Il mito della protagonista di
Via col vento è ancora vivo nel lavoro di queste donne
figlie dei pionieri della contrada Stazione.
LA STORIA DI LIDIA CACCIAGRANO-DI IORIO, NICOLETTA DI
MARTINO-RUCCI E MARIA ANTONIETTA ZINNI-DI PIERRO
La prima cosa che viene in mente vedendole, parlando con
loro e, soprattutto, conoscendole da vicino, è un vecchio,
ma insuperato film. Per intenderci, quell’indimenticato
capolavoro cinematografico che splafonò il firmamento di
Hollywood e, che, per premi, incassi e numero di spettatori,
emozionò in modo planetario: Via col vento.
Esso è, per certi versi - parlando di queste donne - di
grande attualità, nonostante la cornice storica e sociale di
oggi sia molto diversa. Certo, chi legge, si starà chiedendo
come e in cosa, questo film, c’entri con la Contrada
Stazione anzi, con i suoi campi e le sue coltivazioni che
abbracciano anche il vicino Molise.
Il trait d’union”, tra queste figlie dei pionieri che
vengono proposte all’ammirazione dei lettori è lei: Rossella
O ‘Hara, l’indomabile protagonista del film Via col vento.
Sicuramente, taluni aspetti cinici del carattere di
Rossella, non riguardano le nostre donne neppure da lontano
ma, a merito/demerito di questa eroina della Guerra di
Secessione americana, bisogna riconoscere che,
l’attaccamento all’azienda di famiglia, quella 'caparbietà'
che le era propria per carattere, non le fece mollare le
redini neppure dopo la distruzione di una guerra, la morte
di una figlia e la fine di un sogno d’amore inseguito per
una vita.
Certi avvenimenti negativi, talvolta, sono i mattoni con i
quali costruire o ricostruire il proprio futuro e quello
della società, e vale per tutti: donne e uomini. In altre
parole, quello che non uccide rende più forti.
Rialzarsi dopo: una carestia, una guerra, un terremoto, una
qualsiasi calamità naturale ha sempre visto le donne in
primissima linea: esse stesse ferite... a curare i feriti.
La maternità, la cucina, il cucito, hanno - per moltissime
di loro - sempre camminato di pari passi con il lavoro,
quello duro e quello meno duro, quello retribuito e quello
gratuito. L’economia di una famiglia, con l’apporto del
lavoro di una donna riesce ad alzare il PIL nazionale.
Queste splendide figure di donne che vengono proposte hanno
in comune tra loro: la terra, la sua lavorazione, i suoi
frutti , la sua ricchezza, la sua bellezza e fecondità e, la
comune forza di volontà, gli elementi con i quali hanno
tirato avanti nel tempo, le rispettive aziende paterne.
Esse sono le donne dei pionieri della Contrada Stazione. Vi
sono anche i figli naturalmente, i generi, i nipoti ma, lo
sguardo, questa volta è per loro e su di loro che,
presentiamo come simbolo di tutte le altre Donne con la
maiuscola di San Salvo, le tantissime che, come loro, pur
non avendo mai abdicato al loro ruolo materno e tantomeno a
quello sponsale, hanno guidato l’aratro prima, poi sono
salite sul trattore. In seguito, hanno imparato anche a
imbracciare e usare i mezzi meccanici sempre più moderni,
indossato la tuta e le maschere degli anticrittogamici e
sollevato pesi da spezzare le reni. Ne presentiamo una
simbolica galleria di 'tre' come augurio e Modello anticrisi
per l’anno che verrà!
*****
Ragioniera per studi, mamma per scelta (4 figli maschi),
imprenditrice agricola dal linguaggio forbito e, persino
curatrice di una rubrica di cucina televisiva: parliamo di
Maria Antonietta Zinni Di Pierro. Suo nonno prima, padre e
zio poi, sono stati tra i Pionieri della Contrada Stazione
che hanno fondato la storica Masseria Zinni. Nei primi anni
'70, Nicola e Cesario Zinni - rispettivamente suoi zio e
papà - si accorsero che, lo spazio che avevano disposizione,
poteva essere utile per un attività sportiva particolare: il
tiro al piattello. A tal fine, attrezzarono un campo: un
idea inedita per l’epoca, che attrasse molti contadini e
professionisti della borghesia locale e dei dintorni, per lo
più cacciatori uniti dalla passione del tiro. Fu anche un
modo per avvicinare le classi sociali che, in quel periodo,
erano ancora distanti.
