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Fernando Sparvieri







Gente del mio paese



gli articoli di Michele



Cesare Irace (Bracindène)
l’idolo d’Abruzzo e Molise

Ruba i soldi della vendita del cavallo per comprarsi la bici.
Morti sei fratelli. “Non scrivere che le donne mi fanno impazzire”.

di Michele Molino

Cesare Irace, il primo a destra


Alzi la mano chi non conosce Cesare Irace, ciclista di razza, idolo dell’Abruzzo e del Molise, 64 anni ben portati, capelli alla Tarzan. Nasce in campagna da una famiglia di contadini nota con il nomignolo di “ Biacentini,” nella zona di San Biase, territorio di Montenero di Bisaccia, al confine con San Salvo. In pochi anni, la numerosa famiglia degli Irace si assottiglia per una lunga sequenza di lutti. Cesare è l’ultimo di nove figli. Perde sei fratelli, uno dietro l’altro. I genitori sono distrutti dal dolore. Ed ecco la sequela della mattanza

Angelo muore asfissiato mentre la madre lo sta allattando, Nicola annega in un laghetto, Giovanni muore schiacciato dalla ruota di un carretto, Pasquale muore nell’isola di Rodi, Ida e Maria annegano nel mare di San Salvo. Della numerosa “nidiata”restano in vita Cesare e due sorelle più grandi di lui. Cesare vive in campagna a contatto con la natura.

A soli sette anni comincia ad accudire gli animali. Il padre gli affida undici mucche da condurre al pascolo. Gli amici più fedeli sono il cane pastore e una cavalla di color marrone di nome Rosina. Conosce i luoghi più impervi del bosco “Motticce”. Trascorre il tempo, oltre a custodire gli animali, a piazzare le trappole per lepri, tassi e fagiani. Dà la caccia anche ai serpenti, che spesso si attorciglia intorno al collo. Mentre corre dietro una talpa, inciampa ad un ordigno di guerra seminascosto dalla vegetazione, ma questo esplode. Cesare viene inghiottito da un cumulo di terra restando prigioniero per tre giorni. Esce illeso. E’ maggio, quando il sole è già alto, i buoi brucano la lupinella selvatica. Cesare è al riparo sotto l’ombra di un sambuco.

Ad un tratto, davanti ai suoi occhi si presenta una spettacolo meraviglioso: il passaggio dei ciclisti del Giro d’Italia. Resta incantato dal dolce fruscio di ruote che sfiorano l’asfalto della Statale adriatica. Nasce la passione per il mondo delle due ruote. Sogna ogni tanto di indossare la maglia rosa del “Giro”. Spera che il padre gli procuri una bicicletta da corsa. La famiglia non naviga nell’oro, ed infatti, è costretta a vendere al primo che incontra la docile e bella cavalla, al primo offerente. Cesare piange per il dolore. Il padre nasconde il denaro raggranellato, nella stanza da letto, sotto il materasso ripieno di foglie di granoturco. Cesare entra di soppiatto nella stanza del “tesoro”, preleva quarantamila lire e con quella somma compra una bicicletta da corsa al negozio di Confucio Ciavatta.

Il padre, appena scopre che manca una parte dell’utile ricavato, non tarda a capire che l’autore della bravata è stato il figlio Cesare. Afferra un bastone e si avvia alla ricerca del “lestofante”. Cesare fa perdere le sue tracce infiltrandosi per quindici giorni tra i grossi rami di una quercia secolare. La mamma, però, di nascosto, verso il tramonto, rifocilla Cesare con fette di pane e ventricina. Passata la tempesta, Cesare comincia ad allenarsi, percorrendo migliaia di chilometri. E’ forte. E’ più veloce del vento. Promette molto.

Firma il primo contratto con la Società ciclistica “Stadio” di Pescara. Mentre al comando del gruppo percorre un tratto di discesa che porta al traguardo di Giulianova, sbanda con la bicicletta precipitando in un fosso. Riporta una grossa frattura alla testa e la perdita della memoria. Lo trasportano con un’ambulanza all’ospedale di Giulianova. Il padre fa celebrare anche una messa. Cesare, dopo ventidue giorni, supera il coma e torna a casa a bordo della sua bicicletta, con una vistosa garza che nasconde trenta punti di sutura. Ritorna alle gare.

In un bar del suo paese, apprende che a Bari si disputa una gara importante. Né lui, né i suoi amici dispongono di un automezzo. Di buon mattino, sotto una pioggia violenta, pedalando forsennatamente, giunge a Bari con gli indumenti bagnati e intrisi di fango. Al blocco di partenza 85 ciclisti. Taglia per primo il traguardo. Continua a vincere gare di una certa importanza. Perde lo stimolo delle corse. Gli piacciono troppo le donne.

Un giorno, improvvisamente, decide di appendere la bicicletta al chiodo. “ Ho bruciato la mia carriera per correre dietro le sottane”confidava Cesare ai suoi amici. Emigra a Portocivitanova cambiando disciplina sportiva. E’ attratto dal pugilato.

Comincia ad allenarsi. Ha un destro pesante. Vince cinque incontri per k.o. Diventa allenatore in seconda del pugile professionista sansalvese Nicola Nanni. Cesare incassa 5 mila lire per ogni match. Ma la vita del ring è troppo dura per lui. Passa al podismo. In salita è irresistibile. Sul circuito di Bergamo, arriva per primo al traguardo con otto minuti di vantaggio sugli immediati inseguitori. Ritorna nella sua casa natale.

S’innamora follemente di Maria, una bellissima quindicenne di Fresagrandinaria. Dopo un mese di fidanzamento si sposano. La moglie, a poca distanza partorisce tre volte, dando alla luce: Toni Loris, Paride Maciste e Gianni Ben Hur. Per sbarcare il lunario accetta un lavoro da manovalanza. Impara in pochi mesi il mestiere del muratore e realizza una bella abitazione nella zona di San Biase. La lunga astinenza dalle competizioni sportive lo rendono introverso e malinconico Per “smaltire” la grave depressione, comincia a mangiare e “bere”smoderatamente aumentando notevolmente di peso.

Dopo una rigorosa dieta, riacquista una buona forma fisica e torna al ciclismo. Una sera, mentre rientra a casa, sente un fastidioso formicolio agli arti, a cui, però, non dà molta importanza. Una domenica, a Santa Croce di Magliano, mentre è in testa ad un gruppetto di ciclisti, sente le forze mancargli e una caligine scendere sugli occhi. Cesare cade, battendo la testa contro l’asfalto. Viene trasportato all’ospedale di Vasto in un grave stato. La sua fibra è forte e robusta.

Cesare, dopo una ventina di giorni, comincia muovere i primi passi.Tre mesi di ospedale, poi ritorna casa. “Fai dire una messa a San Matteo ” gli sussurra all’orecchio il primario del reparto. Cesare non riesce a stare lontano dal mondo del ciclismo. Torna a gareggiare. A 64 anni già suonati, nelle corse sa farsi ancora rispettare. Cesare, ci saluta con forte accento dialettale, poi, aggiunge “ Chi si ferma è perduto, aiutati che Dio ti aiuta. Ti raccomando di non scrivere che ho il vizietto di andare dietro le donne. Mia moglie mi lincerebbe!”.

Accontentato.


Michele Molino







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