Foto di un corridore
dell'epoca.
Antonio Della Penna ha varcato la soglia delle 88
“primavere”, ma possiede ancora il passo spedito di un
ventenne. Corporatura esile, mingherlino, smilzo ed una
capigliatura ancora folta . Appena sente bisbigliare di
ciclismo o dei campioni del suo tempo, come Bartali,
Coppi, Kubler, Koblet, Bobet, s’inebria, si emoziona, si
agita, il tono della voce si contrae. Poi, come un
vulcano, comincia a parlare dei suoi ricordi, in parte
belli ma anche tristi. E’ affascinato dalle due ruote. Ama
la bici, sopra ogni cosa. “Quando vado in bicicletta -
afferma Antonio- mi sento felice, libero, leggero come il
vento”.
Orfano del padre, appena dodicenne, comincia a lavorare in
una panetteria insieme a Vincenzo Di Rito che poi diventa
suo cognato. Per Antonio, la giornata lavorativa inizia un
bel po’ prima delle tre e si conclude dopo le due
pomeridiane. In quel tempo la farina si impastava con la
forza delle braccia e delle mani. Non esisteva
l’impastatrice elettrica, pertanto, bisognava attendere
più di quattro ore per la “crescita” dell’impasto.
Nel piazzale del panificio sente spesso discutere
animatamente di Coppi e Bartali; quante volte con la
faccia e le braccia bianche di farina ,si introduce nel
discorso; lui è tifoso di Coppi, guai a toccargli il suo
campione preferito. Spera di poterlo, presto, imitare. Il
suo sogno, infatti, è quello di acquistare un bici da
corsa per dimostrare ai suoi compaesani che ha la stoffa
di un campione.
Con tanti sacrifici riesce a racimolare 100 lire e subito
compra una bicicletta da corsa al negozio di Antonio
Artese, dove attualmente è ubicato il bar “Bruno”. Ogni
giorno, terminato il lavoro, dopo aver divorato un filone
da mezzo chilo con la frittata di cipolle o asparagi,
inforca la bici e via lungo strade polverose e piene di
buche.
Spesso si allena in compagnia di altri due ciclisti
sansalvesi ,anch’essi molto bravi: Confucio Ciavatta e
Amilcare Marzocchetti. Partecipa a diverse gare: Termoli,
Lanciano, Campobasso, Chieti, ma non riesce mai a vincere
una corsa. Quando la strada comincia ad inerpicarsi,
Antonio trova il suo terreno preferito riuscendo a
staccare tutti.
Nel 1939, benchè orfano del padre e sposato, viene
arruolato nel corpo della fanteria, e parte per la guerra
: Albania, Grecia, Iugoslavia, quattro anni e mezzo tra
stenti e patimenti. Tornato a casa, non ha nemmeno il
tempo di riabbracciare la sua consorte che viene di nuovo
chiamato in guerra e trasferito a Vibo Valenza in Sicilia.
Una settimana prima dell’invasione americana, riesce a
fuggire e, dopo alcuni mesi di fuga, fa ritorno nella sua
casa a San Salvo.
Aperta la porta, il suo primo sguardo è rivolto verso
l’angolo dove aveva lasciato la sua bicicletta: ma non
c’è, è sparita. Piange disperatamente, non ha nemmeno un
centesimo in tasca e non può comprarsene un’altra e
continuare a correre.
C’è sua moglie che l’aspetta da una vita; un abbraccio
interminabile. Nasce anche una bambina. Antonio ha una
famiglia da campare. Torna a sfornare il pane, ma la
passione per le due ruote è ancora viva. Desiderava
diventare un campione, ma la dura guerra ha infranto il
suo sogno. Si conclude, così, l’odissea di ’Ndunine lu
panattire.
Michele Molino
"P.S." L'articolo è stato redatto prima della sua
scomparsa.