Armando Marzocchetti
(ciclista)
di Fernando Sparvieri
I PARTE
"DAI ARMANDO! FORZA
ARMANDO!!!"
Alcune voci sferzarono improvvisamente il torpore che
aveva assalito Armando in quel pomeriggio d’estate del
1962, mentre se ne stava a fondo gruppo, pedalando
distrattamente con i suoi pensieri, in quel circuito di
Casacalenda, dove si stava svolgendo una importante corsa
ciclistica per dilettanti.
Era un giornata no quella per Armando. Era tornato in
Abruzzo dalla Liguria, dove era già diventato un giovane
corridore importante, in procinto di passare al
professionismo, ed aveva deciso di partecipare a quella
corsa che si svolgeva in Molise, e che si svolge
tutt’oggi, così, tanto per tenersi in forma.
Quell’incitamento inaspettato da bordo strada, giunto da
parte di due suoi compaesani Leone Balduzzi e Virgilio
Cilli , molto più grandi di lui, arrivati sin lì a sua
insaputa a bordo della Giuletta Sprint di Virgilio, ebbe
per lui l’effetto di una frustata.
Armando, risalì pian piano il gruppo, poi pose la mano sul
cambio e scattò. In salita, come un treno, riprese ad uno
ad uno i fuggitivi che lo precedevano, e tagliò per primo
il traguardo.
E non poteva essere diversamente, visto e considerato che
era già abituato a vincere, avendo già scritto pagine
importanti di un ciclismo leggendario d’altri tempi.
La favola di Armando Marzocchetti, campione di ciclismo
sansalvese, gloria ed idolo dei tifosi locali, ad un passo
dal professionismo, era nata per caso qualche anno prima,
nel lontano 1955.
Quartogenito di Pompeo Marzocchetti, sansalvese
purosangue, e di Olanda Borzacchini, che proveniva da una
famiglia circense, lontana parente del famoso Mario
Umberto Baconin Borzacchini, pilota automobilistico
italiano degli anni venti e trenta, Armando (classe 1941)
aveva una sorella, Angiolina, molto più grande di lui
(classe 1929), che si era sposata a La Spezia con Aurelio
Colameo, città ove tutt’ora risiedono.
Come succede nelle migliori famiglie, in cui l’amore per i
figli viene prima di tutto, spesso papà Pompeo e mamma
Olanda andavano a trovare la figlia a La Spezia, portando
con loro un adolescente Armando.
E fu durante una di queste visite che un giorno decisero
di lasciare Armando dalla sorella, affinché potesse
studiare e costruirsi un futuro.
Il quattordicenne Armando accettò con entusiamo la
proposta dei suoi familiari in quanto, oltre ad essere
legatissimo alla sorella maggiore, che era stata nella sua
fanciullezza una seconda madre, poteva così vivere in una
città moderna, dove si respirava aria di progresso e di
civiltà.
Armando si iscrisse subito all’ Istituto Nazionale
Avviamento Professionale Lavoratori Industria (INAPLI) ed
iniziò a frequentare la scuola, stringendo amicizia, così
come avviene in tutte le scuole del mondo, con alcuni
compagni di classe che però dopo le lezioni lo lasciavano
solo per andare ad allenarsi con le biciclette, essendo
quasi tutti affiliati ad una società sportiva ciclistica
del luogo.
I pomeriggi trascorrevano lunghi e monotoni per Armando in
attesa che tornassero gli amici. Così un bel giorno, pur
di seguirli, inforcò la sua bicicletta da passeggio, una “
Bianchi Balloncina “, che aveva i cerchioni 3 dita larghi,
e vestito così com’era, con la giacca ed i pantaloni di
tutti i giorni, si unì a loro per chilometri e chilometri.
Quando i suoi compagni lo videro arrivare vestito in quel
modo e sopratutto con una bicicletta da passeggio, vi
furono momenti di ilarità, ma durante il tragitto non
riuscirono a staccarlo. Anzi si meravigliarono tutti della
sua resistenza fisica.
