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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti di Fernando Sparvieri



Un po' di storia locale raccontando personaggi










Il Piave mormorò
(Un certo Ermo Lungo)

(Fatterelli)

di Fernando Sparvieri


"Il Piave! Il Piave", gridava da 'mmànde a lu capescále (da sopra il pianerottolo) zi' Angele Lúnghe (zio Angelo Longhi).

E noi sotto, attaccavamo: "Il Piave mormorava caldo e placido al passaggio, dei primi fanti il ventiquattro maggio... pa ra pá, pa ra pá. L'esercito marciava.... ecc. cc".

"Bena!!!" (Bene), gridava soddisfatto zi' Angele, sempre ammànde a lu capescále, facendoci anche uno sbattamano con le mani (un applauso), avrebbe detto mio nonno Sebastiano.

Eravamo ragazzi e stavamo facendo le prove con le chitarre elettriche e la batteria ad una camera al piano terra, a fianco alla cucina, della casa in C.so Garibaldi di Angelo Longhi, il batterista, e suo nonno Angelo, che aveva la sua camera da letto al piano primo, sentendoci suonare, si era affacciato, senza che noi lo vedessimo, alla porta ch'ardave a lu capescále (che ridava sul pianerottolo), e ci aveva gridato: "Il Piave! Il Piave!".

Contenti e felici per aver esaudito la sua richiesta, ricominciammo le prove.

"Yesterday, all my troubles seemed so far away..."

"Il Piave! Il Piave!", gridò di nuovo zi' Angele, sempre ammànde a lu capescále.

E noi sotto: "Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 Maggio ecc. ecc. ecc.". E poi concludemmo: "Il piave mormorò, non passa lo straniero, zan zan".

Ero sempre io, con la mia chitarra elettrica, ad attaccare per primo, ad ogni invito di zi' Angele, a suonare il Piave. Mi piaceva fare commedia ed il fatto mi divertiva.

"Quésse, sciàreme, ha fatte la 'uerre de lu quénecie diciotte" (Questo, mio nonno, ha fatto la guerra del 15-18), se ne uscì sorridendo ed orgoglioso suo nipote Angelo, forse anche un po' per giustificarlo, anche se non ci serviva, e ricominciammo le prove.

Ma dopo un po': "Il Piave! Il Piave!", gridò ancora una volta zi' Angele da 'mmande a lu capescále

"E che cazze! Mo avaste nà!" (E che cavolo! Ed adesso basta! No!), si arrabbiò di colpo suo nipote Angelo, che 'ngrufuénne l'ucchie (alzando le sopracciglia) ed arrúfuènne lu náse (arricciando il naso), si alzò di scatto dalla batteria, andò sotto a lu capescále, e fece nu presentat'arme (una cazziata) al nonno, facendogli fare una seconda ritirata di Caporetto in camera, dicendogli che era ora di smetterla. E si incazzò pure con me perché ridevo.

Era fatto cosí Angelo. Era un bravo ragazzo, ma per lui la musica era un fatto serio, una cosa sacra, e non ci si poteva mica tanto scherzare!

Zi' Angele
, poverino, che gli voleva un bene pazzo e che alla festa di San Rocco del '59 (quella in cui fecero i capi deputati i capi democristiani), gli aveva pagato anche una decina di giretti all'autoscontro (il primo che venne a San Salvo), se ne rientrò, da mmànte a lu capescale, nella sua camera da letto e non si affacciò più, vedendo che suo nipote si era seccato. Ed anche il Piave si seccò.

Angelo Longhi, alla guida dell'automobilina ed al suo fianco nonno Angelo, che gli pagava le corse in autoscontro.


Succedeva e succede così ieri e oggi ai nonni, che si fanno accéte pe' li nepìute (si fanno ammazzare per i nipoti) e poi i nipoti, quando diventano grandi, non li cacano proprio più, non invitandoli manco al loro compleanno, per timore di fare uno sbianco.

Angelo Longhi sicuramente non era un nipote di questi, anche perchè lui, il compleanno, come tutti i ragazzi dell'epoca, non lo festeggiava mai. Aveva sgridato quel giorno suo nonno non perchè fosse un "Prepotente", gruppo beat in cui suonava, ma solo per una questione musicale e non caratteriale.