Maria Antonietta, insieme al marito e l’aiuto occasionale
dei figli, a tutt’oggi - l’ha rivitalizzata sotto ogni
aspetto - soprattutto con creatività e al passo con i tempi.
Ogni mattina, accuditi i quattro figli, si reca in azienda
dove abita ancora la mamma. Qui, segue in modo operativo i
raccolti che non conoscono interruzioni, salvo se piove o
nevica. La terra è generosa nella misura in cui per essa ci
si spende e Maria Antonietta, per la sua azienda: La
Masseria Zinni lo fa senza limiti.
Tutto questo fervore le ha dato degli straordinari risultati
che in molti ammirano. Ella è anche una persona di elevata
cultura che, quando scende dal trattore, si mette con grazia
e agilità al computer per curare la pagina facebook dei suoi
prodotti, scrivere, oppure creare loghi e quant’altro per
ingraziare le sue confezioni.
La catena dal produttore al consumatore per lei non conosce
interruzioni. Le pesche, le albicocche, le cotogne, le
verdure, vengono da lei stessa trasformate in gustose
marmellate e sottoli, che commercializza al mercatino in
piazza, e/o spedisce a chi ne fa richiesta via facebook. Ha
organizzato anche giornate di degustazioni dei suoi prodotti
- colti e cotti al momento - che hanno avuto molto successo.
Tra una fatica e l’altra, si 'riposa' facendo dolci tipici
che vende al dettaglio o su richiesta, oppure li mette -
come uno dei tanti componenti - nei suoi celebri 'cesti
regalo'.
Delle sue origini e della fatica dei suoi avi ama dire: «non
conosci la tua chioma se non guardi alle tue radici» e,
quando ha un momento di impasse - che capita a tutti - come
Rossella O ‘Hara, confessa che strapperebbe anche una tenda
per vedere cosa farne. E ancora: «sento che dentro me, a
volte, c’è una stanza buia che vorrei aprire». Credo sia la
sua creatività produttiva che preme per realizzare 'cose
nuove da quelle antiche' proprio come lo Scriba del Vangelo
(Mt, 13-52). Maria Antonietta, come tutte le altre donne
impegnate come lei, è un esempio meraviglioso dell’Italia
che non vuole soccombere alla crisi, anzi la sovrasta.
*****
Nicoletta ha un segreto: il suo sorriso. Esso, attende fuori
dal cancello ancor prima di suonare! L’impressione è, che lo
lascia li quando ti saluta e li, lo ritrovi puntuale ad
attenderti al ritorno. Con suo marito Innocenzo –
familiarmente Cenzino – porta avanti da sempre l’azienda di
famiglia Nicoletta/sposa proveniente da Pollutri, si è
inserita subito e bene nella famiglia patriarcale ad alta
produttività. Suo suocero Giovanni e il fratello Domenico
Rucci, arrivarono qui con i rispettivi nuclei familiari nel
lontano 1948. Il notaio pescarese Colantonio, proprietario
di ben 80 ettari di terreno, li scelse tra altri aspiranti
mezzadri perché erano un gruppo familiare numeroso e,
dunque, 'moltiplicazione di braccia' per lavorare la sua
terra.
Morti gli anziani e trasferitisi altrove gli altri fratelli,
sono rimasti loro, il cugino Giuseppe e la moglie Violetta,
entrambi florovivaisti a far fruttificare e fiorire questa
terra. Se il proprietario li scelse per la 'numerosità',
loro 'si proposero' per via del terreno pianeggiante, la
vicina stazione ferroviaria e le acque del Trigno
vicinissime. La giornata di Nicoletta inizia alle cinque e
dura sine die. Una sua collaboratrice l’ha così riassunta:
«il contadino/a si alza tre ore prima del sole e rientra a
casa quattro ore dopo il tramonto».
