pasaggio a livello la vecchia Ve' de Náscie
prima di riallacciarsi alla ex S.P. Buonanotte.
A la ve’ de Náscie è legato uno dei più forti
spaventi della mia vita. Eravamo agli inizi degli anni ‘70 e
la strada era stata da poco asfaltata. Una sera, Michele De
Filippis, neo patentetato, si fece dare la Ford Taunus da
suo padre e andammo a Vasto Marina. Arrivati al passaggio al
livello,lo trovammo aperto. Michele si fermò sui binari,
come si usava fare per non far sobbalzare l’auto. Guardammo
a destra, con l’auto ferma sui binari. Nel buio, a poche
decine di metri, due luci : “Lu trèeeeeeeene!!!”,
gridai a Michele, al quale per lo spavento gli scappò il
piede dalla frizione, facendo sobbalzare l’auto per
interminabili istanti, prima di superare indenni i binari.
Oltrepassammo il passaggio a livello, con il cuore che
balbettava per la paura, e ci fermammo. Me z'avè quájáte
lu sánghe (mi si era gelato il sangue). Eravamo salvi.
Con il cuore in gola per lo scampato pericolo ci accorgemmo
che il treno non passava. Scendemmo per andare a vedere: le
luci che avevamo visto erano ancora lì , a qualche decina di
metri dal passaggio a livello. Era un carrello ferroviario
che stava facendo manutenzione alla linea ferroviaria, con
le luci simili a quelle di un treno. Non dimenticherò mai
quella notte e quegli interminabili istanti. Le
puzzenealumaccete...
Fernando Sparvieri
San Salvo, 21 luglio 2016