Armando Marzocchetti
(ciclista)
di Fernando Sparvieri
II PARTE
Furono due anni intensi di
gare quelli trascorsi da Armando con la “Pedale
Lancianese”, in cui fece esperienza imparando il mestiere
da corridore.
Unico inconveniente era la sua vecchia bicicletta da corsa
di seconda mano, che ogni tanto sul più bello gli si
rompeva.
Non potendosene comprare un’altra, Armando se la
riaggiustava da solo, arrivando persino a saldare più
volte, con le sue mani, pezzi di telaio che si erano
rotti. Con quella vecchia bicicletta, continuava tuttavia
a correre ed ancora a vincere. Il suo sogno era quello di
avere una bicicletta nuova della Bianchi, come quella di
Coppi, di cui suo papà Pompeo e suo fratello Pietruccio
erano stati dei gran tifosi.
Ma papà Pompeo, non era molto d’accordo. Glie ne avrebbe
comprate dieci di biciclette come quelle del suo idolo
Coppi, ma aveva paura che suo figlio si facesse male
cadendo e per questo motivo avversava anche la passione
del figlio per il ciclismo.
La bicicletta nuova era diventata un’ossessione per
Armando.
Un giorno mamma Olanda disse a papà Pompeo:“Non ce la
faccio più a sentirlo ad Armando. Domani vado a Pescara e
glie la compro la bicicletta nuova.” Papà Pompeo a
malincuore assentì. Il giorno appresso Armando e mamma
Olanda partirono con l’autobus per Pescara ove
acquistarono la tanto desiderata bicicletta della Bianchi.
Al ritorno mamma Olanda tornò con l’autobus, mentre
Armando con la bicicletta nuova. Arrivò a San Salvo prima
Armando che attese sua mamma all’arrivo dell’autobus,
favorito anche dal fatto che la vecchia statale 16 era
piena di curve e che l’autobus faceva qualche fermata nei
paesi che attraversava.
Gli anni trascorsi con la Societa “Pedale Lancianese”,
furono per Armando quelli della sua vera crescita
agonistica, imparando le tattiche e le strategie da
adottare in corsa.
A furia di cogliere vittorie e piazzamenti divenne
nell’anno 1959 campione regionale allievi perl’Abruzzo e
Molise . Ogni tanto, nel contempo, si recava in Liguria, a
trovare la sorella ed il cognato, portando con sé la sua
inseparabile bicicletta, vincendo tappe a ripetizione a La
Spezia e dintorni, come a La Piana e ad Ameglia.
Nel frattempo la fama di Armando, campioncino di ciclismo,
si era sparsa in una San Salvo d’altri tempi, sino a poco
tempo prima divisa in due fazioni ciclistiche: i coppi ed
i bartaliani. Armando lì riunì entrambi. Divenne la
speranza del ciclismo locale e non solo. Vi erano
compaesani che con mezzi di fortuna, in bicicletta,
facendosi tirare da moto, lo seguivano per vederlo in
corsa quando correva in Abruzzo o nel vicino Molise. Tra
questi vi era Giacinto Bracciale, padre di Foto Gino e
Sebastiano Di Ludovico, detto Bastiane la Cutunélle,
che non si perdevano una sola corsa in cui Armando
partecipava.
Ed ecco che un giorno, cosa rarissima per quei tempi,
anche a San Salvo venne organizzata una corsa ciclistica.
Era la festa di San Rocco del 1958 ed in onore del Santo
qualcuno pensò di organizzare una corsa di biciclette.
Giunsero a San Salvo molti corridori e non poteva mancare
Armando che correva per la prima volta in casa. Ricordo
ancora le magliette colorate di quel gruppo di ragazzi e
le ammiraglie che li seguivano. L’arrivo e la partenza
erano posti in leggero falsopiano vicino alla ex caserma
dei carabinieri in C.So Garibaldi, all’incirca dinanzi
alla casa di Ujerme Lunghe e di Marie Tacchélle
(Guglielmo Longhi e Mario D'Achille). Io avevo 5anni ed
ero lì con mio padre, anch’egli tifoso di Armando, e mi
ricordo di quella giornata calda settembrina, come se
fosse ieri.
Dopo il raduno, tra una folla entusiasta e festante, il
direttore di gara con una bandiera diede finalmente il
segnale di partenza. Il gruppo coloratissimo partì, girò
alla prima curva verso via Circonvallazione (l’attuale Via
Duca degli Abruzzi), e percorse la lieve discesa, sino a
perdersi alla mia vista. Il tragitto che dovevano compiere
era arrivare al passaggio a livello della stazione,
rigirare nei pressi della chiesettae ritornare all’arrivo,
non ricordo per quanti giri.