Alla sera Armando tornò a casa zuppo fradicio di sudore e
naturalmente la sorella Angiolina gli fece cambiare gli
abiti chiedendogli dove fosse stato. Armando le raccontò
tutto. La sera successiva e per tante altre ancora, la
storia si ripetè sino a quando Angiolina, forse un po'
preoccupata per i pericoli della strada, ne parlò a suo
marito Aurelio, il quale, per tutta risposta, invece di
proibirgli di toccare la bicicletta, con gli occhi che gli
brillavano per la felicità, decise di fargli una sorpesa.
Il mattino seguente, Aurelio, appassionatissimo di
ciclismo, mentre Armando era a scuola, si recò in un
vicino negozio di biciclette da corsa, diede indietro la
vecchia “Bianchi Balloncina “ da passeggio e riportò a
casa una bicicletta da corsa, seppure di seconda mano. Non
contento incaricò sua moglie di realizzare con le sue mani
una maglietta da corridore, e dopo aver comprato un
pantaloncino ed un paio di scarpette da ciclista, attese
insieme ad Angiolina il ritorno a casa di Armando.
Armando dopo la scuola ritornò a casa. Grande fu la sua
sorpresa quando al posto della “Bianchi Balloncina “ vide
“lei”, la sua prima bicicletta da corsa con i tubolari ed
i cerchi in alluminio. Commosso sino alle lacrime vi balzò
sopra e per la prima volta, vestito come un corridore
vero, raggiunse in un baleno i suoi amici che si
allenavano.
Era nato Armando Marzocchetti corridore, l’ idolo dei
tifosi di ciclismo di una San Salvo d’altri tempi.
Dopo qualche giorno, i suoi amici, vedendo che Armando
andava forte, ne parlarono con il loro direttore sportivo,
che chiese di poterlo incontrare per tesserarlo. Il
direttore sportivo, nel vederlo la prima volta in sella
alla bicicletta, se lo mangiò quasi con gli occhi avendo
intuito che quel ragazzo aveva tutto del corridore: il
fisico, le gambe, la faccia e persino il naso.
Ma la prima beffa nel suo destino di corridore di
biciclette stava per perpetrarsi: quel ragazzo, venuto dal
sud, che correva in bici come un treno e che aveva un
fisico quasi da adulto, aveva solo 14 anni e quindi non
poteva essere tesserato tra gli esordienti perché di anni
ce ne volevano 15.
Esordio rimandato all’anno prossimo.
Armando provò una grande delusione per il mancato
tesseramento, ma la gioventù e la certezza di poter
gareggiare l’anno seguente, non scalfirono minimamente i
suoi sogni di fare da grande il corridore di biciclette.
Si chiusero le scuole ed Armando tornò a San Salvo per le
vacanze estive, da papà Pompeo e da mamma Olanda. Si
riportò a casa naturalmente la sua bicicletta da corsa di
seconda mano ed inizio a girare per San Salvo. Entusiasta
per quella sua prima avventura ciclistica, seppure non
andata a buon fine, ne parlava con orgoglio ai suoi vecchi
amici sansalvesi, ai quali usciva quasi la bava dalla
bocca nel vederlo in sella ad una bici da corsa vera, una
delle poche, se non l’unica che vi era in quel tempo a San
Salvo.
Non potendo ritornare a La Spezia per motivi familiari,
Armando restò tutto l’inverno a San Salvo, continuando
tuttavia ad allenarsi, pensando di poter tornare prima o
poi in Liguria dai suoi amici. Per tenersi in forma
partiva da San Salvo e se ne andava in solitario per la
via di Palmoli o di Montenero, ascendendo tornanti e
colline del nostro tenue Appennino, imparando in discesa a
tagliare il vento e sognando traguardi lontani.
Compì 15 anni a furia di pedalare.
Nel contempo i muscoli delle sue gambe si erano
ulteriormente irrobustiti, fino a non fargli sentire più
alcuna fatica ed era diventato un tutt’uno con la sua
bicicletta.
