Ancora si ha nel vivo della memoria l’incisivo eco delle
parole di un tale che, dopo il primo boom edilizio alla
marina di San Salvo negli anni '70, con enfasi raccontava:
«Una volta, qui non c’era nulla e, sul bordo del mare,
s’incontravano solo don Cirillo con un ombrello da sole e...
le pecore». Le pecore non potevano che essere proprietà dei
pastori locali, oppure quelle della transumanza dirette a
sud, ma l’immagine di don Cirillo che passeggiava sul
lungomare con un grande ombrello da sole, con le pecore che
lo affiancavano è a dir poco affascinante. In realtà, don
Cirillo non era il solo a frequentare 'Le Marinelle', ma vi
erano molti suoi parrocchiani che da San Salvo scendevano
in: bicicletta, a piedi, con il calesse, qualche rara auto
di proprietà e... persino con una corriera che portava i
gitanti della domenica. Un piccolo turismo del dopoguerra di
qualità e pieno di gioia di vivere.
Sin dagli anni ‘20 però, la fascia di litorale che da Vasto
toccava il confine del Molise era quotidianamente 'visitata'
dagli 'Ortolani di Vasto' che, in questa zona, avevano
acquisito con diversi titoli di proprietà, degli
appezzamenti di terreno. Il motivo principale era quello di
sfuggire in qualche modo alle divisioni della mezzadria dei
prodotti delle loro masserie, ma anche di allargare la
produzione già fiorente dei loro ortolani che diventava -
via via - insufficiente per le loro famiglie. Così rivela la
signora Consiglia D’Adamo che, con le sue 87 primavere, è la
più remota delle Ortolane in grado di raccontare questa
singolare esperienza agricola. Lei cita anche altri nomi ma,
non riuscendo a rintracciarli tutti e, soprattutto, perché
molti di essi sono deceduti, la nominiamo - ipso facto -
'plenipotenziaria' di tutti gli altri e dei suoi tanti
ricordi che profumano di pane appena sfornato.
Consiglia è una donna ancora energica e dalla fede cristiana
saldamente radicata. Al nostro timido «... che bella
signora!» - assolutamente sincero – risponde secca: «Bella è
la Madonna!». Si conferma e gioisce per un espressione
conosciuta e sentita pronunciare tantissime volte in altri
tempi. Sarebbe bello tornasse di moda!
Sono tante le risonanze che ella riesce a strappare agli
abissi del nostro mondo interiore con la narrazione di
quello che era un angolo di questa marina di San Salvo di
proprietà di suo padre Nicolino D’Adamo. Il suo dettagliato
racconto accende non solo i suoi occhi, ma un faro di
inedito su 'un qualcosa' che, pure, si pensava di conoscere
e invece no, è una scoperta fantastica che, legata ad altri
ricordi, si sintetizza in un grandioso affresco storico e
spirituale di estasiante bellezza. Nell’ascolto che rapisce
sempre più, si scopre non senza stupore che, le terre di suo
padre, corrispondevano esattamente dove a tutt’oggi si
ergono le 6 palazzine di Piazza Verrazzano. Le sue prime
parole «... quando non c’era niente...» sembrano parafrasare
l’inizio del primo Libro della Bibbia: la Genesi. «In
principio Dio creò il cielo e la terra...» (cfr Genesi 1,1 –
1,11).
Benchè cercate, non sono state trovate foto con le quali
poter mostrare questa realtà storica/agricola delle
'Marinelle' ma, le 'pennellate' vigorose della signora
Consiglia e quelle dei suoi nipoti i professori Nicolangelo
e Nicola D’Adamo, rispettivamente preside emerito
dell’Istituto 'R. Mattioli' di San Salvo e giornalista,
presentano un quadro di singolare bellezza.
