di Fernando Sparvieri
“
Canda hàsse li sà ca
ugne anne li l’hóme acchiappe, chi ci va a fa' a èlle!”
(quando Egli lo sa che ogni anno lo catturano, cosa ci va
a fare lì!).
Così disse un vecchietto ad un suo amico, anch’egli
anziano, seduto accanto a lui in chiesa, quando il prete,
durante la messa del Venerdì Santo, predicava che il
Cristo, dopo il bacio di Giuda, venne catturato dai
soldati romani nell’Orto degli Ulivi per essere condotto
dinanzi a Pilato.
Erano anni, evidentemente, che quel nostro amico
vecchietto si struggeva l’anima sentendo quella storia. In
cuor suo, forse, sperava che il Cristo, imparata la
lezione, ci paresse senno evitando quel Calvario e che il
prete, prima o poi, annunciasse finalmente al mondo una
Pasqua migliore.
Non ricordo i nomi dei nostri due antichi concittadini e
forse non li ricorderò mai, perché sono andati via,
insieme a chi mi raccontò l’aneddoto, tutti all’altro
mondo. La storiella però è vera. Successe prima della
guerra, quando il prete era Don Oreste Scatozza e la
chiesa , oltre ad essere un luogo di culto, era un raggio
di luce in un oscurantismo culturale quasi totale.
Erano quelli tempi neri e non solo per via del Fascio che,
almeno da quel che dicono, pare non fosse un bel fascio di
luce. Erano tempi oscuri, talmente bui, che la processione
del Cristo morto, stando a ciò che mi raccontava mia
madre, la si faceva di giorno, intorno a mezzogiorno.
"Quando sei nato tu", mi raccontava, "il 3 Aprile del
1953, era Venerdì Santo e tu diedi i primi vagiti verso
mezzogiorno, proprio mentre passava la processione del
Cristo morto sotto l'Arco della Terra", casa che era di
proprietà della famiglia di mio nonno Sebastiano
Napolitano.
Nulla di strano, avevo sempre pensato. In fondo i preti
hanno sempre fatto un po' di testa loro con l'orario delle
processioni e poi, a quei tempi, con la scarsa
illuminazione pubblica esistente, pensavo che fosse più
che una necessità svolgere il rito processionale in pieno
giorno, con la luce del sole.
Invece mi sbagliavo.
Chiedendo lumi ad alcune nonnine ho scoperto che in realtà
il Venerdì Santo a San Salvo se ne facevano due di
processioni: la prima, di mattina, che rievocava la Via
Crucis; la seconda, invece, alla sera, quella solenne, del
Cristo morto.
Altro particolare suggestivo raccontatomi dalle nonne è
quello che la mattina, durante la processione, la Madonna,
vestita a lutto,
j'ave artruvuénne lu feje se'
(andava alla ricerca di suo figlio) e quindi, nel corteo,
la sua statua precedeva quella del Cristo morto, che
veniva ugualmente portata in spalla, però alla fine del
corteo, come a volerla far entrare in scena dopo la
Crocifissione.
Durante la processione antimeridiana, si effettuavano
soste in punti prestabiliti del paese, le cosidette
stazioni, in cui predicava il prete ed a volte qualche
frate. Questa rievocazione ripercorreva allegoricamente la
strada per il Calvario sino all'orario della crocifissione
del Cristo (ore 12.00 del 3 aprile del 33 d.C., data più
accreditata) e non mancavano i simboli della Passione: una
grossa croce nera portata a spalla, una colonna per
rappresentare il luogo della flagellazione del Cristo, un
galletto in legno tra due lance, a ricordare ciò che disse
Gesù a Pietro nell'imminenza dell'arresto (prima che il
gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte), il
martello ed i chiodi con i quali crocifissero il Signore.