Fu durante uno di questi allenamenti che incrociò per caso
un giorno Cesare Irace, detto Pracentene, personaggio da
sempre stravagante, che abitava adde llà da fiume
(al di là del fiume Trigno), in una masseria nel
territorio di Montenero di Bisaccia, anch’egli ciclista in
erba e tuttora con una passione incrollabile per il
ciclismo. La passione in comune per la bicicletta li fece
diventare amici, nonostante Irace avesse qualche anno più
di lui. Cesare Irace era tesserato con la società sportiva
“Virtus Montenero di Bisaccia”, il cui factotum era Don
Giovanni Cremonese, medico, Ufficiale Sanitario di
Montenero di Bisaccia, appassionatissimo di ciclismo, che
dopo aver conosciuto Armando lo tesserò per farlo correre
nella categoria esordienti dell’Abruzzo e Molise, essendo
le attuali due regioni all’epoca non ancora divise.
La domenica seguente, era l’anno 1957, erano in programma
due "corse di biciclette": una a Pescara ed un’altra nelle
sue vicinanze. Don Giovanni disse ad Armando di prepararsi
perché sarebbe passato a prenderlo per farlo esordire.
Come promesso, alla domenica, il dottor Cremonese, dopo
essere passato a prendere Irace, con la sua Balilla nera
targata CB 39, si recò a casa di Armando, ove caricarono
la bicicletta sulla “cappotte“ dell’auto e di nascosto da
papà Pompeo, che avversava la passione del figlio per il
ciclismo, partirono per Pescara.
Il viaggio, sulla vecchia statale 16 piena di curve, fu
alquanto disagevole. Ad Armando, che aveva passato una
notte insonne per l’emozione ed era più abituato ad andare
in bicicletta che in automobile, fece male “la macchina” e
si dovettero fermare più volte durante il tragitto, con
Don Giovanni che probabilmente pensò dentro di lui di aver
ingaggiato un brocco.
Fatto sta che giunti a Pescara, il dottor Cremonese, lo
fece scendere nel luogo di raduno dei corridori e dopo
averlo istruito sulla corsa, proseguì il suo viaggio
accompagnando Irace in un paese vicino dove si svolgeva
l’altra gara. Prima di lasciarlo gli raccomandò tuttavia
di farsi ritrovare per il viaggio di ritorno
all’imboccatura della pineta d’annunziana di Pescara.
Armando restò solo con la sua bicicletta in preda ad una
forte emozione. Finalmente il suo sogno di corridore stava
per avverarsi. Si mischiò, con la sua maglietta colorata,
con la scritta “ Virtus Montenero di Bisaccia”, ad altri
ragazzini che come lui indossavano magliette colorate e
che come lui sognavano di diventare da grandi corridori di
biciclette e dopo un po' partì per la sua gara d'esordio.
Non vi racconto cosa successe in corsa. Vi dico solo che
la sera il dottor Cremonese, ritrovò , come da istruzioni,
Armando seduto su uno “zoccoletto” di cemento
all’imboccatura della pineta di Pescara. Si fermò e gli
chiese:
“Beh, com’è andata?”.
“Ho vinto!”, gli rispose Armando.
“Non è possibile”, gli rispose incredulo il dottor
Cremonese.
“Si ho vinto!”, gli disse di nuovo con orgoglio Armando,
porgendogli la coppa appena vinta.
“Porca Miseria!”, imprecò commosso il dottor Cremonese,
che in dialetto monterenese aggiunse: “Sono anni che
aspetto il momento di farmi una foto con una coppa in
mano, accanto ad un mio corridore che indossa la maglia
della Virtus Montenero di Bisaccia, ed oggi che potevo
finalmente farmela sono andato dietro la corsa di Irace",
il quale era incappato in una giornata storta e se ne
stava mogio mogio seduto dentro la Balilla.
Fu l’unico anno in cui Armando corse come esordiente con
la “Virtus Montenero di Bisaccia”. Negli successivi venne
tesserato come allievo dalla società sportiva “Pedale
Lancianese”, nella quale restò due anni (1958 e 1959).