Il dott. Vitaliano Ciocco (1892-1971) era il figlio del
sansalvese Giuseppe Ciocco e della vastese Amalia
Albertini.
A soli 24 anni nell’aprile 1916 si laureò in medicina e
chirurgia presso l’ateneo della facoltà universitaria di
Bologna dove discusse la tesi di laurea dal titolo:
”Condotta del chirurgo nelle ferite del torace” e subito
dopo superò brillantemente la parte pratica con l’analisi
di due casi di clinica medica, due casi di clinica
chirurgica ed uno di necroscopia clinica.
Fervente interventista, Ciocco partecipò con onore al
primo conflitto mondiale. Con il grado di tenente medico,
salvò diverse vite umane e curò soldati con gravi ferite
recuperati dai diversi campi di battaglia del fronte di
guerra. Venne poi richiamato a San Salvo dai decurioni
amministratori locali per fronteggiare la grave epidemia
di spagnola che all’epoca stava decimando anche la
popolazione sansalvese.
Subito dopo la prima guerra mondiale il consiglio dei
decurioni gli offrì la condotta medica del borgo di San
Salvo dove il dott.Ciocco esercitò la professione medica
per quasi mezzo secolo.
La “spagnola” , fattispecie di epidemia influenzale ad
altissima mortalità, sterminò oltre venti milioni di
persone e di gran lunga superò il numero dei caduti della
prima guerra mondiale. L'agente eziologico dell’epidemia
di spagnola era un virus ibrido derivato dalla
ricombinazione genetica incrociata del virus
dell'influenza umana con il virus dell’influenza suina. La
spagnola (così denominata perché il primo caso si era
avuto in Spagna) esordiva con starnuti, rinite e febbre
altissima. Era però una malattia ad alta mortalità per le
frequenti complicanze respiratorie da ostruzioni
bronco-polmonari.
A San Salvo il brillante dott.Vitaliano Ciocco, sposò la
coetanea Elvira Artese (1882-1955). La consorte era la
sorella del farmacista don Oreste, dalla quale ebbe un
unica figlia di nome Giovanna Ciocco.
Risiedevano in paese a c/so Garibaldi in una bella dimora
dove al pianterreno sotto casa il dr Ciocco aveva
l’ambulatorio medico di esercizio professionale.
Nel 1930 Benito Mussolini aveva detto che il popolo
italiano aveva tre tare genetiche da estirpare: “Il
semplicismo, la faciloneria e la creduloneria” e durante
l’intero ventennio il piramidale potere centrale del duce
veniva ricalcato anche nelle periferie italiane.
Nei piccoli paesi il duce era imitato anche nella
camminatura da banali stereotipi riflessi.
Ogni piccolo borgo aveva il suo potente "ducetto" o
"gerarchetto” di campagna, che spesso in ruoli di podestà,
capeggiavano parate o adunate paramilitari. Tali ducetti
all’ombra del regime sceglievano sedi di sezione e
amministratori locali.
Ricalcavano la gestualità e in camicia nera imitavano gli
atteggiamenti e la tipica oratoria pausata da silenzi del
duce Mussolini. Il medico condotto Ciocco, come tutti gli
altri gerarchetti di paese, faceva dure prove di specchio
per imitare al meglio i modi di fare del potentissimo
maestro duce degli italiani.
Il dr. Vitaliano Ciocco al
centro nella foto.
Durante il ventennio Ciocco diventò segretario politico e
referente politico assoluto del Partito Nazionale Fascista
a San Salvo. Ciocco attivista del PNF dal 1923, divenne
presidente della locale Associazione Combattenti e fu il
promotore a S.Salvo del gruppo d'onore dei reduci di
guerra.
Durante il ventennio fascista nel borgo sansalvese il
dott.Vitaliano Ciocco ebbe il totale controllo politico e
nulla poteva essere deciso senza il suo fondamentale
assenso.
Nel censimento del 1931 San Salvo contava circa tre mila
abitanti mentre la vicina Istonio con 11.066 residenti era
già per densità demografica la seconda città della
provincia di Chieti.
All’epoca le stradine sansalvesi erano senza asfalto,
lastricate con sassi alla buona. La pioggia e la mancanza
di servizi igienici domestici trasformavano quelle
stradine in putride latrine. La gente del borgo aveva
scarponi sempre sporchi di melma. La povertà regnava nel
borgo e il silenzio anchilosante amplificava il desiderio
di una vita con meno privazioni e difficoltà. Molte volte
però tali auspici rimanevano nobili sogni tra le
difficoltà reincarnate tramandate di padre in figlio.
