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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti di Fernando Sparvieri



Un po' di storia locale raccontando personaggi










San Rocco
(Quando ti fanno la festa)

di Fernando Sparvieri




Povere Sandrócche! Che britte sàrte si 'vìute!" (trad. Povero San Rocco! Che brutta sorte hai avuto).

Eppure San Rocco un tempo era il vice San Vitale.

Dopo il Santo patrono, nell’ordine gerarchico ecclesiale sansalvese era Lui l’altro santo più “famoso” di San Salvo.

Era l’ultima festa dell’anno ed aveva un duplice significato: quello di ringraziare il cielo per l’anno bucolico che si stava concludendo con l’imminente vendemmia e raccolta delle olive, e sopratutto per invocare la protezione del santo per un nuovo anno denso di prosperità.

Lo si festeggiava il 17 e 18 Settembre (qualche volta anche il 16 quando le annate erano state buone) e veniva sempre la banda a sottolinearne l’importanza.

La festa di San Rocco non aveva nulla da invidiare a quella di San Vitale. Certamente non c’erano le some, i taralli, ma la gente lo festeggiava con la stessa devozione. Anzi, per certi aspetti, a volte i festeggiamenti erano anche più imponenti. I contadini, che durante l'estate avevano mietuto e raccolto il grano, a Settembre avevano qualche lira in più in tasca e quindi contribuivano ai festeggiamenti con maggiori offerte in denaro rispetto alla festa di San Vitale del 28 Aprile, subito dopo la quale iniziava per molte famiglie la temuta coste de máje (la salita del mese di Maggio), che significava che le scorte delle derrate agricole erano in esaurimento e quindi bisognava affrontare, in attesa del nuovo raccolto, una vita parsimoniosa, densa di stenti e di difficoltà.

Erano talmente affezionati i sansalvesi a San Rocco che ne avevano edificata anche la chiesetta, quella ancora esistente e purtroppo oggi cadente (vicino la rotonda tra Via Madonna delle Grazie e Via San Rocco), ove “viveva” e vive tutt’ora (prigioniero) Sante Rucchìccie, piccola statua di San Rocco, che ogni anno, una settimana prima delle celebrazioni del San Rocco maggiore, veniva portata in processione alla chiesa madre di San Giuseppe, percorrendo l’attuale strada Fontana Nuova, quella dove oggi abitano gli zingari, che sino agli anni '60 era una piccola via brecciata di campagna. Era quella l'unica processione nella quale, a portare la piccola statua, erano le donne, che z'avevane segnà' (dovevano iscriversi) per trasportarla, pagando un obolo alla Chiesa.

Una quindicina di giorni prima della festa, Don Cirillo, come un prete di campagna, iniziava a recarsi, prima di sera, a dire messa nella piccola chiesetta del santo. Qualche giorno prima, invece, si svolgeva la fiera, con le baracche che iniziavano a la Piane, attuale zona della Scuola Media S. D'Acquisto, sino a scendere in prossimità della chiesetta (le altre fiere si svolgevano invece alla discesa di Via Fontana Vecchia e ancor prima in un viottolo nei pressi della chiesetta della Madonna delle Grazie, all'epoca estrema periferia.

Il giorno di San Rocco, la processione era solenne.

Usciva per le vie del paese la statua grande di San Rocco preceduta dal Sacro Cuore di Gesù. Sante Rucchìccie invece, durante la processione restava in Chiesa, per essere ritrasportato, dopo qualche giorno, nella sua chiesetta in campagna.

E’ dagli inizi degli anni '80 che San Rocco non si festeggia più ed è un vero peccato. Gli unici indizi che ci riconducono a Lui ed al suo glorioso passato sono solo talune “affermazioni” sul suo conto, che sono resistite ai tempi: “Uè Sandro'!”, esclamazione di stupore ed a volte di imprecazione, dipende dal tono della voce con la quale la si dice, oppure “Córe de Sandrócche!” , in questo caso “prehate e no ‘rneate”, cioè pregato e non bestemmiato.

Per il resto ci siamo dimenticati totalmente di Lui.

Gli abbiamo fatto davvero la festa.

Eppure San Rocco, non era un santo fesso. Un miracolo certo vi era stato.

Erano gli anni '50.