Non esistendo all’epoca la Statale 16 - costruita solo tra
il 1963-64 su parte della fascia tratturale, Vasto Marina e
San Salvo Marina, erano unite - nella striscia pianeggiante
a livello del mare - da una strada leggermente sopraelevata
in terra battuta e breccia bianca, una sorta di pista dove -
ancor prima dell’alba - scendevano gli uomini con lu
sciaraballe, un carretto trainato da un cavallo, un nome
così musicale che, solo chi è di 'madre lingua', può
pronunciare senza sembrare stonato. Le donne seguivano - a
breve e a piedi, con i canestri sulla testa dove portavano
il 'viatico' quotidiano: sagne e fagioli, maccheroni alla
chitarra, pane, melanzane ripiene, un insalata di pomodori,
qualche raro pezzo di carne, una frittata e lu ciambalìone:
un delizioso misto di verdure che cambia il nome a seconda
della regione e della nazione. In Francia - per esempio - è
conosciuto con il nome di Ratatouille, nel Chietino come la
Ciambotte. Quanto agli ingredienti, sono gli stessi ovunque:
patate, zucchine, peperoni, melanzane, cipolla e qualche
pomodoro, cotti tutti insieme appassionatamente! Il vino e
l’acqua nei trufoli per motivi di 'sicurezza', venivano
portati dagli uomini con il carretto. I D’Adamo, sui loro
circa tre ettari di terreno, che avevano avuto parte in
concessione dall’Ente Tratturo e parte acquistato con i
proventi dell’emigrazione paterna, coltivavano uno splendido
vigneto di uva bianca e nera a filari che assorbiva calore
sia dai raggi del sole, che dalla terra mista a sabbia che
lo rifrangeva. A detta della signora Consiglia, una
produzione di uva e una qualità di vino da far invidia a
tutti i Doc del mondo.
Nel bellissimo saggio Dalla crisi di fine secolo alla grande
guerra l’autore Costantino Felice, così sintetizza la
situazione agricola del locale litorale: «la coltura della
vite, in genere, praticata bassa ad alberello, si espandeva
a vista d’occhio, tanto che una parte non piccola del
litorale, al catasto descrittivo censita come “arenile
improduttivo”, era in realtà coperta da fitti vigneti dalla
produzione meravigliosa» (pag.378).
Nell’orto, invece, si coltivavano tutte le verdure possibili
e immaginabili ma, per la peculiarità del terreno - era e
resta - la migliore che si possa desiderare per la
produzione di cocomeri e meloni. La vicina Campomarino (Cb),
infatti, ne è rimasta ancora fedele e rinomata produttrice.
Il terreno era di per se ricco di acqua piovana che, la sua
morfologia 'a pozzanghera' conservava a lungo ma, rendeva
poco agevole il lavoro delle coltivazioni. Le opere di
bonifica del Ventennio li videro lavorare 'al meglio' con la
livellazione del terreno, operazione preliminare per la
realizzazione di una serie di canali paralleli e
perpendicolari che, raccoglievano l’acqua d’inverno e la
conservavano per l’estate. Un pagliaio lu pajare, una sorta
di capanno, o meglio, una fantastica architettura rurale
fatta di canne, paglia e qualche paletto di legno, che si va
studiando e riscoprendo, raccoglieva i loro attrezzi che si
riassumevano in semplici zappe, vanghe e bidenti, li
riparava anche dai temporali improvvisi e custodiva i
canestri dei loro viveri.
Non c’è che dire, doveva essere proprio un piccolo Eden di
cui la 'photo gallery' è un tavolozza composta dal: verde
peperone - viola melanzana - giallo melone - bianco cipolla
- rosso cocomero spaccato - blu velluto e giallo opale,
dell’uva 'nera e bianca' - la luce maliarda del sole - gli
azzurri ultramarini e le spume merlate di bianco delle onde
del mare, tutti colori 'puri' come quelli di Henri Matisse
che sono conservati 'nature' nella memoria di chi ha visto
e, soprattutto vissuto.
«... devo tenermi vicino alla terra per afferrare la vita
nella sua profondità». Così scriveva Vincent Van Gogh in una
delle celebri Lettere a Theo. Nella sue opere, infatti, del
rapporto uomo/terra - come in questi 'ortolani' delle
Marinelle - si coglie tutta la carica antropologica, umana,
religiosa e la loro trasfigurazione mistica frutto della sua
ineguagliabile arte. Da I girasoli agli Iris, dalla notte
stellata ad Arles ai tanti contadini e paesaggi agricoli
della sua amata Provenza, tutto nelle sue opere parla del
rapporto divino “uomo/terra/lavoro”.
