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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti di Fernando Sparvieri



Un po' di storia locale raccontando personaggi










'Ndónie 

di Fernando Sparvieri

Antonio Cilli, ritratto al centro nella foto, durante un corteo del IV Novembre, con lo stemmino degli invalidi civili sull' occhiello della giacca, prima di entrare nella chiesa di San Giuseppe.


Tra le persone che hanno caratterizzato la mia adolescenza, ve n’è una particolarissima, che forse ricordo più di tutti con affetto, tanta stima e simpatia.

Si chiamava Antonio Cilli e lo chiamavano Ntonie cucciulàune per via del fatto che aveva lievemente la testa un po’ più grossa del normale.

Era persona linda, pulitissima, nell’animo e nel cuore.

Dicevano che fosse un sempliciotto ed un po' ingenuo lo era, non per niente era invalido civile, ma era un bravo uomo, con tanta voglia di apprendere e migliorarsi. Da bambino l'aveva scampata ad una meningite e questo aveva condizionato un po' la sua vita. I genitori l'avevano  mandato a lu mastre a lu scarpáre (ad un mastro calzolaio) dove aveva imparato a cucire le scarpe a mano. Era bravissimo, preciso, in casa aveva tutti i ferri del mestiere, ma non aprì mai bottega.

Non aveva studiato Antonio. Non so con esattezza se avesse conseguito la licenza elementare, ma credo di sì. Un giorno si mise a parlare con me di storia risorgimentale, dei carbonari, Garibaldi, Mazzini e Giovine Italia, e mi disse che era andato alla scuola serale dai miei genitori, giovani insegnanti fuori ruolo, e che erano stati loro ad insegnargli quelle nozioni storiche. C’è n’erano tanti di ragazzi suoi coetanei che avevano frequentato quella scuola serale nel dopoguerra, appositamente istituita dallo Stato per fare loro prendere la licenza di quinta, non avendo potuto studiare durante la guerra. Antonio era stato uno di questi.

Ciò che mi stupì, frequentandolo, fu il fatto che ricordava a memoria tutto ciò che aveva imparato, per filo e per segno. Si esprimeva , quando non parlava in dialetto, in corretto italiano, forbito, con una dizione tutta sua, quasi scandendo le sillabe, con accenti chiusi, senza alcuna inflessione dialettale, che potesse rivelarne il luogo d'origine. Leggeva tutto ciò che gli capitasse a tiro.

Un giorno mi disse: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti e nelle forme della Costituzione… stessa”, usava concludere. Anche questa era una sua reminiscenza scolastica.

Qua’ è lu preme articule de la Costituzione italiana” (Questo è l'articolo 1 della Costituzione italiana), mi disse quando terminò di citarmelo. Io, che ero un ragazzo, non lo avevo mai sentito quell’articolo, non lo conoscevo. A dire il vero non sapevo bene neppure cosa fosse la Costituzione. Antonio invece lo sapeva e ne aveva imparati a memoria, da autodidatta, tanti altri di articoli della Costituzione… stessa, come soleva aggiungere lui al primo articolo. Qualcuno in paese diceva che addirittura li conoscesse tutti. Per questo motivo i ragazzi, incitandolo a dirne qualcuno, dopo averlo ascoltato, ridevano e lo prendevano in giro, specialmente le mannèbbele de le frabbecatiure (apprendisti muratori), che a ripensarci bene, oggi, non so sino a che punto fossero migliori di Antonio, culturalmente e non solo.

Aveva una memoria di ferro Antonio. Era il suo forte. Un giorno mi cantò una canzone. Aveva saputo che io suonavo la chitarra e volle farmela ascoltare. Gli piaceva tanto. Il suo titolo era ”Rosetta e Peppino”. Mi disse: “ Qua’ è lónghe! E’ sedici parte” (E' una canzone lunga. Costituita da 16 parti). E poi modulando la voce sulla vocale finale, stonando un po’ con l’intonazione ad ogni inizio strofa, attaccò: “Ognun di noi abbiamo un destino-o-o-o, uno studente chiamato Pepino-o-o-o-, era figlio di un grande dottore-e-e-e- …” e via cantando, per sedici parti, tutte imparate a memoria. Era una canzone tragica, di un amore contrastato dalle famiglie dei due giovani innamorati.

Ed a proposito di amore, era scapolo Antonio e non sono certo se avesse mai fatto all’amore. Qualcuno, per divertirsi un po’, gli chiedeva se fosse stato qualche volta con una donna. Lui rispondeva di sì e poi diceva a conferma: “La ci... è nuvandanove grade chiu’ dàggie de lu méle”. Per poi concludere: “Sole ca canda fenescie fa ggire’ la cóccie” (La .... è novantanove gradi più dolce del miele. Solo che quando finisci fa girare la testa).

Era davvero un simpatico personaggio Antonio. Era un figlio di quella società contadina che non navigava come tanti nell’oro, ma non si faceva mancare nulla. Viveva con la sua ottima e laboriosa famiglia, brava gente, stimata e riverita da tutti in paese. Terzogenito, era educatissimo e rispettosissimo del prossimo, anche se il prossimo qualche volta non lo era con lui. Quando se ne accorgeva si arrabbiava e se ne andava dicendo: “Sti disgrazijte, miserébbele e mìule” (Disgraziati, miserabili e muli).