Spesso era difficile pagare il fornaio o perfino la
risuolatura degli scarponi. Il paesino stretto in una
morsa di prospettive difficili non lasciava alcun
spiraglio al sogno di un futuro proiettato al benessere.
Erano tempi molto difficili ed ancor di più lo era per chi
alla sera era più a digiuno del mattino.
Il 4 novembre del 1932 Ciocco, presidente della locale
Associazione Combattenti, venne nominato “Guardiano
d’Onore del Monumento Sansalvese ai Caduti di guerra"
dall’amico podestà Pietro Marzocchetti (con il quale
successivamente avrà vari contrasti). Presenziò
l’innaugurazione e la posa in opera della statua di bronzo
denominata “Vedetta Armata“ posizionata nel giardinetto
pubblico della rimembranza monumento ai caduti di guerra.
Alla presenza di autorità locali e provinciali tra cui
S.E. il cav.Luigi Russo, triumviro prefetto
dell’associazione nazionale combattenti, Vitaliano Ciocco
tagliò il nastro inaugurale con la benedizione del parroco
di San Salvo don Oreste Scatozza.
Momenti
dell'inaugurazione del Monumento ai caduti.
Alla solenne cerimonia partecipò anche la consorte donna
Elvira Artese e la figlia Giovanna.
Il dr. Vitaliano Ciocco fa
il saluto fascista alla statua.
Vitaliano Ciocco aveva diversi collaboratori e fidati
sottocapi di quartiere però non tutti i sansalvesi
gradivano la sua eccessiva politica autoritaria.
Ciocco,
non amava molto i colleghi medici. Non li considerava
affatto alla sua altezza e li trattava come dei
concorrenti professionali. Nel ventennio denunciò alle
autorità centrali il compaesano collega medico Camillo
Artese. Riuscì a sbarazzarsi del collega denunciandolo
come sovversivo politico e soggetto pericoloso per
l’ordine pubblico sansalvese.
Don Camillo venne arrestato dalla polizia fascista a
Noceto nel parmense, a casa del fratello. Per scagionarsi
da quelle pesanti accuse inviò un memoriale all’ispettore
nazionale del PNF. Il memoriale difensivo scritto di pugno
da don Camillo riportava gravi accuse contro il dott.
Ciocco tra cui abuso di potere ed appartenenza associativa
alla vietata loggia massonica termolese Ernesto Nathan.
Don Camillo Artese non ottenne i risultati sperati e non
riuscì a spuntarla, anche perché le autorità centrali non
tennero affatto conto delle sue controaccuse difensive
scritte in tale memoriale.
Venne perciò confinato come antifascista sovversivo.
L’austera politica del dott. Ciocco era temuta e
rispettata in paese.
Ciocco era molto ligio al dovere e anch’egli, come il
duce, non era insensibile alle curve femminili; non
disdegnava affatto le occasionali avventure o
dimostrazioni di alta virilità maschilista.
Vitaliano non era altissimo ma sembrava imponente
allorquando in camicia nera indossava i pantaloni alla
zuava e gli stivaloni lucidi e neri come la cintura
portata strettissima alla vita per mettere in risalto il
possente torace. Nel piccolo borgo sansalvese il medico
Vitaliano aveva inimicizie profonde dettate soprattutto
dal ruolo politico ed invidia sociale.
In quel periodo i contadini del paese a fatica tiravano a
campare ma mettevano al mondo molti figli. La minuta
ostetrica levatrice del paese donna Emma Frasca in
Fabrizio, assisteva le gestanti nei numerosissimi parti
che avvenivano nelle umili dimore sansalvesi senza
l’auxilio delle moderne ecografie, anestesie
subaracnoidali o ginnastiche pre-parto. All‘epoca le donne
incinte sudavano nei campi fino all’ultimo giorno di
gravidanza.
La piccola ostetrica lavorava sodo e senza orario. Aveva
il rispetto totale della popolazione e morirà intorno agli
anni sessanta. La sua unica figlia Lidia Fabrizio sposò il
giovane medico dott. Federico Bontempo.
Donna Emma Frasca,
ostetrica ed un bigliettoda visita del Dr. Vitaliano
Ciocco, Ufficiale Sanitario
All'epoca i parti erano numerosi e sponsorizzati dal
regime con i premi di natalità. Avvenivano in casa con
l’aiuto dell‘esperta ostetrica, di qualche amica, vicine
di casa o una parente stretta. Il costoso medico arrivava
solo nei parti distocici quando il nascituro aveva
presentazioni anomale o un lungo cordone ombelicale.