Secondo le testimonianze delle nonne i luoghi in cui
avveniva le stazioni erano tre o quattro: una in
C.so Garibaldi, dove il prete predicava dal balcone della
casa di Don Oreste Artese, un' altra a casa dell'orefice
Don Antonio Vicoli riscendendo da Via Savoia, un'altra
ancora al Calvario, e l'ultima, per finire, al muraglione
della curva
de Donna Emma la mamméne (Donna Emma
Frasca, la levatrice), oggi più famosa con il nome
de
la curve de Baldassarre, prima di scendere giù, alla
chiesetta della Madonna delle Grazie.
Giunti alla Chiesetta della Madonna delle Grazie, lasciate
le statue al suo interno, la processione di mezzogiorno si
scioglieva ed ognuno tornava alle proprie case ed attività
quotidiane.
Alla sera, verso l'imbrunire, aveva luogo la processione
solenne, con la statua del Cristo morto che precedeva
quella della Madonna.
Il corteo risaliva lungo l'attuale via Trignina e faceva
ritorno alla Chiesa di San Giuseppe. Vi partecipava la
stragrande maggioranza delle persone. Mia nonna Maria
Fabrizio, deceduta ultracentenaria, mi raccontava che la
processione serale era frequentatissima da molte donne,
che non potendo sfoggiare di giorno abiti nuovi, speravano
di nascondere, con il calar della sera, i vestiti troppo
spesso miseri che indossavano.
Negli anni '60, con i tempi ed i costumi che iniziarono a
mutare, e forse grazie anche alle prime moderne
illuminazioni pubbliche, il Cristo morto iniziò ad uscire
sempre e solo di sera.
Nel pomeriggio, i chierichetti, per annunciare al popolo
l'imminenza della messa, che non poteva essere preceduta
dai rintocchi delle campane, che erano a
ttacchìte (legate,
non suonavano), in segno di lutto, giravano per le vie
paese
nghe lu trìc e trác, che era un aggeggio con
dei ferri attaccati ad una tavola, che agitandolo a destra
e a manca emetteva un rumore assordante, seguiti da frotte
di bambini
nghe le racanélle, altri aggeggi in
legno o
di canna, che mettevano a rebbélle (a
rumore) l'intero paese.
E finalmente, dopo la messa, usciva la processione.
Le donne sfilavano davanti e cantavano: "
La passiona
del signore, il dolore di Maria, impresto sempre sia...
la nostra córa (impresso sempre sia, nei nostri
cuori); i maschi, invece, che chiudevano il corteo,
cantavano anch'essi con le loro voci robuste, conferendo
alla serata un'atmosfera di grande sacralità.
Prima di far ritorno in Chiesa, c'era la predica.
La processione si fermava in Piazza Municipio, illuminata
a giorno da un grosso lampione conico collocato su di un
palo altissimo di metallo, che sembrava un disco volante.
Lì, Cristo morto, adagiato su un catafalco, pareva
ascoltasse anch'Egli, insieme ai fedeli, la predica che
faceva Don Cirillo dal balcone centrale del Municipio.
San Salvo - Piazza Municipio
anni '60
Chissà quanti preti, prima e dopo Don Cirillo, avrà
ascoltato in tutti questi anni il nostro Cristo morto.
La lezione però, come disse quel vecchietto, non l’ha
ancora imparata: continua ogni anno a recarsi all’Orto
degli Ulivi,
canda hàsse li sa' ca a elle le l’home
acchiappe” (quando Egli lo sa che lì lo
cattureranno).
Secondo me forse vuole farsi
acchiappare Lui.
E sapete perché?
Perché la lezione non è ancora servita a chi era
effettivamente rivolta.
Auguri per Pasqua.
“
Augurie! E mo me le dece! Mo' so' magnate!”.
(Auguri! E adesso me lo dici! Ho già mangiato!), rispose
un sansalvese agli auguri di Pasqua, ricevuti nel
pomeriggio.
Fernando Sparvieri
3 Aprile 2015 (Venerdì Santo)