Ruba i soldi della vendita
del cavallo per comprarsi la bici.
Morti sei fratelli. “Non scrivere che le donne mi fanno
impazzire”.
Cesare Irace, il primo a
destra
Alzi la mano chi non conosce
Cesare Irace, ciclista di razza, idolo dell’Abruzzo e del
Molise, 64 anni ben portati, capelli alla Tarzan. Nasce in
campagna da una famiglia di contadini nota con il
nomignolo di “ Biacentini,” nella zona di San Biase,
territorio di Montenero di Bisaccia, al confine con San
Salvo. In pochi anni, la numerosa famiglia degli Irace si
assottiglia per una lunga sequenza di lutti. Cesare è
l’ultimo di nove figli. Perde sei fratelli, uno dietro
l’altro. I genitori sono distrutti dal dolore. Ed ecco la
sequela della mattanza
Angelo muore asfissiato mentre la madre lo sta allattando,
Nicola annega in un laghetto, Giovanni muore schiacciato
dalla ruota di un carretto, Pasquale muore nell’isola di
Rodi, Ida e Maria annegano nel mare di San Salvo. Della
numerosa “nidiata”restano in vita Cesare e due sorelle più
grandi di lui. Cesare vive in campagna a contatto con la
natura.
A soli sette anni comincia ad accudire gli animali. Il
padre gli affida undici mucche da condurre al pascolo. Gli
amici più fedeli sono il cane pastore e una cavalla di
color marrone di nome Rosina. Conosce i luoghi più impervi
del bosco “Motticce”. Trascorre il tempo, oltre a
custodire gli animali, a piazzare le trappole per lepri,
tassi e fagiani. Dà la caccia anche ai serpenti, che
spesso si attorciglia intorno al collo. Mentre corre
dietro una talpa, inciampa ad un ordigno di guerra
seminascosto dalla vegetazione, ma questo esplode. Cesare
viene inghiottito da un cumulo di terra restando
prigioniero per tre giorni. Esce illeso. E’ maggio, quando
il sole è già alto, i buoi brucano la lupinella selvatica.
Cesare è al riparo sotto l’ombra di un sambuco.
Ad un tratto, davanti ai suoi occhi si presenta una
spettacolo meraviglioso: il passaggio dei ciclisti del
Giro d’Italia. Resta incantato dal dolce fruscio di ruote
che sfiorano l’asfalto della Statale adriatica. Nasce la
passione per il mondo delle due ruote. Sogna ogni tanto di
indossare la maglia rosa del “Giro”. Spera che il padre
gli procuri una bicicletta da corsa. La famiglia non
naviga nell’oro, ed infatti, è costretta a vendere al
primo che incontra la docile e bella cavalla, al primo
offerente. Cesare piange per il dolore. Il padre nasconde
il denaro raggranellato, nella stanza da letto, sotto il
materasso ripieno di foglie di granoturco. Cesare entra di
soppiatto nella stanza del “tesoro”, preleva quarantamila
lire e con quella somma compra una bicicletta da corsa al
negozio di Confucio Ciavatta.
Il padre, appena scopre che manca una parte dell’utile
ricavato, non tarda a capire che l’autore della bravata è
stato il figlio Cesare. Afferra un bastone e si avvia alla
ricerca del “lestofante”. Cesare fa perdere le sue tracce
infiltrandosi per quindici giorni tra i grossi rami di una
quercia secolare. La mamma, però, di nascosto, verso il
tramonto, rifocilla Cesare con fette di pane e ventricina.
Passata la tempesta, Cesare comincia ad allenarsi,
percorrendo migliaia di chilometri. E’ forte. E’ più
veloce del vento. Promette molto.
Firma il primo contratto con la Società ciclistica
“Stadio” di Pescara. Mentre al comando del gruppo percorre
un tratto di discesa che porta al traguardo di Giulianova,
sbanda con la bicicletta precipitando in un fosso. Riporta
una grossa frattura alla testa e la perdita della memoria.
Lo trasportano con un’ambulanza all’ospedale di
Giulianova. Il padre fa celebrare anche una messa. Cesare,
dopo ventidue giorni, supera il coma e torna a casa a
bordo della sua bicicletta, con una vistosa garza che
nasconde trenta punti di sutura. Ritorna alle gare.
In un bar del suo paese, apprende che a Bari si disputa
una gara importante. Né lui, né i suoi amici dispongono di
un automezzo. Di buon mattino, sotto una pioggia violenta,
pedalando forsennatamente, giunge a Bari con gli indumenti
bagnati e intrisi di fango. Al blocco di partenza 85
ciclisti. Taglia per primo il traguardo. Continua a
vincere gare di una certa importanza. Perde lo stimolo
delle corse. Gli piacciono troppo le donne.
Un giorno, improvvisamente, decide di appendere la
bicicletta al chiodo. “ Ho bruciato la mia carriera per
correre dietro le sottane”confidava Cesare ai suoi amici.
Emigra a Portocivitanova cambiando disciplina sportiva. E’
attratto dal pugilato.
Comincia ad allenarsi. Ha un destro pesante. Vince cinque
incontri per k.o. Diventa allenatore in seconda del pugile
professionista sansalvese Nicola Nanni. Cesare incassa 5
mila lire per ogni match. Ma la vita del ring è troppo
dura per lui. Passa al podismo. In salita è irresistibile.
Sul circuito di Bergamo, arriva per primo al traguardo con
otto minuti di vantaggio sugli immediati inseguitori.
Ritorna nella sua casa natale.
S’innamora follemente di Maria, una bellissima quindicenne
di Fresagrandinaria. Dopo un mese di fidanzamento si
sposano. La moglie, a poca distanza partorisce tre volte,
dando alla luce: Toni Loris, Paride Maciste e Gianni Ben
Hur. Per sbarcare il lunario accetta un lavoro da
manovalanza. Impara in pochi mesi il mestiere del muratore
e realizza una bella abitazione nella zona di San Biase.
La lunga astinenza dalle competizioni sportive lo rendono
introverso e malinconico Per “smaltire” la grave
depressione, comincia a mangiare e “bere”smoderatamente
aumentando notevolmente di peso.
Dopo una rigorosa dieta, riacquista una buona forma fisica
e torna al ciclismo. Una sera, mentre rientra a casa,
sente un fastidioso formicolio agli arti, a cui, però, non
dà molta importanza. Una domenica, a Santa Croce di
Magliano, mentre è in testa ad un gruppetto di ciclisti,
sente le forze mancargli e una caligine scendere sugli
occhi. Cesare cade, battendo la testa contro l’asfalto.
Viene trasportato all’ospedale di Vasto in un grave stato.
La sua fibra è forte e robusta.
Cesare, dopo una ventina di giorni, comincia muovere i
primi passi.Tre mesi di ospedale, poi ritorna casa. “Fai
dire una messa a San Matteo ” gli sussurra all’orecchio il
primario del reparto. Cesare non riesce a stare lontano
dal mondo del ciclismo. Torna a gareggiare. A 64 anni già
suonati, nelle corse sa farsi ancora rispettare. Cesare,
ci saluta con forte accento dialettale, poi, aggiunge “
Chi si ferma è perduto, aiutati che Dio ti aiuta. Ti
raccomando di non scrivere che ho il vizietto di andare
dietro le donne. Mia moglie mi lincerebbe!”.
Accontentato.
Michele Molino