Ricordo che al ritorno da ogni giro, gli applausi
annunciavano l'imminente passaggio dei corridori prima che
spuntassero da ogni curva. Il gruppo dopo qualche giro,
come si dice in gergo, si frantumò, ma Armando era sempre
con i primi. Agli ultimi giri, non ce ne fu più per
nessuno: Armando scattò portandosi dietro solo un'altro
corridore. Quando sbucarono all'ultima curva, che dalla
Porta de la Terra immette sul rettilineo di C.so
Garibaldi, un boato si udì tra la folla. Armando era
ancora lì pronto a giocarsi la vittoria finale.
Sprintarono ed Armando mise sua ruota dinanzi a quella del
rivale. Per la cronaca il terzo classificato arrivò con un
ritardo di 6 minuti e 30 secondi.
Fu un tripudio.
“C’ha vincìute?” (Chi ha vinto), chiedevano gli
spettatori che non avevano assistito alla volata, mentre
arrivano alla spicciolata all’arrivo. “Armande! Ha
vinciute Armande!” (armando! Ha vinto Armando!),
rispondevano entusiasti i sansalvesi.
Armando non poteva perdere quel giorno la sua prima corsa
nella sua San Salvo e vinse in onore di San Rocco e dei
numerosissimi tifosi accorsi a sostenerlo.
Dopo aver regalato un’emozione grande ai suoi concittadini
vincendo a San Salvo, Armando, animato da una passione
incontenibile per il cisclismo, continuava a correre
ovunque vi fosse una corsa. Girava mezza Italia. Se ne
andò a correre nelle Marche, a Massa Carrara in Toscana,
culla del ciclismo italiano, dove viveva un’altra sorella
maggiore di nome Aida, del 1934.
Lui e la sua bicicletta erano diventati un sol corpo.
A furia di correre si fece il nome e venne convocato, nel
1959, insieme all’avezzanese Omero Meco, fratello di
Vincenzo, divenuto poi professionista, ed ad un altro
corridorino abruzzese, a rappresentare l’Abruzzo al
Campionato Italiano Allievi che si svolgeva a San Remo.
I tempi per il ciclismo erano epici e l’organizzazione
lasciava molto a desiderare.
Il raduno, per la partenza, era fissato a Pescara in P.zza
Salotto. Armando si alzò alle prime ore dell’alba e con la
sua bicicletta pedalò sino a Pescara, non essendovi
coincidenze di corriere che partivano da San Salvo, in
grado si assicurargli l’arrivo all’ora prestabilita.
Armando arrivò in tempo a Piazza Salotto, dove erano
giunti anche gli altri due convocati. Dopo un po' arrivò
un vecchio ciclista abruzzese, incaricato dalla
federazione di accompagnarli, il quale, quando i corridori
gli chiesero di caricare le bici sull’auto, rispose:“Ma
siamo matti! Dovete allenarvi! ”.
E così i tre convocati si fecero altri 150 chilometri in
bicicletta sino alle Marche, senza un goccio d’acqua nelle
boracce e sudatissimi, in quanto quel giorno faceva un
gran caldo, rischiando la disidratazione. Quando chiesero
al vecchio accompagnatore, che li seguiva in auto, di
fermarsi per bere almeno un po' d’acqua e di togliere la
tuta per il gran caldo, questi gli rispose: “Un corridore
vero, per essere tale, deve imparare a correre anche senza
acqua e soffrire la sete, la fame, il freddo ed il caldo”.
Finalmente commosso da umana pietà, il vecchio li fece
salire a bordo della macchina (all’epoca non c’erano le
autostrade), e dopo averli fatti rifoccillare alla meglio,
giunsero a notte inoltrata in Liguria, patendo anche il
sonno, in quanto andarono a dormire su una specie di
giaciglio preparato alla buona in casa di amici abruzzesi
del loro accompagnatore.
Il giorno seguente si disputò la gara. Fu per Armando una
gara sfortunata. Alla fine della salita di Ospetaletti,
durante la bagarre fra i corridori per prendere i primi
posti in discesa, Armando scattò, ma gli si spezzarono 4 –
5 raggi alla ruota posteriore della bicicletta,
togliendogli la possibilità di competere in volata con i
migliori.
Per la cronaca la gara venne vinta dall’indimenticabile
Italo Zilioli, grande scalatore deglianni '60, che negli
anni successivi avrebbe fatto molto parlare di sé per i
suoi tre piazzamenti di fila al Giro d’Italia, dietro
Jacques Anquetil (1964)Vittorio Adorni (1965) ed Gianni
Motta (1966).
All’arrivo di San Remo, Armando trovò suo cognato Aurelio
che era andato sin lì sperando di vederlo vittorioso, il
quale, dopo la corsa, se lo riportò a La Spezia.