Accanto al ruolo istituzionale dell’ostetrica condotta era
molto diffuso in quel periodo l’aborto clandestino.
Le gravidanze infatti venivano spesso stroncate dai ferri
da lana di volgari "mammare", vecchie inacidite che non
erano ostetriche e tantomeno esperte infermiere. Tali
"mammare" ignoravano le regole più elementari dell'igiene
chirurgica e queste rischiose pratiche abortive spesso
sfociavano in gravi complicanze con emorragie, infezioni e
conseguent decessi della gravida.
Spesso era il marito a decidere tra la vita e la morte del
nascituro, mettendo a repentaglio la vita della consorte
partoriente (pratica che per molte donne risultò fatale).
Molte di queste sfortunate poveracce avevano conigliate di
figli da sfamare a casa e altre volte erano donne che
pagavano a caro prezzo una solitudine arrivata agli
estremi. Spesso, molte donne italiane, rimaste sole,
lontane dai mariti o fidanzati impegnati nel fronte di
guerra, consumavano strane passioni ed amori di
contrabbando che potevano culminare nel dramma inaspettato
di gravidanze indesiderate. In questi casi la gravida
sottoposta a tali pratiche, veniva considerata alla
stregua di una prostituta dall'opinione pubblica e quindi
tutto doveva avvenire nella più assoluta clandestinità.
L’aborto clandestino cancellava molte volte la difficile
storia tenuta nascosta anche ai familiari. Quando il
rimedio funzionava la triste parentesi si chiudeva ma in
caso di gravi complicanze abortive si passava alla
inevitabile vergogna, ai processi nei tribunali oppure
all’estrema unzione.
L'alta mortalità neonatale spesso occultava decessi di
neonati malformi con la dolosa complicità di pratiche
ostetriche scorrette a volte motivate perfino da vecchi
rancori con la partoriente.
L’ospedale era considerato un luogo per morire e all’epoca
si cercava sempre di evitare i ricoveri e perfino le
costose parcelle del medico. Si ricorreva ai preziosi
consigli dello speziale farmacista amico oppure ai rimedi
popolari tramandati da antiche ricette di infusi e decotti
di erbe non solo aromatiche. Solo in casi estremi, obtorto
collo, si faceva ricorso al medico. Ai più poveri del
paese a proprie spese il comune di San Salvo faceva
eseguire regolari visite mediche dai luminari vastesi
convenzionati della vicina clinica Ricci.
Nel 1935 infatti, il vastese dott. Filoteo Ricci percepì
50 lire di compenso dal comune di San Salvo a saldo delle
visite fatte ai poveri indigenti del paese.
Ciocco, sempre seguendo le direttive di regime, fece
allontare dal paese anche l'agricoltore comunista Giuseppe
Torricella. L’attivista Torricella, da tempo schedato come
sovversivo antifascista, fu portato al confino politico in
un villaggio-lavoro calabrese dove restò sei mesi. La
censura fascista bloccò una sua lettera compromettente e
venne di nuovo processato dal tribunale politico che lo
condannò a tre anni di ulteriore pena con il confino
politico presso Gizzo Calabro da scontare dal 1937 al
1940.
Come nel resto della penisola, anche a San Salvo (tranne
rare eccezioni) tutti erano fascisti o per necessità, o
per convenienza, o per timore o per pura convinzione
ideologica.
Molti emigranti sansalvesi erano ritornati in paese dopo
molti anni di sacrifici all’estero.
Diversi avevano raggiunto il sogno dell'agiatezza
economica come Vincenzo Granata che era rientrato in paese
dopo anni nella lontana terra d’America. Il benestante
emigrante si era fatto costruire una elegante dimora
signorile nella periferia ed aveva acquistato diversi
ettari di terreno. Aveva imparato a parlare anche in
lingua inglese e tutti lo rispettavano. Vitaliano Ciocco,
compare di cresima del figlio Rodolfo, lo incaricò di
distribuire gratuitamente ai contadini le calzature da
lavoro inviate dal regime.
Ad aprile del 1940, pur in guerra, i sansalvesi non
rinunciarono alla festa di S.Vitale. Nel paesino arrivò la
banda musicale di Introdacqua.
Contratto con la Banda di
Introdacqua.
Dopo la liberazione, gli alleati arrestarono il medico
fascista don Vitaliano Ciocco che nel novembre del '43
venne confinato presso il campo di concentramento della
Certosa di Padula in provincia di Salerno. Ciocco venne
confinato assieme al dott. Raffaele Paolucci, al cav.
