di Fernando Sparvieri
Vi sono delle persone a cui
noi dovremmo essere grati per l’eternità ed invece dopo il
primo incontro, dopo aver pianto tra le loro braccia, dopo
essere stati coccolati e rassicurati: arrivederci e
grazie! Ce ne dimentichiamo e finiscono nel mondo
dell’oblio.
Sto parlando de la “
mamméne”, cioè della levatrice,
di quella donna la quale, con le sue mani delicate e
rassicuranti, ci ha dato il benvenuto al mondo, ha
ascoltato i nostri primi vagiti, ha visto se eravamo
maschi o femmine, dando la notizia alla mamma ed un tempo
anche alla nonna, che aspettavano impazienti di sapere.
Già la parola dialettale “
mamméne”, piccola mamma,
sta a significare l’importante ruolo di questa antica ed
insostituibile figura professionale, ma analizzando e
sillabando ancora meglio la parola (mamméne), ne viene
fuori, per magia del dialetto, un misto fra mamma e mani,
cioè donna che presta le sue mani alla mamma, diventando
al momento del parto madre essa stessa, in connubio con la
vera mamma.
Sarà questo il motivo per cui, in una forma diversificata
del dialetto locale, veniva chiamata “la vamméne”, ciè
donna che usa, adopera, le mani, appellativo che in ogni
caso le ruba un po’ di poesia, relegandola ingiustamente
solo ad un ruolo di assistenza nel parto.
A sottolinearne l’importante ruolo, Socrate, l’antico
filosofo greco (come riferisce il suo allievo Platone nei
“Dialoghi”), chiamò il suo famoso ‘metodo socratico’ “
maieutica”
(dal greco maieutiké), che significa "arte della
levatrice" o "dell'ostetricia", paragonando il maestro ad
una levatrice che deve aiutare il discepolo a partorire la
conoscenza e la verità.
“
A ta chi t’arcódde?” (Chi ti ha fatto nascere?),
era questo il modo di dire dei sansalvesi per sapere quale
levatrice avesse prestata la propria opera assistenziale
al momento della nascita.
Anche quest’altra parola dialettale, ormai inusuale, a mio
avviso assumeva un duplice significato nella società
contadina e cioè, il primo “di chi ti ha raccolto”, nel
senso “di chi ti ha colto" come un frutto ormai maturo,
facendoti nascere, ma in secondo luogo anche di “chi ti ha
accolto”, cioè chi è stata la prima persona ad accoglierti
in questo mondo. Spesso tuttavia questo modo di dire
veniva usato anche in modo spregiativo per dire
offensivamente a qualcuno: “
Ma a ta chi t‘arcódde!”,
a significare che era meglio se al momento della nascita
ti avessero fatto cadere non raccogliendoti, non ti
avessero fatto nascere. Magia del dialetto: cambiando
l’intonazione della voce assume diverso sigificato.
Se volete sapere a me chi “
m’arcódde”, e sopratutto
chi "
arcódde” ad intere generazioni di sansalvesi,
ormai di una certà età, è presto detto.
"
A ma m'arcódde Donna Emme, la mamméne" ( A me mi
ha “raccolto” Donna Emma, la levatrice), per l’anagrafe
Frasca Emma Giulia, che era nata a L’Aquila il 20 Gennaio
del 1893 e deceduta a San Salvo il 31 Marzo del 1973.
Donna Emma era arrivata a San Salvo nel lontano inverno
del 1912-1913. Era giunta a seguito di una richiesta
formulata all’Ospedale de L’Aquila da parte di Don Oreste
Artese, capostipite di una delle famiglie più blasonate e
benestanti di San Salvo, il quale si era rivolto alla
struttura ospedaliera, affinchè mandasse a casa sua una
delle migliori levatrici del nosocomio, per aiutare nel
parto una propria congiunta.
Donna Emma, come nelle più belle fiabe d’altri tempi,
arrivò a San Salvo e non se ne andò più, complice l’amore.
