PREMESSA: Seconda guerra mondiale 1943. Dopo il famoso
armistizio dell’8 settembre gli alleati vennero su per la
nostra Italia dalla Sicilia su per la Calabria, Puglie e il
primo fronte organizzato dai tedeschi per fermare l’avanzata è
stato sul Trigno, al confine con l’Abruzzo, proprio nel mio
paese San Salvo.
Il baule di Ciocco e lo sfollamento a Cupello
Donna Elvira Artese Ciocco
venne a casa e confabulando con mamma ed altre donne,
decisero di nascondere gli oggetti di valore in un armadio
a muro, che noi avevamo in cima alla prima rampa di scale.
Donna Elvira e Francesca, portarono un baule, Carmela uno
scatolone, forse anche Marietta, e nell’armadio a muro,
oltre ad altri oggetti, vi depositammo la cosa più
preziosa della casa: una radio.
Subito dopo un muratore provvide a chiudere quell’armadio
con i mattoni e l’intonaco, dipingendo il tutto con la
stessa tinta del muro circostante.
Erano tutti soddisfatti di aver realizzato questo
stratagemma che doveva servire a nascondere le poche cose
preziose ai tedeschi. Io credo che neppure per un attimo
passò loro, per la mente, che una bomba potesse
distruggere i loro ricordi; né mia mamma pensò che poi
avrebbe pianto molto per quel baule dei Ciocco.
Infatti, quando arrivarono gli inglesi, l’incubo di mia
madre, e tutti noi, fu un ufficiale scozzese con il
gonnellino a pieghe ed un frustino in mano che, con un
codazzo di militari appresso, avendo saputo di quel baule,
ogni tanto veniva a casa dicendo alla mamma di non
restituire niente ai proprietari, fino alla sua prossima
visita. Cercavano documenti che appartenessero a Don
Vitaliano perché lui, deportato dagli alleati al confino,
era stato un importante esponente fascista di Chieti.
In verità in quel baule non trovarono nessun documento, ma
bellissime stoffe e oggetti di pregio che io bimba,
sospettavo piacessero molto al militare in gonnella.
Tra una visita e l’altra dell’ufficiale, arrivava Donna
Giovanna, figlia di Donna Elvira e don Vitaliano, che
pregava la mamma di restituirle quel baule, ma ella non
poteva perché il militare con il gonnellino, puntualmente
veniva a farle visita.
Erano scene bruttissime perché Giovanna inveiva contro la
mamma e non capiva che lei aveva avuto l’ordine di non
ridarglielo. Così che la nostra amicizia con loro finì con
solenne bisticciate.
Questa storia terminò con l’arrivo del personaggio in
gonnellino, che dichiarò di confiscare quel baule per
ordini superiori, e con i suoi militari si portò via il
baule con i suoi tesori.
Sollievo da parte della mia mamma.
A me restò il pensiero che a quel militare, piacessero
quegli oggetti.
Malizie di bimba che non aveva mai visto oggetti più
belli. In seguito mi ricredetti.
Ritorniamo alla guerra.
Nell’imminenza dello scontro i tedeschi ci fecero evacuare
da San Salvo verso nord. Quella sera, nel tardo
pomeriggio, il podestà a bordo di un sidecar (appendice
della moto), girava per tutto il paese, invitandoci a
sfollare. Tutti frettolosamente raccolsero i pochi
indumenti necessari. Io e la mia famiglia, tra una folla
di gente, ci incamminammo a piedi verso la strada del
cimitero, che ci portava fuori del paese. Per quella
strada, verso Cupello, si formò una lunga coda di persone
in cammino. Un esodo mai visto. Tutti a piedi, nessuno
aveva automobili come ora.
Intanto si era fatto buio. Ci fermammo alla prima masseria
incontrata, che era dei casolani, clienti della mamma. Non
fummo i soli a fermarci lì. I casolani, poveretti, fecero
quello che poterono e ricordo che su un materasso,
appoggiato per terra, vi dormimmo un numero esagerato di
persone.
All’alba riprendemmo il cammino e in poche ore arrivammo
dai parenti che ci accolsero calorosamente, improvvisando
deschi e letti, per attendere insieme la fine della
guerra.
Noi eravamo sfollati a Cupello per non essere sulla linea
del fronte, ma da lì si assisteva e si sentivano i
cannoneggiamenti e spesso, noi bambini, ci divertivamo ad
osservare i duelli aerei tra i due contendenti.
Una mattina tutti assistemmo al sorvolamento di due aerei
da ricognizione che si abbassarono sul paese e poi si
rialzarono in volo, allontanadosi.
Al mattino dopo ci accorgemmo che i tedeschi erano
spariti.
Nessuno più era nelle cucine che erano di fianco a noi,
nessuno più nel palazzo dove c’era il comando tedesco. Ci
era sembrato che fosse un buon segno, pensando che erano
in arrivo gli alleati.
Ed invece no.
Verso le 10 o 11 arrivarono formazioni di bombardieri che
avevamo visto passare precedentemente disposti a V. Questa
volta però non erano di passaggio; si abbassarono e
bombardarono proprio sopra di noi. Nella concitazione,
tutti cercammo un riparo di fortuna. In 19 persone ci
ritrovammo sotto un sottoscala, che resistette alle
esplosioni salvando le nostre vite, mentre attorno tutto
era crollato.
Era accaduto che gli aerei da ricognizione del giorno
precedente avevano fotografato le postazioni tedesche e
quindi gli inglesi erano sicuri di colpire i tedeschi che
però avevano capito ed erano fuggiti. Morirono molti
ignari civili e fu veramente una strage. Famiglie intere
scomparvero sotto quei bombardamenti .