Angelo dei Prepotenti
Era fatto così Angelo solo quando si trattava di suonare. Seduto sullo sgabbello della batteria, suonava sempre serio, non gli scappava mai una risata. Faceva così anche quando suonava con il suo gemello siamese Tonine Marescialle (Tonino Masciale), il leader del gruppo: stavano sempre a litigare e ripaciare (fare pace). Se non ci credete, cliccate qui. E faceva così anche quando se ne andava al campo sportivo a giocare a calcio. Giocava serio in difesa e spesso all'avversario, essendo batterista, ed anche sassofonista, glie le suonava. Ne sa qualcosa un calciatore del Monteodorisio.

Cosa diversa era invece quando se ne andava al bar con gli amici o a cenare: faceva sempre carte lui, facendoli crepare di risate. Con ironia ed una puntina di sarcasmo arsecàve (imitava le persone), e j'arrennave la baje (rifaceva la loro voce). Una volta fece incazzare di brutto un nostro illustre concittadino, che per una questione di camminatury non oso nominare, che avendo saputo che Angelo l'arsecave (lo imitava), lo mandò a chiamare. Si giustificò dicendogli che era stato solo un modo per scherzare, che lui in fondo lo stimava tanto, e quindi di non prendersela poi così, tanto a male.

A male invece se la prendevano molti politici locali, i suoi bersagli preferiti. Glie ne diceva di cotte e di crude e ngi lassáve manghe Sande Sabbastijane (modo di dire dialettale per indicare che non esentava nessuno da critiche, neppure San Sebastiano), ma lo faceva sempre così, tanto per non scherzare.

Angelo Longhi, il secondo in piedi da destra con la pagnotta in mano. Quella sera fregò le melegnáme (le melanzane) che sua mamma aveva cotto per mangiarle il giorno seguente in campagna e le mangiò in piazza, insieme agli amici (Anni '60- Piazza Municipio).


E non scherzava Angelo, nel senso che era un portento, anche quando faceva le scaricate sul rullante, sul tom tom e timpano della sua batteria. Ci sapeva davvero fare. Aveva un senso del ritmo eccezionale.

Video

Angelo.Longhi


E non poteva essere diversamente, visto che era figlio d'arte. Suo padre Guglielmo Longhi (Ujérme Lúnghe) era stato il primo batterista locale.

Secondo la leggenda pare che addirittura lu jezzband, così chiamavano la batteria i sansalvesi, se l'avesse costruita interamente con le sue mani. In realtà prese un tamburro da banda, regalatogli da Nicúline lu panattìre (Nicola Artese, panettiere), che non si sa come se lo ritrovava nel forno; con un tamburino, tipo quello del "Tamburino sardo", ci fece il rullante, sciolse nel fuoco il rame che era nei bossoli di ottone dei cannoni e ci realizzò un piatto, o meglio un piattino, poco più grande di quello del caffé. Poi si autocostruì le bacchette, con il legno di quercia (secondo me però adoperò 'na mazza vicchie de granare), fece realizzare da un fabbro il pedale per la cassa e tanti aggeggi vari, e con un pò di fantasia, applicò sulla grancassa tavole e tavolette sonore, tipo quella per il cha cha cha, e fondò la sua orchestrina. Nome dell'orchestra: Follia Jazz.

Era davvero uno spettacolo vedere quel jezzband. Sulla grancassa Guglielmo ciavé' artrattìte (ci aveva disegnati) una chiave di violino, du' mammuccélle ch'abballáve (due ballerini) e qualche altro sgrezzàtte (disegnino caratteristico), attinenti al mondo musicale.

Una formazione dell'orchestrina Follia Jazz. Da sin. Vito Tomeo (fisarmonica), Guglielmo Longhi a lu jezzband (alla batteria), Nicola Masciulli (piatti da cucina), Angiolino Fioravante (chitarra), Angiolino Ialacci (fisarmonica). Spettatore Angelo Cilli.


Angelo Longhi, con la batteria di suo padre Guglielmo. Alla fisarmonica Tonino Masciale. Alla chitarra Vetale Castéllétte, lu barbìre (Vitale Ciavatta, il barbiere).