Aveva sulla fronte più che delle cicatrici, dei segni quasi invisibili sulla pelle, giallastri. Mi disse che quando era bambino ave’ jttate a lu fucheláre le fedeléne (aveva buttato nel caminetto "le fedelene") e che erano scoppiati al contatto con il fuoco bruciandogli la pelle in modo non evidente, ma se ci si faceva caso si vedevano. “Le fidelene” erano esplosivi estratti da un tipo di bomba bellica, simili alla pasta alimentare chiamata “capellini" (in dialetto fedeléne), che dopo la guerra, grazie a zi’ Dumeneche Izzarille, che sminava i campi disseminati di ordigni, i sansalvesi usavano con molta attenzione per accendere il fuoco.

Un giorno Antonio mi raccontò di una sua disavventura.

Mi disse che un tardo pomeriggio Nine de Remmecchele (Nino De Francesco), un aitante macellaio del paese, se lo portò con lui, insieme a “Senzafamiglia”, il soprannome di un suo aiutante in commercio, in una masseria vicino a Petacciato. Andarono con una FIAT1100.

Lì Nino, che commerciava in cavalli ed altri equini, comprò ‘na bistie (una bestia), così erano chiamati in dialetto asini, muli e cavalli. Qualche ora prima dell’imbrunire ripartirono.

Nino e Senzafamiglia ritornarono in 1100 e dissero ad Antonio di riportare a San Salvo la bistie a péte (l'animale a piedi).

Mi disse Antonio: “Z’avè fatte schìure e jé, invece d’armené a ve’ de Sande Salve, so’ sbajate ve’ e me ne so’ jute a ve’ de Ujunéscie. M’ave’ pérze. Caména caméne, a nu mumènte aje veste ‘na lìuce a ‘na fenéstre de ‘na massare’. So’ jute a lóche, so’ tuzzuluáte. Che le disgrazijte, appene m’hanne vèste m’hanne scagnìte pe nu ladre de bìstie. M’hanne acchiappìte, m’hanne fitte ‘na sunìte de mázzate, m’hanne attacchìte vicéne a ‘na róte de nu trajéne e hanne chiamìte le carabbenìre. M’hanne purtìte a la caserme de Mundenìre e lu marescialle ha dette ca me mettàve ‘ngalé. J’aje dette: Nessun cittadino, può essere arbitrariamente arrestato, né detenuto, né esiliato” (art.9 della Dichiarazione Universale dei diritti umani).

«Ue’ pure gli articoli di legge tu conosci?», m’ha dette lu marescialle. Hanne telefunìte a Sande Salve e dóppe nu páre d’hàure e meniùte Nine de Remmecchéle e m’hanne arlassìte. Che le disgrazijte, meserébbele e mìule”, concluse.

Traduzione: "Si era fatto buio ed io, invece di tornare a San Salvo, sbagliai strada e me ne andai verso Guglionesi. Mi persi. Cammina, cammina, ad un momento vidi una luce ad una finestra di una masseria. Mi recai lì e bussai. Quei disgraziati dei padroni, appena mi videro, mi scambiarono per un ladro di cavalli. Mi saltarono addosso, mi malmenarono, mi legarono vicino alla ruota di un carro e chiamarono i carabinieri che mi condussero alla caserma di Montenero di Bisaccia. Lì il maresciallo mi disse che ero agli arresti. Io gli risposi: "Signor maresciallo! Nessun cittadino, può essere arbitrariamente arrestato, né detenuto, nè esiliato". Ed il maresciallo mi rispose: "Ehi! Conosci pure gli articoli di legge tu?". Poi telefonarono alla stazione dei carabinieri di San Salvo e dopo un paio d'ore venne Nino di Remmichele, il macellaio, e mi rilasciarono".

Eh sì! Antonio conosceva gli articoli della costituzione e non solo, e si difese, anche se ieri come oggi, serve a poco, haimé, conoscerli. Ne sapeva tanti di articoli a memoria Antonio. Qualcuno diceva che li conoscesse addirittura tutti quelli della costituzione e per questo lo prendevano in giro.

E’ proprio strana la vita. Spesso succede che si prenda in giro qualcuno, quando ad essere presi in giro dovrebbe essere chi prende in giro gli altri.

Lo chiamavano 'Ndónie cucciulàune perché aveva la testa lievemente più grande del normale.

A ripensarci oggi era davvero nu cucciulàune (un uomo colto) 'Ndónie cucciulàune, rispetto a tanti altri, che avevano la testa più piccola, anzi piccolissima, senza materia grigia, in quella società analfabeta, in cui l'ignoranza sfociava spesso nella stupidità.

Antonio era invece una persona buona, rispettosa del prossimo e piena di voglia di apprendere. L’avrei visto bene in un convento a fa lu picozze (a fare il picozzo), un frate laico che non dice messa. Sarebbe stato il suo posto ideale.

Visse gli ultimi anni della sua vita in una casa riposo a Vasto Marina, in una meravigliosa villetta signorile con giardino, ad un passo dalla Chiesa Stella Maris ed a due dal mare. Avrei voluto andare a trovarlo quand’era lì, ma non feci in tempo.

Ogni volta che passo di lì lo ricordo con tanto affetto e nostalgia.

Grazie Antonio della tua semplice e sana amicizia.

Eri persona semplice e meravigliosa.

Se mi stai leggendo, lassù in Paradiso, ti prego di scusarmi se qualche volta ho riso anch'io di te insieme a le mannébbele de le frabbecatiure e ti confesso una cosa che non sai: grazie a te un giorno feci un figurone dinanzi ad una commissione d’esami, quando durante l’interrogazione, dissi: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nei limiti e nelle forme della Costituzione”. Non aggiunsi... stessa... perché avrebbero scoperto che non era farina del mio sacco.

Un po’ di merito in quella mia promozione è anche tuo. Grazie.

25 Agosto 2022


Video
''Ndónie a la scóla serale

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