Armando, in quei giorni, apprese che vi era un’altra corsa
nelle vicinanze e volle subito rifarsi, anche se la posta
in gioco non era quella del campionato italiano allievi.
Durante la gara come suo solito scattò in salita,
lasciandosi alle spalle gli altri corridori i quali non
vennero invogliati a seguirlo dai loro direttori sportivi
che non conoscendolo, in dialetto ligure dissero: “Lasciatelo
andare. Tra poco scoppierà!”.
Armando non scoppiò affatto e superata la salita, in
pianura si avviò come un cronometrista verso i ltraguardo.
“Ma chi è questo qui! Ma chi mai sarà?”, si chiedevano
esterefatti i direttori sportivi.
A bordo di un’ammiraglia si accostò un prete che seguiva
la corsa e vedendo la scritta sulla maglietta “Pedale
Lancianese” gli chiese: “Sei abruzzese?”
“Certo” gli ripose Armando, orgoglioso della sua terra e
delle sue origini.
Dopo l’avventura finita male al Campionato Italiano d
iCiclismo per Allievi e la breve parentesi della sosta a
La Spezia, Armando tornò a correre nella sua Abruzzo.
Ma correre nella sua terra natia era faticoso persino per
un campione regionale abruzzese e molisano allievi
qual’era, che aveva, cosa incredibile a credersi ma vero,
un cuore che a riposo pulsava 40 battiti al minuto.
Il più delle volte si spendevano preziose energie più per
raggiungere il luogo in cui si svolgeva la corsa che per
la corsa stessa. Per andare a correre a Pescara, con i
pochi spiccioli che aveva in tasca, Armando doveva prima
andare in bicicletta a Vasto, prendere la corriera,
salirvi sul tetto, legare la bici al portapacchi e fare il
viaggio d’andata (per fortuna Tessitore, che all’epoca
faceva ancora l'autista dei suoi pullman, suo tifoso, non
gli faceva pagare il biglietto). Dopo la corsa, non
essendovi più autobus diretti a San Salvo, spesso era
costretto a tornarsene a casa in bicicletta, al buio,
giungendo a notte inoltrata, dove l’aspettava un ansioso
papà Pompeo.
Fu così che decise di tentare la scalata al professionismo
tornandosene definitivamente a La Spezia nel 1960.
Corse tre anni da dilettante in Liguria (1960, 1961 e
1962), lasciando un vuoto incolmabile nei suoi tifosi
sansalvesi, che compresero però la sua scelta.
Al nord era tutta un’altra corsa: andavano a prenderlo a
casa, gli caricavano la bicicletta sull’ammiraglia, aveva
il meccanico a disposizione: lui doveva pensare solo a
correre e vincere.
Ed a furia di ottenere vittorie e piazzamenti al nord, con
la maglia della IDALSARZANELLI di Sarzana, sponsorizzata
da una ditta milanese, da dilettante junior passò tra i
senior, ultima categoria prima di diventare
professionista.
Corse nel nord, in quegli anni, con corridori dilettanti
che poi divennero nomi illustri del ciclismo
professionistico italiano come il già citato Vittorio
Adorni, campione del mondo su strada nel 1968,
ItaloZilioli, che lo aveva già battuto in quello
sfortunato campionato italiano allievi, lo sprinter
bresciano Michele Dancelli, Marino Vigna, divenuto
successivamente Commissario Tecnico Nazionale del ciclismo
su pista, Franco Bitossi, il “cuore matto” del ciclismo
italiano degli anni '60. Sempre da dilettante, inoltre,
quando ritornava in Abruzzo, corse con corridori del
calibro di Vito Taccone, soprannominato il Camoscio
d’Abruzzo, e Vincenzo Meco, corridori rivali avezzanesi
dei quali Armando tutt’oggi conserva ottimi ricordi,
compresi aneddoti divertenti in corsa, specialmente di
Taccone che aveva la pompa facile, nel senso che quando si
arrabbiava, lui piccolino di statura com’era, se ne
serviva per farsi rispettare.
Nonostante qualche puntata nella sua Abruzzo (ricordo alla
radio un annuncio di un suo terzo posto al Giro d’Abruzzo
che mi lasciò deluso), l’attività ciclistica di Armando
oramai era tutta concentrata nell nord, ove le opportunità
per diventare professionista erano di gran lunga superiori
a causa di una migliore organizzazione e maggiore
visibilità.
Le gare si susseguivano una dopo l'altra.
Colse un’altra vittoria a Genova, un’altra ancora a Limone
di La Spezia e fu così che a furia di vittorie e
piazzamenti, il suo nome finì com’era prevedibile,
nell’anno 1962, nel taccuino del CommissarioTecnico della
Nazionale Italiana Dilettanti, che incominciò a visionarlo
per disputare i Campionati del Mondo Dilettanti.
