La prima volta
che vidi Don Antonio
di Gilberto Onofrillo
La prima volta che vidi Don
Antò' (Don Antonio Ciavatta), potevo avere cinque o sei
anni. Abitavamo in una masseria in mezzo alla campagna. La
via che conduceva alla nostra masseria era fiancheggiata
da due filari di mandorli, che, a primavera, diventavano
una festa per gli occhi, con tutti quei fiori bianchi.
Fu proprio lì, all'imbocco della strada che portava alla
nostra masseria, che vidi venir giù, appoggiandosi ad una
lunga canna, un vecchio con un cappello di paglia. Bianco
che sembrava confondersi con i fiori dei mandorli.
Rimasi immobile a guardarlo.
Lui mi sfiorò appena con uno sguardo veloce e proseguì,
senza parlare, verso la masseria. Lo seguii con un misto
di curiosità e rispetto. Girò l'angolo e fu sul davanti
della masseria.
Appena mio nonno lo scorse, si alzò e lo salutò: "Bongiorn,
don Andò''". Prese una sedia e lo fece accomodare.
Poi chiamò mia nonna e le disse: 'Prepare ka cose p'
don Andonie'.
Anche mia nonna lo salutò con rispetto e rientrò subito in
casa per fare quello che il nonno aveva ordinato.
lo ero lì, a bocca aperta. Osservavo don Andò'. Aveva una
barbetta di qualche giorno, tutta bianca. Si tolse il
cappello: anche i capelli erano tutti bianchi. Parlava
adagio, guardava per terra, un po' curvo in avanti. Ogni
tanto guardava verso me e mi sembrava che sorridesse
sornione.
I due vecchi parlavano lentamente con voce calma:"Come
si presende la raccolte, Gilbè?"
"E' preste angore, nz po' dire gna è. Quelle che vò
Dì... Lu rane l' sem sarchiate. Tneme nu vitelle a la
stalle e la vigne sta propie bbelle".
Don Andò' assentiva con il movimento della testa. Poi mio
nonno si ricordò di me e disse: "Don Andò, quiste è lu
nipote me, lu fije di Pippuccie, si chieme gne me,
Gilbert'".
Don Andò' mi guardò, e colsi di nuovo l'accenno di un
sorriso, dietro il suo sguardo buono. Poi mia nonna
chiamò: "E' pronde!"
Mio nonno si alzò e disse a don Andò' di accomodarsi.
Li seguii in silenzio.
Si sedettero al tavolo della 'sala' e vidi quello che la
nonna aveva preparato: in un piatto c'erano due fette di
pane con l'olio e una mezza 'pezza' di formaggio. Davanti
c'era una bottiglia di vino e due bicchieri.
Don Andò' si sedette lentamente, tirò fuori da una tasca
dei pantaloni un coltello a serramanico, lo aprì e
cominciò a tagliare il pane. Ridusse le fette in tanti
quadratini, poi prese la mezza 'pezza' del formaggio e ne
tagliò una fetta. Con la punta del coltello infilzava un
quadratino di pane e se lo portava alla bocca e poi
mordeva un pezzettino piccolo piccolo del formaggio, che
teneva con la mano sinistra.
Osservavo questi gesti che il vecchio faceva con lentezza
e in silenzio.
Quando finirono, lui e mio nonno sfiorarono i bicchieri in
una specie di brindisi silenzioso e rapido, ma ricordo che
nei bicchieri c'erano appena due dita di vino.
Sempre in silenzio, don Andò' si alzò, si diresse
lentamente verso la canna che aveva appoggiato al muro e,
appoggiandosi ad essa: 'Arrivederci, Gilbè', disse
e riprese il cammino lungo il sentiero tra i mandorli in
fiore.
Lo seguii con lo sguardo fino a che non scomparve.
Fu allora che chiesi a mio nonno: "Ma chi è don
Andò'?".
Il nonno mi guardo, mi dette una scompigliata ai capelli
e... "Tu si piccirille e cierte cose nn li pu' capi, ma
quill è 'na brav persone. Tu l' sa rispittè
sembre!"
"'Scine, ma chi è?"
"Er lu patrone di tutta sta terre".
Lo disse con tono solenne, accompagnando le parole con un
ampio gesto del braccio.
Io rimasi in silenzio, come dopo la rivelazione di un
mistero.
Don Andò' tornò altre volte nella nostra masseria, per lo
più in primavera e in estate. Ogni volta il rito si
ripeteva immutabile: saluto, pane a tocchetti con
formaggio, il leggero tocco dei bicchieri e la ripartenza
lungo il sentiero dei mandorli.
Con gli anni sono venuto a conoscere la storia di Don
Antonio Ciavatta, ma per me il vero Don Antonio è rimasto
quello del viale dei mandorli: un vecchio mite e bianco.
L'altro mi sembra solo una sovrapposizione.
Gilberto Onofrillo