(Confidenze notturne ad una panchina vuota)
di Fernando Sparvieri
Foto di Umberto Di Biase
Sono qui, fermo, immobile, su questo piedistallo dal 29
giugno 1932, decimo anno dell'era fascista. Non ho un nome
mio, mi chiamano tutti “
lu munumente” e idealmente
è come se mi chiamassi con tutti questi nomi che sono
incisi sul marmo sotto di me, nomi di ragazzi morti in
guerra, per realizzare questa Italia che sognavo diversa.
In tutti questi anni ne ho visti di tutti i colori e di
tutti tipi: neri, rossi, bianchi, scoloriti e ridipinti.
Ho visto giri d’Italia e udito giri di parole. Ho visto
nonni andare via, genitori e figli, ancor prima di
divenire nonni, andare via anch’essi. Quante volte avrei
voluto andare via anch’io.
Nel 1943 la prima grande delusione. Vidi la guerra a San
Salvo con i miei occhi, nonostante avessero predicato ai
miei piedi che l'uomo sarebbe vissuto in pace; la verità
fu che altri nomi di poveri ragazzi si aggiunsero a quelli
morti nella prima guerra mondiale.
Nel 1948 una luce di speranza, il fuoco sacro della
fiaccola olimpica, di passaggio a San Salvo per le
Olimpiadi di Londra, le prime del dopoguerra, illuminò il
mio volto. Ma fu solo una meteora: l'uomo continuò a fare
le guerre in ogni dove: in Corea, in Vietman, in Libano,
in Medio Oriente, in Jugoslavia, in Afganistan.
Mi dicono che oggi nel mondo si combattono guerre giuste,
in nome della democrazia e della liberta, e si va in
missione di pace, che sempre guerra è.
Che errore, per non dire orrore, giustificare la guerra
per il raggiungimento della pace . La guerra sempre
ingiusta è.
La verità è che il mondo è cambiato e me ne sono accorto
anch’io nel mio piccolo, cioè nel mio piccolo orticello.
Una volta questo giardinetto era un luogo sacro, una
specie di piccolo camposanto, in cui i sansalvesi si
toglievano il cappello.
Anni addietro, invece, dei ragazzi mi hanno messo un
cappello in testa ed una sigaretta in bocca,
sbeffeggiandomi come fossi un pupazzo.
Un’altra volta hanno tentato di fregarmi la baionetta che
è rimasta piegata.
Da quando poi negli anni '70 hanno tolto
qui intorno le inferriate di recinzione, in cui non mi
sentivo prigioniero, ci portano a pisciare i cani,
nonostante vi sia il divieto di "cesso" e c’è un fetore
che fa un po’ schifo.
In occasione di una edizione della notte bianca, ho
attraversato una notte in bianco o meglio la notte più
nera della mia vita: hanno messo dei tavolini sparsi
all’interno del mio giardinetto, addirittura qualcuno
proprio sotto di me, ed hanno mangiato e fatto a
bicchieri, alla faccia della ritirata di Caporetto e della
mia privacy che ritenevo, come per ognuno, sacra.
Per carità, grandissima festa! I giovani fanno bene a
divertirsi. “Fate l’amore e non la guerra” era il motto
dei giovani beat negli anni '60, ma mica lo si può fare
ovunque, anche in mezzo alla piazza!
"Mettete dei fiori nei vostri cannoni" era invece un altro
motto dei giovani beat degli anni '60. Gli amministratori
comunali dell'epoca, eravamo sempre negli anni '70, lo
presero letteralmente alla lettera e mi collocarono a
fianco due cannoni, naturalmente tra i fiori.
Successe il finimondo. Michele Molino, che era alle prime
armi come giornalista de"Il Messaggero", fece un articolo
dal titolo "Golpe a San Salvo".
Si scatenò un pandemonio.
L'articolo finì in cronaca locale, regionale e nazionale.
Dopo una settimana arrivarono giornalisti da tutta Italia
fra cui quelli del mensile "Epoca", tra l'imbarazzo degli
amministratori che naturalmente erano in buona fede. Fu
per me un momento di notorietà, con la mia foto che fece
il giro d'Italia.
Tanta notorietà sicuramente è stata troppo, ma anche
essere dimenticati quasi del tutto un po' mi dispiace.
"In medio stat virtus",dicevano i latini a significare che
la cosa giusta sta sempre nel mezzo.
Probabilmente sono troppo vecchio ed anacronistico per i
tempi che corrono e talvolta faccio fatica a comprendere.
A volte mi sento come una di quelle vecchie fotografie dei
bisnonni che si tengono ancora in casa, ma che nessuno
guarda.
I giovani, da anni, mi passano vicini indifferenti e non
mi degnano nemmeno di uno sguardo.
In occasione della marcia della pace non sono venuti una
sola volta a trovarmi e per arrivare in piazza San Vitale,
ove termina la sfilata, fanno il giro a lungo, non
passando neppure in Via Roma, per un breve saluto. E' vero
che vestito da soldato, così come sono, con questo fucile
che mi hanno messo in mano, così come lo misero in mano a
quei poveri ragazzi morti in battaglia con il sogno della
libertà, a qualcuno posso apparire il monumento alla
guerra, ma non è così. Io sono qui per ricordare a tutti
le atrocità della guerra, per condannarla, e quindi sono
simbolo di pace.
Meglio non parlare poi della festa del 4 novembre che non
si capisce più in che giorno si celebra. Un tempo la si
celebrava fissa il 4 novembre ed era una bella festa
nazionale. Da quando, invece, nel 1977, è stata declassata
a festa mobile e per legge bisogna celebrarla la prima
domenica di novembre, è come spegnere le candeline la
prima domenica del mese in cui sei nato.
Un compleanno riscaldato.
Ricordo che un anno mi festeggiarono addirittura un giorno
feriale perché il Sindaco era andato a Roma. Roba
dell’altro mondo! E' come se la festa di San Vitale
venisse spostata dal 28 Aprile al 30 perché il prete è
andato in Vaticano.
Ma in fondo forse è meglio così. Cosa pretendo! In fondo
la mia non è una festa.
Come si fa a chiamare festa una giornata in cui si
commemora il sacrificio di giovani vite umane ed antichi
lutti.
E poi! Cosa vuoi che ne sappiano di me le nuove
generazioni, quando, grazie a Dio, sono settantanni che
l'Europa vive in pace.
Per fortuna che Iddio preserva ancora qualche reduce
combattente che in occasione delle celebrazioni del 4
novembre viene ancora qui, puntuale, come ai vecchi tempi,
per onorarmi. Ma l’atmosfera è diversa, quasi una prassi.
Qualcuno comizia e poi arrivederci all’anno prossimo.
Sembra ieri, quando, il 4 novembre venivano a trovarmi le
mogli, i figli, le mamme, i padri, i fratelli e sorelle di
quei poveri ragazzi morti in guerra e leggevo la
commozione ed il dolore nei loro occhi.
Che brutta cosa è la guerra!
La guerra è' il suicidio dell'umanità. In guerra non vi
saranno mai vincitori e vinti perché perde sempre e
comunque l'umanità.
Nassiriya!
L’uomo fa la guerra perché non trova pace.
Buonanotte, cara amica panchina.
Fernando Sparvieri