Alla quindicenne Maria, figlia di Camillo Iacobon e Anna De Nicolis, sorella di Angelo De Nicolis (Angiluccio), coppia emigrata negli Stati Uniti molti anni prima, le avevano diagnosticato un male incurabile ad un braccio che le doveva essere amputato. Maria, la notte prima dell’intervento ebbe una visione: un omino con un cane. Questo omino le disse di stare tranquilla, che l’avrebbe aiutata lui. Il giorno seguente Maria entrò in sala operatoria e dopo un po’ ne riuscì senza aver subito alcun intervento: il male era sparito tra lo stupore dei medici. Maria raccontò a sua madre di quella visione. La mamma le mostrò le figurelle di tutti i santi del nostro paese. Alla vista della figurella di Sante Rucchiccie, Maria indicò, senza ombra di dubbio, l’omino della visione. I genitori per ringraziamento promisero di portare come segno di devozione, al loro primo rientro in Italia, un braccio d’oro a Sante Rucchiccie (“Lu vraccie d’ore”), dono che negli anni successivi veniva portato in processione il giorno della festa di San Rocco e .. haimè... svanito nel nulla insieme alla festa. 

Povero Sante Rucchiccie, che jella! Non solo “tagliato” dal suo popolo, ma egli stesso amputato del suo braccio d’oro, simbolo del suo miracolo a San Salvo.

Poverino!

Già se l’era vista nera, durante la guerra, quando la Sua Chiesetta uscì miracolosamente illesa dai bombordamenti alleati (vedere altra foto a fondo pagina). Poi la fece franca quando negli anni 70 l’Amministrazione Comunale si era messo in mente di buttare a terra la Sua chiesetta per realizzare Via Cesare Battisti. Venne salvata da una persona a me molto cara che si oppose al progetto (fateci caso quando ci passate: percorrendo Via Battisti, quando si scende da dietro alla villa e si arriva in prossimità della chiesetta, la strada devia a sinistra andando a confluire nella rotonda).

Che strana la storia di San Rocco a San Salvo. Ha resistito alla ferocia della guerra e alle demolizioni in nome del progresso, ma è rimasto vittima dei tempi che mutano.

Il tempo muta ogni cosa, anche le feste e le tradizioni di un popolo.

Ci vuole la fortuna anche ad essere santi.

Con la crescita demografica e la susseguente espansione immobiliare del paese, le feste religiose si sono spostate dalla piazza principale ai quartieri periferici.

Volendo adoperare un modo di dire: c’è chi ne ha guadagnato e chi ne ha perso.

San Nicola, ad esempio, che negli anni '60 si festeggiava in piazza San Vitale, ne ha guadagnato con la chiesa nuova e anche con nuove tradizioni (da qualche decennio arriva addirittura dal mare); anche la Madonna delle Grazie, che prima si portava solo in processione dalla sua chiesetta omonima a quella di San Giuseppe, ne ha guagagnato in quanto da un trentennio si festeggia l’ultima domenica di maggio "a la Madonne" (a fianco alla sua chiesa) con tanto di orchestra e fuochi artificiali, anche se per ascoltare la musica bisogna fare la discesa ”de la fànte” (della vecchia fontana) ed al ritorno viene il fiatone.

A farne le spese invece, nel senso che sono feste ormai dimenticate, sono stati San Vito e Sant’Antonio, che si festeggiavano in piazza il 16 e 17 giugno, e naturalmente il nostro amato San Rocco ed il Sacro Cuore di Gesù,  accompagnatore ufficiale nelle processioni di San Rocco, le cui ultime feste, da quel che mi ricordo, si svolsero in Piazza Aldo Moro agli inizi degli anni ì80.

Vi sono poi feste che vengono, come quella di Padre Pio ed altre che vanno (indietro) ad esempio quella della "Madonna di Fatima” a San Salvo Marina, festa inversamente proporziale alla grandezza della chiesa e degli abitanti: quando si festeggiava negli anni '60 alla chiesetta vicino al passaggio a livello, con quattro gatti di fedeli della Stazione, era una festona, oggi invece con la chiesa grande in Via Magellano ed una marea di case per il mare, è una festicciola.