Una squadra professionistica, intanto si era interessata a
lui e gli offriva il suo primo contratto da professionista
vero. Gli si aprivano finalmente le porte del paradiso.
Ma ecco che la seconda beffa del destino stava per
incombere sulla sua carriera da ciclista. Eravamo nei
primi mesi del 1963.
Quando Armando era lì lì per firmare, qualcuno, per il suo
bene, gli diede un consiglio, che poi si rivelò
irreparabile.
Il suo direttore sportivo, gli consigliò, visto che
persino il CT della nazionale dilettanti ormai lo seguiva
costantemente, di restare ancora un altro anno tra i
dilettanti, di rimandare l’appuntamento al professionismo
all’anno prossimo, in modo tale che avrebbe potuto
partecipare al Campionato del Mondo per dilettanti ed alle
più prestigiose corse nazionali ed estere riservate a
quella categoria, come il Tour de l’Avenir, una corsa a
tappe di ciclismo su strada riservata agli under 23, che
si svolge ogni anno in Francia nel mese di settembre,
l'anticamera del professionismo.
Il ragionamento del direttore sportivo non era del tutto
errato in quanto gli consigliava, che se avesse vinto da
dilettante le corse più prestigiose internazionali, poteva
presentarsi al mondo professionistico con una maggiore
notorietà e quindi pretendere un ingaggio più alto.
Armando, che già all’inizio della sua carriera ciclistica,
quando aveva solo 14 anni e ce ne volevano 15, era stato
beffato da quel rimandare l’esordio all’anno prossimo, che
non gli consentì di partecipare alla sua prima gara da
esordiente a La Spezia, all’inizio fu titubante, ma alla
fine ascoltò il suo direttore sportivo, rimandando
all’ennesimo anno prossimo il suo ingresso nel mondo
professionistico.
Fu un errore fatale.
Un brutto giorno i suoi sogni ed i suoi progetti vennero
improvvisamente infranti dal postino che gli consegnò la
cartolina di precetto militare: doveva partire
immediatamente per prestare il servizio di leva all’
aeronautica.
Fu un fulmine a ciel sereno. Lo attendevano due
lunghissimi anni senza la sua bicicletta.
A dire il vero Armando non è che non avesse mai pensato a
quell’appuntamento obbligatorio con la Leva, ma qualcuno,
forse un po' troppo superficialmente, gli aveva assicurato
in Abruzzo che l’avrebbe fatta franca.
Ad Armando, ad un passo dal professionismo , caddero le
braccia o meglio le “gambe” per terra.
Inutili furonoi tentativi tardivi per non farlo partire.
Armando partì.
“Mi spiace, non possiamo concederti di allenarti in
bicicletta perchè purtroppo sei un dilettante. Se fosti
stato professionista avresti avuto tutto il diritto di
allenarti tutti i santi giorni”, furono le parole che gli
rispose il colonnello quando Armando gli chiese di poter
almeno continuare ad allenarsi.
Addio sogni digloria.
Dopo la naja, Armando non partecipò più a gare
agonistiche.
Era dura, dopo due anni di totale inattività, ricominciare
a correre tra i ragazzini, quando la gran parte dei suoi
ex avversari erano già passati al professionismo e
mietevano successi al Giro d’Italia ed al Tour de France.
Ormai vedeva il traguardo troppo lontano.
Un senso di rabbia e di delusione si impadronì di lui . La
delusione fu talmente grande anche per noi, suoi tifosi,
che in quell'ormai lontano giorno del 1963, fu come se
fossimo caduti tutti, insieme a lui, all'ultima curva
prima dell'arrivo.
Ma il primo amore non si dimentica mai ed oggi, Armando,
all’età di settant’anni suonati, con i suoi 40 battiti
cardiaci al minuto che mettono in allarme i medici quando
gli prendono la pressione, continua ancora a macinare
chilometri e chilometri sulla sua bicicletta,
percorrendone 12.000 – 13.000 all’anno, ripensando forse
con amarezza e nostalgia a quel che poteva essere ed
invece non è stato.
Per ironia della sorte fu proprio l’aeronautica militare,
che vola alta nel cielo ed ha nel suo stemma le ali di
un‘aquila, a tarpare le ali ed a far crollare i sogni di
un ragazzo, impedendogli di volare.
Per noi sansalvesi di una certa età, suoi tifosi, che
volavamo già insieme a lui, con la fantasia, tra i monti
innevati delle Dolomiti o della cima Coppi, fu la fine di
un sogno, di una favola, che seppure non a lieto fine, è
stata bella raccontarvi.