Nelle aziende agricole e di altro genere a conduzione
familiare, non esiste orario sindacale, però si è liberi di
gestire il proprio lavoro e vendere la propria produzione.
Chi ci soffre se ne va, chi lo ama come Nicoletta resta e si
radica. Dopo aver preparato la colazione al marito (i due
figli sono sposati e hanno fatto altre scelte) corre con il
suo Ducato a prendere gli operai avventizi che l’aiutano nel
tempo del raccolto. Al ritorno, organizza 'il lavoro di
ognuno', per poi immergersi nel suo.
Con un sorriso solare ed orgoglioso ella dice sempre: «amo
il mio lavoro e, nel tempo, ho imparato ad amarlo sempre
più, quando ho capito che, con esso, potevo dare dignità
alla mia famiglia e crescere i miei figli». Fino a qualche
anno fa guidava con perizia sia il trattore cingolato che
quello gommato. Attualmente, per motivi di salute, la sua
attività è ridotta ma, anni addietro, ha condiviso senza
distinzione di sesso quello che c’era da fare. Con occhi e
respiro Nicoletta 'accarezza' i suoi pomodori e gli altri
ortaggi che profumano di sole. Ogni mattina, percorre il
grande orto palmo a palmo per percepire l’umore delle sue
piante e, come un medico, dispone le eventuali cure del
caso.
La produzione della sua azienda è vasta: pesche, susine,
pomodori, ortaggi vari, una volta anche le barbabietole da
zucchero. Ora che la sua attività è ridotta, afferma con un
sorriso: «non sono pentita di questa scelta e, se potessi
ricominciare daccapo rifarei le stesse cose, anzi, meglio!
Tra lei e il marito, ricorre una schermaglia scherzosa. Lui
le dice che l’ha sposata per una 'sistemazione'. Lei fa
finta di arrabbiarsi perché non gradisce il termine, ma
entrambi sorridono, perché sanno che fu per amore.
*****
Lidia ha l’aspetto aristocratico e quasi altero di una
nobildonna che, si è dedicata all’imprenditoria agricola per
ragioni legate al suo stato sociale, in realtà, è anch’essa
figlia di un pioniere arrivato da queste parti da Sambuceto
nel lontano 1938, ma è sansalvese Doc, perché nata in questo
paese. Il padre Vittorio e la mamma Elvira, vennero qui con
un gruzzolo e acquistarono dalla prima 'Società milanese',
per diventare proprietari della loro terra e non dividere
con un padrone il frutto delle loro fatiche.
Lidia, crebbe con le attenzioni della sua condizione di
figlia unica, ma senza sconti, per quanto riguarda il lavoro
e il senso del dovere. A vent’anni si sposò con un giovane
di San Salvo (Nicola Di Iorio) operaio alla Marelli ma, dopo
21 anni di vita coniugale felice e senza problemi economici,
un tragico incidente la privò del suo sposo. L’unico figlio,
Vitale, era al primo anno di università. Per lei, fu il buio
del lutto per la perdita della persona amata, il dolore al
quale si associò ben presto l'«adesso cosa devo fare?».
Con una sincerità che le fa onore, racconta che, la
Direzione dell’allora Magneti Marelli, le offrì il posto del
marito in fabbrica, senza spiegarle quali sarebbero state le
sue mansioni. Tutto sommato, con la pensione di
reversibilità, avrebbe potuto 'tirare avanti' comunque e con
dignità. La spinta verso l’imprenditoria agricola le venne
in primis come reazione per la morte del marito, una
sciagura che le diede la grazia di comprendere – come lei
dice – che, il lavoro, è il miglior contravveleno del
dolore.