Le formazioni di Follia Jazz, cambiavano ogni tanto, a causa del ricambio generazionale. L'unico che non cambiava mai, insostituibile, era sempre lui: Ujérme Lúnghe.

La formazione titolare e originale, la prima, era quella composta da Ujérme Lúnghe a lu jezzband (alla batteria), Marcelléne (Marcellino) Scardapane, che era tornato dall'Argentina, dove aveva imparato a suonare il bandeon ed il flauto traverso; Miliúccie Marchiunétte (Emilio Di Cola)alla fisarmonica; Denate Cutturìlle (Donato Cilli), il fotografo, alla chitarra banjo, e Enéche (Enea) Marzocchetti, alla cornetta, strumento che aveva imparato a suonare in collegio, da ragazzino.

La seconda invece, un po' meno accessoriata, era quella della foto di cui sopra, con Angiulìne de Fioravante alla chitarra, o meglio Rossano Brazzi (così era soprannominato), Angiuline Ialacci alla fisarmonica, e Vitúccie (Vito) Tomeo, nipote di Guglielmo per via di sua moglie Domenica Onofrillo (di origine casolane), il quale si era comprato una bella centevende bass (una fisarmonica con 120 bassi), e andava con lo zio più pe' maffie che per suonare. Componente inamovibile e principale: sempre lui Ujérme Lúnghe, artista tuttofare.

Riscuoteva molto successo, in quella società ancora totalmente contadina, Follia Jazz, l'orchestrina di Ujérme.

Erano quelli i tempi in cui non c'erano ancora i ristoranti in paese, ed i pranzi nuziali ed i ricevimenti si svolgevano nelle misere case, magari buttando per terra nu tramézze (una parete) per allargare la stanze (la camera) dove poter mangiare e la sera ballare.

Ebbi la fortuna di ascoltarla tantissimi anni fa "Follia Jazz", l'orchestrina di Ujérme Lunghe.

Ero un bambino ed andai ad un matrimonio di un cugino di mia madre, appartenente a la Fabriziáré (alla famiglia Fabrizio). Z'ave' spusate Mudeste, nu feje de Ludujne (Si era sposato Modesto,un figlio di Elodia), parenti di mia nonna, con una bella ragazza di Cupello. Mi ci portarono i miei nonni. Mi misero nu vestitìlle (un vestito da bambino), che mi aveva cucito il sarto Gino Fabrizio, un altro cugino di mia madre, e andai a la spóse, cosi si chiamavano i matrimoni a quei tempi.

Mi sentii uno schifo quel giorno con quel vestitino addosso. Aveva una tasca arpezzáte (rattoppata).

Era successo che stavano costruendo l'Asilo di Via Firenze ed una domenica pomeriggio, non c'era nessuno in cantiere, salii sul camioncino dell'acqua dell'Impresa Molino, che era lì parcheggiato. Feci un salto per scendere e crashhh. Mi si infilò un grosso ferro filato nella tasca destra della giacca, che si strappò all'istante, penzolando all'ingiù ad un lato.

Che scalogna! Allaure l'ave' ngignate! (Era la prima volta che lo indossavo!).

Pensavo che i miei genitori l'avessero buttato a lu munnezzáre (all'immondezzaio) quello schifo di vestito, ed invece me lo ritrovai in chiesa, a Cupello, durante la foto di gruppo matrimoniale.

Qualcuno l'avé' 'rpezzáte con ago e filo e gli fece una specie di scopidù (scooby doo), insomma un rattoppo da scarpáre (da calzolaio).

Per nascondere il rattoppo mi mettevo la mano in tasca, afferravo lo scopidù dall'interno e me lo tenevo stretto nel pugno, non facendolo vedere alla gente. Nonostante il trucco da bambino intelligente, mi sentivo però un pezzente.

Foto di gruppo dinanzi alla Chiesa della Natività di Santa Maria Santissima si Cupello. Il primo bambino a sinistra nella foto è Fernandino Sparvieri, nghe la fraffalle 'nganne e la mano nella tasca destra, per non far vedere, in fotografia, la tasca rammendata dopo il salto dal camioncino dell'acqua dell'Impresa Molino.