Vi sono, inoltre, feste rionali inventate da qualche anno di sana pianta, come la festa de “Lu Cuavìute de la ràne”, contrada sansalvese che prima era aperta campagna (ci stavano solo le masserie di Antonio Artese, il padre del prof. Ennio, e di Zi' Pasquale Giagnàcule) o la festa di "Via dello Stadio", organizzata dal dinamico Cesario Raspa, codiuvato dai suoi insepabaili “Amici della tradizione”, e feste inventate di "santa pianta", come quella di San Marco nella vicinissima Contrada Piane di Marco di Vasto (pi la ve de le Pìlercie), la cui santità nella zona era totalmente sconosciuta nei secoli passati.

Con il disamore per la politica, sopratutto da parte della stragrande maggioranza dei giovani, sono sparite le feste rosse e bianche (le feste dell'Unità e dell'Amicizia), tanto di moda durante la 1^ Repubblica, una specie di manifestazioni “fast food” che somigliavano al detto “passata la festa gabbato il santo”, che hanno lasciato il posto a notti apolitiche ed apocalittiche colorate di bianco, rosa e del colore della birra.

Sono mutate anche talune tradizioni.

Con l'avvento negli anni '60 dei veglioni di fine anno ed i cenoni, non si canta più da anni “Il capodanno”, mentre si è riscoperto da circa dieci anni il Canto della Passione, che si canta per le vie del paese generalmente il mercoledì della settimana santa, tradizione un tempo molto sentita dalla comunità casalona sansalvese che cantava in una strofa: "I due redentori andava vestito da natorà”, che mio padre sosteneva volesse significare: "Il Cristo Redentore andava vestito al naturale", cioè nudo).

Altre tradizioni, invece, nel corso degli anni, si sono evolute in sagre, come “Le sagne”, che non si mangiano più al mulino, ma nelle piazze, e stessa "evoluzione" ha subito il tradizionale “Fuoco di San Tommaso”, il grande falò che dal 1745 si accende la sera del 20 Dicembre, per ricordare quando i sansalvesi, in attesa delle reliquie di San Vitale, portarono ognuno da casa in piazza un pezzo di legna per riscaldarsi nella fredda nottata dell’attesa. Durante il fuoco non si scippa più il cappello in testa a qualche malcapitato per buttarlo nel rogo o non si fa più a "gera cappelle" (gira cappello), gioco tra ragazzi in cui il cappello scippato volava di mano in mano, con il proprietario che lo riconrreva, finendo inesorabilmente nel falò, ma si mangiano le salsiccie. Addirittura anni addietro vi fu anche la rievocazione storica dell’arrivo dell’ urna, simile a quella che da qualche decennio va di moda in molti paesi abruzzesi, in cui i figuranti sansalvesi indossarono abiti nobiliari invece delle pezze al “culo” come i loro antenati, sopratutto durante gli anni '50-'60.

Insomma le feste e le tradizioni cambiano, così come cambiano i contesti sociali e culturali della gente.

Come si diceva un tempo, pure le feste sono diventate "a libertà sandrócche", modo di dire che ognuno è libero di fare come gli pare e piace.

Ognuno è figlio del suo tempo e bisogna adeguarsi ai tempi che mutano.

Mi dispiace solo un po’ per San Rocco, ferito, che è rimasto, come San Vito, solo con il suo cane.

Meno male che sono esistiti ed esistono i cani.

Gli animali sono i veri amici dell’uomo e da quel che pare anche dei santi.

4 maggio 2014


Fernando Sparvieri

NOTE:

  • La famiglia Iacobon commissionò il braccio d'oro ad una oreficeria di Vasto nel 1951 con cerimonia di consegna nel 1954, dopo aver provveduto anche a dar luogo a lavori di ampliamento della chiesetta.
  • Lu caviute de la ràne" o "cave de la ràne" (cava della sabbia) è una zona di San Salvo così chiamata perché vi era una cava di materiale sabbioso/misto di proprietà dello Stato. I lavori di prelievo nella cava terminarono a seguito di richiesta della famiglia di Artese Antonio che ivi possedeva una confinante azienda agricola.
  • "Geracappelle" (giro cappello). Durante il Fuoco di San Tommaso si usava scippare il cappello dalla testa di qualcuno facendolo volare di mano in mano mentre il proprietario cercava di riprenderselo. Spesso il cappello finiva nel fuoco con disappunto del proprietario. Erano in molti che evitavano di indossare il cappello nella serata del fuoco, mentre altri, che lo mettevano, erano sempre attenti e vigilanti. Bastava un attimo di distrazione e ... il cappello finiva nel fuoco.


Qualche fotografia della Festa di San Rocco

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