Poco tempo dopo, l’ictus del padre che lo rese paralitico,
le fece prendere la decisione irreversibile di impugnare
l’azienda di famiglia. Da una parte c’era lo strazio di una
donna improvvisamente ritrovatosi sola, dall’altra quello di
veder vanificati tutti i sacrifici dei suoi genitori
svendendo i terreni a poco prezzo. E fu così, che si ritrovò
a coltivare il pescheto, a seminare il grano e raccogliere
le olive. Tra semina, potature, arature e raccolti, cercava
di stemperare la sofferenza per la perdita del coniuge,
riuscendo anche ad assistere il papà malato.
Nel 2000, il suo pescheto fu devastato da un alluvione, ma
la sua forza glielo fece rimettere in piedi a breve. Lidia
ha saputo anche gestire e capitalizzare bene i proventi del
suo duro lavoro, tanto quanto, da portare a compimento
l’investimento a lungo sognato con il suo Nicola: una
palazzina per uso abitativo, che al momento della disgrazia
era ancora allo stato grezzo. Negli anni, si appassionò al
punto, da seguire anche corsi specializzati
sull’agricoltura. È stata la prima donna membro del
consiglio di amministrazione della locale Cooperativa
Eurortofrutticola del Trigno, seguita a breve da Maria
Antonietta Zinni. A tutt’oggi si occupa con passione della
sua azienda. Mentre si racconta, la sua apparente 'severità'
perde la scorza e, la sua gentilezza, si mostra nella luce
che le è propria. Nel cortile di casa però – guardando le
sue due auto – riemerge l’imprenditrice con: la macchina di
campagna piena di sementi e secchi di concime e la macchina
elegante della First Lady.
*****
A San Salvo, in contrada Stazione e sul labile confine con
il Molise, ve ne sono tante come loro: donne che resistono
al vento gelido e alla canicola d’agosto, alla pioggerellina
e all’acquazzone, a volte sembrano dissolversi nella nebbia,
ma risbucano al primo sole. Esse - con i loro mariti e figli
- hanno fatto delle nostre campagne i gioielli della corona
di questa città. La vocazione industriale e turistica di San
Salvo tutta è arrivata molti anni dopo, ma quella agricola -
che è a tutt’oggi fiorente - è stata la prima, quella che la
riguarda in maniera più intima, più biologica, più vicina al
creato e al Creatore. Per capire oltre il visibile basta
guardare un pescheto in fiore a primavera o, meglio, tutta
la contrada Padula da una delle colline vicine: sembra uno
stormo immenso di fenicotteri rosa che si è adagiato
dolcemente sulla laguna dell’approdo a lungo cercato: le
chiome dei pescheti.
Ogni stagione le vede all’opera, ogni frutto maturo
risplende del loro lavoro; un lavoro, che si fa preghiera,
quando devono interrompere l’aiuto alla pari dato ai mariti
per correre ai fornelli, ai mercatini dove vendono i loro
prodotti, alla cooperativa agricola, alla posta, alla banca,
dal medico, alla farmacia, a seguire figli e nipoti, correre
dietro alla burocrazia eccetera, tanti eccetera.
Sui petali rosa e bianchi di primavera, nell’onda veloce del
vento che muove il frumento, nelle scale cromatiche dei
colori delle pesche mature, nel colore 'sole dorato' delle
albicocche, nell’occhieggiare rosso delle ciliegie mature,
sul velo diafano dei grappoli che attendono la vendemmia,
nelle corazze dei carciofi e, tra le verdure tutte. Le
nostre 'eroine' sono li: il loro ritratto, il loro sorriso,
è nei fiori, nei frutti, poi, sulle nostre tavole e nel
bicchiere di vino rubino che allieta le nostre mense. La
donna, che con il suo lavoro, fa fruttificare la terra è
vita che genera... Vita.
Quando disgrazie e avversità hanno tentato di schiacciarle,
quando chi, socialmente, politicamente o umanamente, hanno
detto loro - come il protagonista maschile di Via col vento
alla mitica Rossella: «di te me ne infischio» - hanno saputo
e sempre sapranno rispondere: «Tara, Tara, Tara... domani è
un altro giorno!».
Ines Montanaro
Si ringraziano, la signora Lidia Cacciagrano e Maria
Antonietta Zinni per le notizie tutte e le foto storiche.
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