Non fece per niente schifo, invece, quella sera, l'orchestrina Follia Jazz de Ujerme Lunghe al ricevimento a casa dello sposo a San Salvo, dove si svolse il pranzo nuziale. Anzi, suonavano tutti live, e non come oggi con le basi. Divenni immediatamente un loro fans.

Era Guglielmo però l'artista principale. Suonava lu jezzband, comandava la quadriglia ed era uno showmen eccezionale.

"Giro giro tondo casca il mondo, casca la terra e tutti giù per terra", comandò durante la quadriglia. E via gli sposi e gli invitati tutti giù per terra (secondo me j'ave' fitte gerè lu muànne). Era tutto lì il mondo musicale dei sansalvesi, lontanissimo dai grandi concerti che si tenevano lontano, nelle grandi città italiane. Per di più Guglielmo li faceva anche acciuccare (accovacciare) per terra, come se non si fossero mai "acciuccati" in campagna, per lavorare o per cacare.

Insomma quell'orchestrina era 'na rése e nu chiante (una risata ed un pianto): una risata perché metteva allegria, ed un pianto perché c'era da crepare di... risate.

Successe quando Ujérme Lúnghe, che parlava bene sette lingue ed un po’ meno l’italiano (una per ogni paese in cui era stato in guerra o era emigrato per lavoro), si esibì in esiliranti giochi di prestigio: faceva roteare sul palmo della mano un bicchiere pieno di vino, passandoselo dietro al collo, per poi riprenderlo con l'altra mano, senza mai far cadere un solo goccio per terra. Poi dava vita alle famose ombre sansalvesi (all’epoca nessuno conosceva quelle cinesi), che realizzava proiettando sul muro, a luci spente, con una candela, l’ombra di due fazzoletti che si era infilati nelle mani, a cui aveva dato in precedenza la forma di du’ cappìcce (due cappucci), creando i personaggi de lu municiàrille e de la munecarélle (del giovane monaco e della giovane monaca), a cui dava voce in singolari macchiette con il contenuto che, com’è immaginabile, aveva poco di sacro e molto di profano.

Era lui e solo lui, Ujérme Lúnghe, il vero intrattenitore ed animatore di quelle misere serate.

La gente, per chi sapeva leggere, leggeva sulla cassa la scritta Follia Jazz, ma per tutti era l'orghestre de Ujérme Lúnghe.

Una sera, la giovane maestra elementare Elena Cantalini, originaria di Navelli (AQ), che anni dopo sposò il mio Preside dell'Istituto Magistrale, Prof. Luigi Martella, valente pittore vastese, venne invitata ad una festa, in cui suonava Ujerme Lúnghe 

Il giorno appresso le chiesero com'era stata la festa.

"Meravigliosa. Divertentissima!", rispose in italiano.

 "C'era un certo Ermo Lungo", concluse.

11 Ottobre 2022

Altro piccolo aneddotto
Quand'ero un ragazzo, tante volte mi è capitato di andare a suonare ai matrimoni con Tonino Masciale ed Angelo Longhi. Io ero più piccolo di loro (Masciale era del '46 ed Angelo è del '47). Un pomeriggio, mi recai a casa di Angelo, perché dovevamo andare a suonare ad un matrimonio. Angelo mi disse di aspettarlo perché si stava facendo la doccia. Mi accesi una sigaretta davanti la sua casa e e mentre ero lì si affacciò sull'uscio suo padre Guglielmo, che era un tipo davvero originale. Come già detto parlava correttamente 7 lingue, anche se un po' meno l'italiano.
"Buonasera Sparviero!", mi chiese, "Cosa stai a fare?".
"Sto aspettando Angelo", gli risposi. "Dobbiamo andare a suonare".
"Quanti anni hai Sparviero?", mi chiese di nuovo.
"Ventitre", gli risposi.
"Ahhh", mi disse ciondolando la testa, un po' sconsolato: "Tu sei ancora un ragazzo, ma mio figlio ha ormai un trentennale!!!".
E se ne rientrò dentro.

Se volete conoscere la storia meravigliosa dei Prepotenti, il primo gruppo beat sansalevese, con Angelo Longhi batterista, cliccate qui.




I racconti di Fernando Sparvieri

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I forestieri a San Salvo



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