Nicola Marchesani ha 90 anni
ed abita a San Salvo dal 1950 in via dei Cipressi. Ha il
viso sottile e intelligente, gli occhi neri e profondi. E’
una persona schiva, semplice, sincera, cordiale. La
perdita della sua sposa gli ha segnato la vita. Infatti
non ancora riesce a superare il dolore per la morte del
suo punto di riferimento. Ha due figlie Lidia e Rosa che
l’accudiscono con estrema cura e attenzione.
Ecco una descrizione sommaria della sua vita.
Nicola, quarto di dieci figli (sei maschi e quattro
femmine) nasce a Vasto da una famiglia di contadini.
“Sfamare” dieci bocche non è una bazzecola. I suoi
genitori non rispondono negativamente appena si presenta
l’occasione di prendere a mezzadria ventuno ettari di
terreno della famiglia dei Suriani. Per rendere produttivo
quelle terre impervie e ostiche occorre la forza muscolare
di tutti i membri familiari. Nessuno dei dieci fratelli si
sottrae al dovere di collaborare. Nicola a cinque anni è
impegnato a governare il gregge di famiglia. Ha tanta
voglia di avere un’istruzione, ma i suoi genitori fanno di
tutto per fargli cambiare idea. Nicola, mano a mano che
cresce, si fa robusto e forte, per guadagnare va a
“giornate”. Un suo cugino lo informa che un maestro ogni
sabato insegnerà a leggere e a scrivere in uno scantinato
poco lontano dalla sua masseria. Nicola dopo aver pattuito
il prezzo, inizia ad andare a scuola. Per sdebitarsi con
il maestro, gli cura l’ orticello.
Purtroppo, dopo qualche anno scoppia la seconda guerra
mondiale, il ragazzo non può continuare a studiare. La
guerra fra le potenze dell’ Asse e quelle dei Paesi
Alleati, si fa, giorno dopo giorno, più feroce.
Monteodorisio e Cupello sono continuamente sottoposte a
violenti bombardamenti aerei. Un giorno, prima del
tramonto, una pattuglia di tedeschi, circonda la masseria
Marchesani e in poco tempo fa razzia di polli, tacchini,
conigli, oche, agnelli. Nicola e i suoi fratelli, per la
paura di essere fatti prigionieri, trovano rifugio sotto i
materassi di foglie. Un soldato tedesco, mentre sta per
inserire le sue chiavi nel cruscotto del camioncino, sente
un grugnito. Salta a terra, sfonda il cancello del fienile
e sotto un cumulo di paglia trova un maiale. Estrae la
rivoltella e gli spara in testa. Quattro soldati alti e
robusti alzano il porco da terra e lo depositano sul
braciere acceso dalla famiglia Trivilini.
Comincia una baldoria infernale. Il vino scorre in gran
copia. Canzoni e schiamazzi continuano fino all’ alba del
giorno dopo. Nicola riesce a sfuggire ai tedeschi, ma non
agli inglesi. Infatti è precettato dal comandante degli
inglesi per le operazioni di scarico di materiale bellico
nell’arenile di San Salvo. Il compenso giornaliero è 50
lire, oltre a due pagnotte. E’ l’occasione per
riabbracciare gli amici che non vedeva da un pezzo:
Secondino Artese, Antonio Napolitano, Alessandro Di Iorio
e Antonio Di Falco. Mentre i lavori di scarico procedono a
buon ritmo, un colonnello fa chiamare Nicola in una tenda
e gli riferisce che il sottomarino dove militava il
fratello, era affondato dopo un’ aspra battaglia sotto i
colpi dei siluri. Il dolore della perdita del fratello lo
accompagnerà per sempre.
Passata la bufera della guerra, un po’ alla volta riprende
la vita di un tempo. Nicola decide di andarsene
dall’Italia, nella speranza di trovare un guadagno che
consenta di elevare il tenore di vita bassissimo e di
aiutare la propria famiglia. Inoltra la pratica per
emigrare in Belgio, ma gli viene respinta. Soltanto due
anni dopo può utilizzare il suo passaporto. Il primo
controllo medico avviene a Chieti. Da lì raggiunge Milano
dove viene sottoposto ad una nuova visita da parte dei
medici belgi. Viene assunto per estrarre il carbon fossile
dalle miniere. Il primo impatto è traumatico: le facce
nere dei minatori, la gabbia dell’ascensore, il buio, i
cunicoli, il rumore dei martelli pneumatici, la polvere di
carbone che sembrava togliere il respiro. Nicola,
comunque, piano piano si abitua a quelle condizioni
rischiose. Dopo aver raggranellato un po’ di franchi,
decide di rientrare in Italia. Le aziende sono disseminate
in tutti i nuclei industriali, eppure una valanga di
curriculum inviati non vengono mai giudicati.
Si arrangia come può. Nel periodo estivo fa il
trebbiatore, in autunno va a lavorare nelle cantine
sociali e nei frantoi. Nella primavera del 1950 iniziano
le sommosse per l’appoderamento del bosco Motticce. Nicola
è sempre in prima fila, comunque paga a caro prezzo la sua
esuberanza giovanile. La sua richiesta di assegnazione del
terreno, infatti, viene scartata dalla commissione
comunale. Nicola non sa cosa fare. All’improvviso decide
di partire per la Francia, dove trova un lavoro, ma dopo
nove anni torna di nuovo in Italia. Resta disoccupato per
diverso tempo e torna a fare il contadino. Parte prima
dell’alba per vendere i prodotti della sua terra nei paesi
limitrofi. Continuerà a fare questo mestiere fino a quando
la forza delle braccia non l’abbandonerà definitivamente.
Le sue condizioni fisiche non gli permettono di uscire
come faceva di solito, anche se viene bene accudito da
Lidia e Rosa. “Nsò vute niende da niscìhune - ha affermato
Nicola prima di salutarci - quàlle che so riscihùte a ffa
durònde la véte li so fatte nghi li vracce mì. ‘Nsò state
ma attaccate a li quatréne, aringrazie Ddé”. (Non ho avuto
mai niente da nessuno, quello che sono riuscito a
costruire l’ho fatto con l’aiuto delle mie braccia. Non
sono stato mai attaccato ai soldi. Ringrazio Dio).
Michele Molino