Augusto Iezzi il 2° a
sinistra ed Ennio Di Pierro alla sua sinistra, muratori
in Francia
San Salvo va orgogliosa di
aver avuto dal 1930 a metà degli anni ’60, mastri muratori
di indiscussa bravura. Non sapevano né leggere né
scrivere, tuttavia erano svelti nel calcolo aritmetico,
rapidi nella “lettura” dei disegni planimetrici, veloci
nella valutazione numerica della grandezza delle figure
geometriche, inimitabili nella tecnica costruttiva,
eccezionali nell’arte dello scalpello.
Si vestivano con larghi pantaloni di fustagno, camicie a
quadri, maniche rimboccate fino ai gomiti, berretti
confezionati con la carta ritagliata dai sacchi di
cemento.
Per evidenziare la loro autorità nei confronti dei
manovali appoggiavano la matita dietro il lobo
dell’orecchio e mettevano il metro snodabile nella tasca
posteriore dei calzoni. Lavoravano come bestie dall’alba
al tramonto; le mani lacerate dalla calce, dalla polvere
dei mattoni e dalle schegge delle pietre. Per la
disinfezione delle ferite facevano ricorso all’urina.
Sui tavoli delle famiglie salvanesi non è mai mancato un
boccale di vino, perciò, i muratori, specialmente quando
avevano le gole arse, non si facevano “tirare troppo la
giacca”, al cospetto di bicchieri dal soave profumo d’
ambrosia e dal colore rosso rubino.
In prossimità del Natale, del Capodanno, della Pasqua, di
San Vitale e San Rocco si davano appuntamento nelle case
e, tra libagioni e canti, attendevano l’alba.
Nella vigilia della festa di San Sebastiano, patrono dei
muratori, si fermavano nelle viuzze e nelle piazze,
cantando “Lu sansabbastiàne”: “ San Sebastiano giovanotto,
per la fede lui è morto, vicino ad una quercia l’ hanno
legato, cinque frecce gli hanno tirato/ Noi veniamo con il
suono e il canto per l’onore di quel gran Santo”.
Riuscivano perfino ad improvvisare stornellate: ”Puzze
cascà da na scàle di sissànda pìre e vulesse che la mia
bbelle m’ ariccùiesse”. (Possa io cadere da una scala con
60 piuoli e mi piacerebbe che ad accogliermi in braccio
fosse la mia ragazza innamorata).
Si esprimevano con un linguaggio particolare e
indecifrabile quando non volevano far capire all’esterno
le loro conversazioni segrete. Ecco alcune espressioni:
Miggische, la chiospe, la vuornilla fudaràte, lu sguabbie,
lu buerr scupp, lu buerr unnause, lu squardapaije, a
cupuiè, la sgraffagne, lu cupiataure, z’è ‘nburracciàte,
tiggiuvanne, tiggische, lu stresch.
Questi i capimastri che si sono maggiormente distinti:
Virgilio Di Pierro, Ercolino Della Penna, Antonio Del
Villano, Espedito Malatesta, Paolo Malatesta, Antonio De
Filippis, Nicola De Filippis, Umberto De Filippis,
Giovanni Miscione (chiediamo scusa se ci è sfuggito
qualcuno).
Per diventare muratore, a quei tempi, occorreva svolgere
un duro e lungo periodo di tirocinio da mannébbìle
(manovale) senza nessuno contratto di lavoro. I figli, in
genere, all’epoca, seguivano “le orme” dei padri, e anche
i figli dei mastri muratori intrapresero la stessa
“strada”, diventando affermati imprenditori: Andrea Del
Villano, Ennio Di Pierro, e provetti muratori: Ferdinando
Malatesta, Valdo, Roberto e Romeo Della Penna, Roberto Del
Villano, Gino De Filippis, Luigi De Filippis, Rolando De
Filippis.
Altri sansalvesi “purosangue” si sono distinti nel campo
dell’edilizia, affermandosi, ai giorni nostri, come grandi
imprenditori: Gino Raspa presidente dell’ Icea, Mario
Ialacci e fratelli, Gino Del Casale, Augusto Iezzi, Lido
Ialacci e fratelli, Vitale Di Casoli, Tonino Spenza.
I giovani muratori d’oggi hanno perso i legami con le
tradizioni.
Sentiremo ancora echeggiare le armoniose note del“San
Sebastiano” per le strade di San Salvo? Ce lo auguriamo.
Michele Molino