In quel momento papà non era con noi. Si era salvato dalla
morte tornando, a piedi, dalla Croazia fino a casa. Per
non essere catturato dai tedeschi, le autorità del
municipio, gli avevano dato una fascia da mettere al
braccio con la scritta “polizai”, perché prima di partire
militare aveva fatto la guardia municipale.
Papà arrivò da noi tutto trafelato, tra le macerie, felice
di ritrovarci tutti vivi. Ci radunò e tutti insieme ci
avventurammo fuori alla ricerca di un posto dove andare.
Papà mi teneva per mano e le strade non c’erano più.
Camminavamo tra macerie e fili, dove spesso inciampavo,
scorticandomi le ginocchia.
C’erano persone che scavavano tra le macerie e vidi gente
insanguinata venir fuori da quel groviglio di mattoni e
tegole. Nel cammino incontrammo compagni di sventura che
ci invitarono ad andare con loro. Finimmo in una cantina
piena di botti, dove dissero che avremmo trovato riparo.
Passammo una notte che non avrei mai più dimenticata.
In mezzo a quelle botti enormi di vino (si usava allora
che i proprietari di terreni, con tanta uva, producessero
il vino per poi conservarlo in grandi botti di rovere),
erano in tanti coloro che, salvatisi da quel primo
bombardamento cercavano un riparo.
Alcuni pregavano a voce alta, invocando la protezione di
Dio, altri assistevano noi bambini improvvisando cuccette
per farci dormire.
Ricordo che in mezzo a loro c’era un uomo che dava in
escandescenze. Era il padrone dello scantinato. Gridava
forte insultandoci perché avevamo invaso la sua cantina.
Gridava dicendo che ci avrebbe ammazzati tutti e inveiva
brandendo quello che gli capitava tra le mani. Noi bambini
eravamo impauriti mentre gli uomini presenti, gli si
misero tutti attorno, cercando di rabbonirlo.
In qualche modo la notte passò e mamma e papà decisero che
all’alba saremmo partiti per San Salvo.
Cupello subì un altro bombardamento nella mattinata.
Alcune voci dicevano che a San Salvo erano arrivati gli
alleati ma non ne avevamo nessuna certezza.
Ciononostante papà decise che dovevamo rientrare a casa e
così la nostra famigliola si avventurò a piedi verso San
Salvo, scendendo giù dalla “rasc-ca” di Cupello.
Attraversammo campi incolti dove, sapemmo poi, vi erano
disseminate mine, ma ne uscimmo indenni. Evitavamo altre
strade nel timore di incontrare tedeschi.
Fortunatamente arrivammo a San Salvo dalla parte di "lu
termine” e subito incontrammo due militari che
passeggiavano: erano inglesi.
Felici ci avviammo verso casa ancora in corso Garibaldi.
Arrivati a casa, la trovammo piena di gente che
festeggiava la liberazione e stavano imbandendo una
tavolata, con un nostro porcellino che avevamo lasciato in
custodia a dei nostri vicini che avevano una stalla, i
quali non erano stati cacciati dai tedeschi perché avevano
una malata molto anziana in casa.
Ricordo che ci accolsero festosamente, scusandosi per
averci invasa la casa, ma papà li riassicurò dicendo loro
che avevano fatto bene.
Ci invitarono a questo desco e a capotavola c’era un
personaggio che si chiamava “Farravaune” .
Questo nome lo ricorderò per sempre, perché fu lui ad
accusarci, con gli inglesi, di aver nascosto nel muro i
documenti di Ciocco. Lo seppe proprio durante quel pranzo
di quel baule che avevamo murato in un armadio su per le
scale.
Infatti fu proprio lui ad accompagnare il famoso ufficiale
dal gonnellino, presenziando entrambi alla rottura di quel
muro.
Tutto questo procurò molti dispiaceri alla mia famiglia.
La vita ricominciò ed anche la nostra radio riprese il suo
posto. Affinchè funzionasse bene chiamarono Senofonte
Ciavatta che sistemò una antenna che usciva dalla finestra
e attraversava tutta la “ruàlle” (il vicolo), per fermarsi
sul muro di fronte.
In seguito mamma andò a scegliere una radio nuova da
Guerino Cilli, almeno credo, che aveva un negozio a lu
“quartabball”, in via Roma, dove poi acquistò tutti i
nuovi ritrovati domestici: una cucina a gas e altri
aggeggi utili al funzionamento della casa, che prima della
guerra non esistevano.
Avevo una mamma moderna che faceva la sarta ed apprezzava
le novità tecnologiche. Amava lo sport e tifava per
Bartali e fu così che il foglio rosa della Gazzetta dello
Sport, l’unico giornale che arrivava a San Salvo, entrò in
casa nostra.
Poi arrivò la politica ed insieme a mia madre ce ne siamo
molto occupate, nonostante la mia giovane età. Non avevo
ancora undici anni ma già partecipavo attivamente alla
Azione Cattolica, come segretaria delle Aspiranti e
redigevo i verbali delle riunioni.
Fu in quel periodo, che insieme ad un esiguo numero di
ragazze, cominciammo ad aiutare Lellino Artese e la
Democrazia Cristiana.
I due partiti predominanti erano: Il partito Comunista,
diretto da Carlo Alberto e la democrazia cristiana, con la
direzione occulta di Don Cirillo.
I due spesso si scontrarono, proprio come Peppone e Don
Camillo.
Uno alzava l'altoparlante quando c'erano i comizi
democristiani.
L'altro faceva suonare le campane quando i comizi erano
dei comunisti.
Maria Mastrocola in Dulbecco