Sulla sin. quasi infondo: la
casa ove abitava la signora Maria in IV Vico C.so
Garibaldi. Foto della gent.ma sig.ra Annina Fabrizio De
Nicolis
Ero piccola,
frequentavo la seconda e poi la terza elementare, mio papà
era in guerra, combatteva in Croazia (così dicevano i
grandi). Di tanto in tanto veniva a casa in licenza per
cinque o sei giorni.
Il suo arrivo era una festa, la sua partenza uno strazio.
Io non volevo assolutamente che mi vedessero piangere,
ricacciavo dentro di me questo segno esteriore della
sofferenza come una viltà della quale bisognava
vergognarsene.
Lui era vestito da militare, nella stanza al secondo piano
di IV vicolo Corso Garibaldi, si radunavano silenziosi
tutti i parenti e amici che venivano a salutarlo. Seduti,
muti e tristi, mia madre con il volto rigato di lacrime,
lei sempre così forte e coraggiosa, in quei frangenti
diventava fragile. Lei che aveva tutta la responsabilità
di crescere noi tre figli e pensando a quei tempi nulla
abbiamo risentito delle privazioni che il periodo
comportava. Lei che ogni giorno chiudeva nel suo cuore la
paura di ricevere una brutta notizia dal fronte croato.
Io odiavo quella cerimonia, avrei preferito che questi
saluti si fossero svolti in famiglia senza tutta quella
gente e attribuivo a loro quella atmosfera che ricordo
buia ed opprimente, con tanti occhi che osservavano i
nostri comportamenti, come a spiare i nostri sentimenti.
Sentimenti che celavo a tutti mettendomi vicino alla
finestra e guardando fuori ben attenta a non girarmi se
avvertivo che le mie ciglia fossero inumidite.
Il bacio di papà era il segnale che stava partendo ed io
nel farlo cercavo di avere gli occhi ben asciutti. Salvo
poi a confidarmi con la nonna, depositaria delle mie
confidenze, come a volerle far capire che quel mio
comportamento non era insensibilità, ma fierezza.
Maria Mastrocola Dulbecco
Agosto 2018