I casolani a San Salvo
I miei casolani
Il primo nucleo familiare
proveniente da Casoli, propriamente dalla contrada
Guarenna, nel 1902, fu quello di Nicola Travaglini, che si
stabilì a Montalfano, proprio alle spalle di San Salvo.
Nel 1912, i fratelli Carmine e Antonio Travaglini si
stabilirono nel territorio vero e proprio di San Salvo,
nella contrada Colle Pagano, dopo aver comprato 12 ettari
di terreno da don Silvio Ciavatta, un ricco possidente che
aveva il palazzo di famiglia a S. Apollinare. I fratelli
Travaglini provenivano dalla contrada Guarenna Vecchia di
Casoli. Successivamente ampliarono la loro proprietà con
le rimesse dell’America.
Tra il 1915 e il 1916 giunsero altri Travaglini (Domenico,
Antonio e Pasquale), lontani parenti dei primi , che
acquistarono altri 12 ettari di terreno sempre da don
Silvio Ciavatta.
Nel 1924, in territorio del Comune di Vasto, nella
contrada Liquirizia, gravitante economicamente e
socialmente nel Comune di San Salvo,si insediarono Carmine
Travaglini e Giuseppe De Cinque, che avevano comprato 35
“some” di terra” da Don Antonio Ciavatta; e circa 40
“some” furono acquistate dai Rossetti nella zona di “Piane
di Marche” (Piano di Marco, sembra da un certo Contatore).
Sul corpo del terreno venduto a Carmine Travaglini e
Giuseppe De Cinque c’erà (c’è ancora) una sorgente “la
peschiera”, che con documento scritto veniva stabilito
fosse usata a giorni alterni dai due acquirenti mentre la
domenica spettava sempre al De Cinque, perché la sua quota
di terreno era maggiore di quella di Carmine Travaglini e
perciò necessitava di una maggiore quantità di acqua.
Intanto tra il 1925 e il 1926 arrivava a San Salvo,
proveniente da Scerni, Lisandro Altieri.
Nel 1927 si stabilirono a San Salvo, provenienti dalla
contrada “Laroma” di Casoli, i tre fratelli Onofrillo
(Rocco, Domenico e Gilberto), che, unitamente a Carmine
Marcello, rilevarono 41 “some” di terra nella contrada
Grasceta dal signor Antonio Ciavatta, per la somma di lire
431.000, con atto del notaio Don Giulio Di Giorgio di
Casoli. Dovettero, però, attendere un anno per prendere
pieno possesso della proprietà a causa di un’azione legale
dei congiunti di don Antonio Ciavatta, tendente a
invalidare l’atto di vendita.
Nel 1930 arrivò a San Salvo anche la famiglia di Camillo
Bianchi, che aveva comprato “na some e nu mezzette” (circa
13.800 metri quadrati) di terra da Don Oreste Artese,
sempre nella contrada Grasceta.
I motivi che portarono all’insediamento dei “Casolani” nel
territorio di San Salvo furono diversi.
Alla base c’era una grossa frammentazione delle proprietà
nelle zone d’origine, per cui non si riusciva più a
sopravvivere su quei piccolissimi e scomodi appezzamenti
di terreno: l’alternativa era l’America o l’acquisto di un
fondo più esteso e produttivo.
Un esempio della frammentazione della proprietà nella zona
di Casoli ci è testimoniato da un fatto: Carmine
Travaglini prima di comprare a San Salvo, pensò bene di
vendere i suoi terreni: per disfarsi di 3 ettari di terra
dovette fare la bellezza di 54 strumenti!
Un altro motivo che convogliò verso San Salvo diversi
nuclei di “Casolani” risiedeva nel fatto che il prezzo
d’acquisto era molto favorevole, gli appezzamenti estesi e
comodi da lavorare e c’era spesso, al centro della
proprietà, un’abitazione anche se non sempre ben
sistemata.
Anche se pochi dei primi “Casolani” sapevano leggere e
scrivere, tutti mostrarono subito grande spirito di
iniziativa e un forte attaccamento al lavoro; e perciò
guardati con una certa diffidenza da Sansalvesi, che li
vedevano arrivare, comprare le migliori terre e
progredire. Venivano giudicati con una certa sufficienza
per la loro operosità, per il fatto che facevano lavorare
le loro donne, che, inoltre, sapevano anche ricamare e
durante l’invero mettevano in casa il telaio e tessevano
lenzuola e strofinacci per tutta la famiglia. Quando,
molto di rado, qualche donna sansalvese si fidanzava con
un “casolano” le dicevano:” ma mò ti vi a murì di fatije
‘nghe nu casulane!?”.
I “Casolani” introdussero un modo più accurato di
coltivazione della terra e facevano abbondanti raccolti di
grano e granoturco, perché usavano l’aratro di ferro con
le ruote, che facevano trainare dalle mucche bianche di
razza marchigiana o dai buoi. La terra, rimossa in
profondità, dava ottimi raccolti e le “mete” di grano
vicino alle masserie dei “Casolani” erano sempre più
grandi e pian piano molti sansalvesi cominciarono ad
andare “a giornata” dai “Casolani”, anche perché questi,
avendo la masseria al centro delle loro proprietà,
facevano tornare a cucinare le loro donne e consumavano
pasti caldi che davano anche a chi andava a lavorare da
loro. I Sansalvesi, invece, dovevano recarsi a lavorare i
loro piccoli appezzamenti lontani dal paese, dovevano
portare sempre qualcosa da mangiare, che, necessariamente,
era freddo e poco appetitoso.
La legislazione fascista in materia agricola favorì non
poco i proprietari terrieri, che potevano fruire di
sostegni vari; per cui i “casolani” finirono per
avvantaggiarsi ancora di più su chi, al contrario, per
vivere doveva contare solo su un pezzetto di terra, per
giunta mal coltivato, perché sprovvisto di messi agricoli
e di forza lavoro, come era il caso dei contadini locali,
che potevano contare solo sull’asino, su qualche mulo e su
qualche cavallo, in grado di trainare un piccolo aratro di
legno inadatto a rimuovere la terra in profondità: perciò
i raccolti erano piuttosto miseri.
La diffidenza dei Sansalvesi nei confronti dei Casolani, a
volte dovuta anche una certa invidia, non divenne mai odio
e sotto sotto cominciò a tramutarsi in un forte sentimento
di emulazione, che, all’indomani delle seconda Guerra
Mondiale, portò ad una reale e profonda svolta
nell’economia sansalvese.
Si è detto che i “Casolani” erano grandi lavoratori e
pieni di spirito di iniziativa. Qualche esempio: Vitale
Travaglini, tornando dalla guerra e passando per Ortona,
rimase colpito dagli impianti a capanneto; e, una volta a
casa, mise circa 3.000 metri a vigna, che, poi, innalzò a
capanna. Sempre Vitale Travaglini, fu il primo a San Salvo
a comprare lu “Cuzzine”, rossa moto dell’epoca; poi la
comprò il cav. Virgilio Cilli. Il Travaglini fu anche uno
dei primi a comprare per la moglie il fornello a gas,
perché il lavoro della donna “fosse più leggero e
“veloce”, a vantaggio del lavoro nei campi.
In conclusione possiamo dire che l’innesto dei “Casolani”
nell’ambiente socio-economico sanlsavese sia pienamente
riuscito e dato luogo ad una comunità nella quale non si
sono mai verificati reali fenomeni di rigetto e oggi
l’integrazione appare compiutamente realizzata, basata
come è sulla stima e il rispetto reciproci.
Gilberto Onofrillo
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