Achille Lauro e altri illustri fascisti zonali.
Dopo le leggi di riabilitazione e l'amnistia politica il
medico Ciocco rientrerà a San Salvo dove poi resterà fino
al 3 novembre 1971, data di morte.
Gli alleati, entrati a San Salvo nel 1943, rimossero
l'ultimo podestà del paese Giovannino Mariotti e
nominarono commissario prefettizio don Gaetano De Vito.
Con gli alleati rientrò in paese anche Giuseppe
Torricella, liberato dal confino politico in Calabria.
Torricella venne nominato “vigile urbano” ed ebbe anche
molto da fare perchè la gente del paesino aveva messo a
soqquadro l'abitazione e la masseria rurale del dr. Ciocco
per la fantasiosa ricerca di ipotetici ed inesistenti
tesori accumulati illecitamente dal medico durante il
ventennio fascista.
Erano solo infamanti dicerie e non trovando nulla la gente
arraffò la biancheria di casa, parte del guardaroba,
soprammobili e perfino pezzi del mobilio di casa. Lo
sciacallaggio ovviamente non si fermò a casa del medico
segretario fascista ma continuò con calunniose motivazioni
anche in altre abitazioni come a casa Granata.
Il sospetto della mancata distribuzione di scarponi
spediti ai contadini durante il Regime portò le ruberie a
casa di Vincenzo Granata. L’incaricato della distribuzione
delle scarpe da lavoro non aveva approfittato del ruolo se
non in modo alquanto marginale per ricavare qualche lavoro
di riconoscenza nei suoi poderi. L’abitazione venne messa
a soqquadro alla ricerca di inesistenti scarponi e
ovviamente venne rubata perfino la dote e biancheria delle
figlie del vecchio emigrante.
La strana resa dei conti fu una repressa esplosione di
nervi che trovò la partecipazione di vicini che
continuarono il giorno seguente a salutare il vecchio
facendo anche finta di nulla.
Nel 1944 come guardia ferroviaria alle dipendenze del
comune di S.Salvo venne assunto anche Carmine Caruso un
cui verbale, conservato nei carteggi comunali
dell’archivio storico, riporta il fermo di due sansalvesi
sorpresi a rubare la legna vicino alla stazione
ferroviaria (Carteggi dell’arch.storico del comune di
S.Salvo).
Il comandante Benson dell’ AMGOT dettava le sue ordinanze
militari al prefetto sansalvese don Gaetano De Vito.
Minacciava sanzioni contro chi violava le norme emesse dal
comando alleato sul coprifuoco, il mercato nero e il
possesso di esplosivi.
Nell’aprile del 1944 i sansalvesi erano alla fame e
gioivano anche per un mazzo di cicorie selvatiche trovate
nei campi, senza più sale, uova e farina. La gente
accoglieva come benefattori i borsaneristi. In campagna si
viveva meglio delle grandi città. Alla radio Charles
Paoletti, capo del governo militare alleato, ogni giorno
impartiva lezioni di democrazia alla gente che lo ascolta
e diceva: “Mister Paoletti, poche ciance!!! Dacci
spaghetti !!!".
Dal confino il medico don Camillo Artese, venne invitato a
tornare a San Salvo da un gruppo di suoi amici
antifascisti rimasti senza medico per i contrastri avuti
con il dr Ciocco. Durante la liberazione Don Camillo si
prodigò ad assistere non solo la popolazione locale, ma
anche i feriti angloamericani. Appena rientrato Don
Camillo, scrisse una lettera al sindaco in cui diceva di
aver ritrovato il paese in uno stato pietoso e l’artefice
del disastro era stato a suo giudizio il collega Ciocco
brutalmente definito (“di razza porcina”).
A fine estate don Camillo e altri suoi amici, dietro la
spinta della Chiesa locale, aderirono alla DC, la cui sede
prescelta era nel piano terra del palazzo di don Gaetano
De Vito, anch’egli fiero oppositore di Ciocco.
Foto archivio Marco
Granata:prima sede della Democrazia Cristiana, prima
porta a sinistra del palazzo De Vito - S.Salvo,
nevicata
Nel 1947, predestinato ad una lunga carriera politica, si
tesserò alla DC anche Vitale Artese, primogenito di don
Secondino Artese, imprenditore della luce elettrica che
anni prima, era subentrato a Ferragonio, con una moderna
turbina impiantata sul Trigno, per l'elettricità non solo
a San Salvo, ma anche a Lentella ed a Fresagrandinaria.
Dr Vitaliano Ciocco, al
centro, a passeggio per Via Roma. negli anni 50.