Nella seconda metà degli anni ‘60 a 'le Marinelle'
arrivarono le prime case, anzi i palazzi. Si! Impensabile
che il nostro litorale restasse com’era. Costruire si
doveva, certo, ma senza umiliare la terra, il paesaggio e
nel rispetto delle costruzioni rurali preesistenti: in altre
parole creare continuità architettonica senza deturpare il
paesaggio. Con le industrie invece, arrivarono nuove fasce
migratorie e turismo di massa e, nella Marina di San Salvo
la 'fame' di case crebbe e, con essa, lo scempio estetico e
naturalistico del territorio. Di certo non è l’unico,
perché, sotto questo aspetto, non c’è luogo in Italia che
non abbia il suo morto da piangere. È la storia senza 'lieto
fine' di quello che, i primi viaggiatori stranieri
dell’Ottocento chiamavano il 'Bel paese' e, di cui, andiamo
salvando disperatamente qualche lembo.
La striscia di terra antistante il nostro mare, la battigia,
la fascia retro-dunale e il Tratturo - alias 'l’autostrada
delle greggi' - che D’Annunzio fissò con quella bellissima
immagine dei pastori che, dai pascoli della Majella madre,
scendevano «... all’Adriatico selvaggio che verde è come i
pascoli dei monti...» ne rappresentano le immagini più
felici. Gli ultimi versi della 'settembrina' lirica poi,
squisitamente onomatopeici: «... isciacquio, calpestio,
dolci... rumori», insieme agli altri, hanno fatto sognare il
nostro litorale a innumerevoli generazioni del passato e a
tutte quelle a venire.
Questi coraggiosi pionieri del secolo scorso - come valore
aggiunto a tutto questo - hanno reso anche più ricco questo
territorio come: paesaggio, lavoro, frutti della terra,
nutrimento delle loro famiglie.
Una storia di donne e uomini uniti in un afflato
antropologico totale con la natura, la sua bellezza e la
vita.
Negli anni ’60, per mancanza di forze e a causa di una
società che si andava trasformando in maniera rapidissima da
agricola a industriale..tutto questo perì. I terreni furono
venduti e/o svenduti per bisogno e mancanza di braccia, le
coltivazioni sparirono nel giro di qualche anno. Oggidì,
restano i nomi mitologici e suggestivi dati ai complessi
edilizi: Condominio Paradiso - Le Nereidi - Aretusa -
Asterope – lo Zodiaco... e qualche angolo che potrebbe
ancora essere salvaguardato, ma l’incantesimo di quel che
era, può sopravvivere solo nei nostri cuori e, soprattutto,
nella nostra capacità di trasmetterlo come sorgente/modello
alle generazioni future.
È bello il racconto di Consiglia, la testimone/protagonista
più antica, ma anche quelli dei suoi nipoti Nicola e
Nicolangelo D’Adamo che, avendo visto molte cose da piccoli,
ne hanno un ricordo ancora più vivo, tutte sono autentiche
vibrazioni di parole che creano risonanze musicali
sotterranee in chi ascolta. Quindi, non una favola, non un
semplice racconto, ma una nostalgia che non si cheta, che
spinge alla ricerca di qualche frammento che racchiude
quel... 'tutto che era' e, di cui, 'tutti' siamo stati
espropriati da cubi di cemento informi e disincantanti che
schiacciano anche i ricordi di quello che era un litorale di
selvaggia bellezza e che mani umane avevano reso anche
sapientemente agricolo. ortolani e vigneti intervallavano la
vegetazione spontanea, senza impoverire la terra, senza
ferirla, anzi decorandola di colori, sapori e profumi.
Se è vera una delle ultime teorie sulla nascita
dell’universo e cioè, che fu un frammento di stella a
portare la vita sulla terra dopo il Big Bang, possiamo dire
con orgoglio che, quelle particelle siderali - sia pure
infinitesimali - cadendo qui, nei miliardi di anni, hanno
generato e fecondato uno dei luoghi più belli d’Italia.
Nota Bene: per le note storiche si ringraziano: la signora
Consiglia D’Adamo e la figlia Anna Maria Stivaletta, il
dott. giornalista Nicola D’Adamo, il prof. Nicolangelo
D’Adamo preside emerito dell’Istituto R.Mattioli di San
Salvo e Il Dott. Arch. Dino Cervone, l’Ing. Franco Masciulli
per quelle tecniche. Per le foto d’epoca, la signorina
Barbara Travaglini.
Ines Montanaro
Galleria fotografica
Famigle ortolani e primi
insediamenti industriali ed abitativi