lascia ogni cosa e torna a lavorare i campi. È stato un intimo
amico di Claudio Villa. «
Rocco Martelli ha due figli
e cinque nipoti. Conserva ancora tanta energia, sebbene le
sue ginocchia diano preoccupanti segnali di usura e sia
costretto a misurarsi con le conseguenze di un difficile
intervento chirurgico. Cattolico, devoto a San Nicola di
Bari. Ha sempre avuto una straordinaria passione per il
canto.
Rocco nasce da una famiglia contadina; a sei anni inizia a
frequentare la scuola elementare.
Non ha una grande passione per lo studio, ma mostra una
straordinaria abilità nel gioco delle biglie, al quale si
dedica anche durante le lezioni. Per questo motivo la
maestra, una mattina, lo costringe a restare per mezz’ ora
con le ginocchia sulle biglie e a recitare cento volte il
“ Pater noster”.
Qualche tempo dopo, alla fiera del 25 aprile, il padre
compra due mucche, alle quali dà i nomi di Caggiane e
Signurelle e le affida al piccolo Rocco.
Scoppia la guerra, Rocco non può più’ andare a scuola.
Trascorre le giornate vagando lungo i sentieri minati. Un
giorno, mentre tenta di estrarre pezzi dal motore di un
carro armato tedesco, perde l’equilibrio e cade
rovinosamente a terra, riportando un lungo taglio sulla
gamba sinistra. I medici, onde evitare l’estendersi
dell’infezione agli altri organi, decidono di procedere
all’amputazione dell’arto, ma con una cura speciale di un
infermiere di San Salvo Marina riesce a scongiurare
l’intervento operatorio.
La guerra continua. La popolazione è provata dagli stenti
e dalla sofferenza.
Rocco, a causa delle ristrettezze economiche della sua
famiglia, è costretto a camminare su una coltre gelida di
neve con le scarpe piene di fori. Cerca di saccheggiare un
camion carico di stivali, ma i militari tedeschi
cominciano immediatamente a sparare, egli balza giu’ dal
furgone e scompare tra i pampini delle vigne. La mattina
dopo viene arrestato e condotto nella piazza del paese a
sbucciare patate. Un signore gli si avvicina e lo supplica
di slegare il suo cavallo rinchiuso dai tedeschi nel
recinto poco distante. Rocco, incurante del pericolo,
penetra nella staccionata e libera il cavallo. L’uomo
salta sulla groppa dell’animale, lo ringrazia e si
dilegua.
Diventa grandicello e comincia a fumare. Una mattina
sottrae a un cuoco tedesco un pacco di sigari. Un militare
osserva la scena in silenzio, ma poi afferra Rocco per il
collo e dopo averlo massacrato di botte, lo stende a terra
con calci allo stomaco.
Corre voce che un treno è fermo alla Stazione di San Salvo
con un carico di farina, zucchero e cemento. Accorrono in
molti da San Salvo e dai paesi vicini con carretti oppure
a piedi; Rocco non può mancare, e per fortuna è una delle
ultime volte che rischia la vita per procurarsi il cibo,
perché la guerra volge al termine. Suo padre Nicola
stipula un contratto di mezzadria con Amedeo Artese,
retto, equanime, esperto in agricoltura; seguendo i
consigli del suo datore di lavoro è il primo a realizzare
a San Salvo un pescheto.
Nel giovane Rocco nasce una grande passione per la
campagna, dove si reca con grande entusiasmo, facendo
“risonare” nei vicini campi la sua potente voce
baritonale.
La sua passione per il canto aumenta di giorno in giorno
e, spinto anche dai consigli degli amici, dopo qualche
anno, con la speranza di fare successo, si reca a Roma,
dove conosce Claudio Villa, Gino Latilla e Carla Boni.
A Roma, purtroppo, la vita costa molto e, dopo tanti
sacrifici, è costretto a tornare nel suo paesino con il
cuore in frantumi.
A San Salvo è assunto dalla ditta Di Vaira per la
realizzazione di una diga lungo il fiume Trigno. Arriva
l’inverno. Dopo una settimana di “diluvio universale”,
l’acqua del fiume travolge gli argini e precipita a valle
provocando l’alluvione dei terreni. Rocco e i suoi
compagni di lavoro sono costretti a rimanere in una
casupola, riuscendo a sopravvivere con un mestolo di
fagioli al giorno e bevendo acqua putrida.
Acquista una levigatrice per il marmo e diventa un
levigatore.
Dopo venticinque anni, stanco di quel lavoro, apre una
trattoria in via Stingi.
Nelle sue vene, però, scorre il sangue contadino. Sente il
richiamo della campagna, come il lupo del bosco. Da sempre
ha amato i fiori, gli alberi, gli animali, l’erba e la
terra. La campagna gli ha insegnato a vivere. Solo tra gli
alberi, può ritrovare le cose più belle della vita: la
pace e la serenità.
Così un giorno, all’improvviso, decide di abbandonare
tutto e tornare a lavorare la terra.
Oggi Rocco è un uomo felice. Nel silenzio della campagna
ha riacquistato la sua autentica personalità. Ha ritrovato
la verve canterina, come gli uccelli durante la primavera.
La sua possente voce, sospinta dal vento, sfiora le zolle
e si effonde tra i peschi in fiore.
“Vujie
arimanà a la cambàgne bbelle”.
Michele Molino