Si innamorò infatti perdutamente di un giovane sansalvese,
Antonio Fabrizio, con il quale si sposò. Dal loro
matrimonio nacque Lidia, a sua volta andata in sposa al
dott. Federico Bontempo, genitori di Pietro, il
medico-dentista.
All’epoca “
la mamméne”, insieme alle altre autorità
paesane, al prete, al maresciallo dei carabinieri, al
farmacista, al medico, era una vera personalità del paese,
degna di rispetto istitituzionale. Il titolo onorifico di
“donna” stava proprio a significarne il grande rispetto
che la popolazione nutriva per la sua persona e per la sua
figura professionale. Il suo lavoro, a quei tempi, non era
facile. I parti avvenivano nelle case, a volte in piena
notte e spesso in condizioni ambientali, igieniche e
climatiche disagiate. Alla chiamata la “
mamméne”
doveva correre subito, sotto l’acqua e sotto la neve: il
bambino non aspettava. Erano tempi davvero grami e bisogna
ricordare, per la cronaca, che vi era anche un’alta
mortalità tra i neonati.
Donna Emma, oltre ad assistere le mamme nei momenti del
parto, era anche colei che le seguiva durante la
gravidanza, prodiga di consigli post-partum e nel periodo
del puerperio.
Quando Donna Emma, ormai anziana andò in pensione, arrivò
a San Salvo il 1° gennaio 1962, la signora Nola Armida,
levatrice condotta, originaria di Casalincontrada, che
proseguì con estrema professionalità ed umanità la
missione di “
mamméne” nel nostro paese.
La signora Armida, moglie di Trentino (Trento De Luca,
maestro fabbro originario anch'egli di Casalincontrada,
grande artista anche nel ferro battuto, una delle persone
più brave che io abbia mai conosciuto per bontà e pazienza
infinita) rifiutò da subito il titolo onorifico di
"donna", facendosi chiamare semplicemente con il suo nome,
segno dei tempi che stavano mutando.
Sono andato a trovare in questi giorni la signora Armida,
ormai in pensione, ed ho potuto apprezzarne appieno le sue
innumerevoli doti e qualità. La sorpresa maggiore è stata
quando mi ha mostrato un suo libro inedito dal titolo
"Frammenti di Vita di Un'Ostetrica" che Ella, su
sollecitazione dei figli, ha scritto dopo non poche
titubanze.
Così scrive in un emozionante e stupendo capitolo:
"..
.condividevo l'ansia e cercavo di renderla serena e
costruttiva fino a quando il vagito irrompeva nel cupo
silenzio della casa come una musica sublime trasformando
tutto in allegria. Nessun suono sulla terra potrà mai
eguagliare un primo vagito e avere un potere più magico".
Incomparabile.
E' un libro privato e personale, mai pubblicato, scritto
interamente dalla signora Armida al computer, che usa
egregiamente, ed addirittura rilegato direttamente da Lei
meglio di un rilegatore professionista, autrice anche
della copertina, in cui racconta, tra narrativa e
autentica poesia, taluni aspetti significativi della sua
vita familiare e della sua missione di ostetrica.
La signora Armida, che ha visto crescere San Salvo anche
demograficamente, come si legge nel suo libro, fu spesso
costretta ad un super lavoro, non solo a seguito di
circostanze che resero vacanti i posti delle titolari
delle condotte dei paesi limitrofi.
Aggiunge:
"La mia assistenza si estendeva nelle campagne
dei paesi limitrofi che distavano molto più dal loro
comune che da San Salvo. Andavo a Cupello e nelle sue
contrade di Ributtini, Bufalara, Montalfano... Poi c'era
contrada Padula di Montenero di Bisaccia..."
Il risultato fu che in 23 ore prestò la sua opera in 5
parti: un vero record.
Quando con la legge 833 del 1978 sul Servizio Sanitario
Nazionale, l'Istituto Nazionale della Sanità abolì
formalmente la figura dell'ostetrica condotta, il ruolo
dell'antica "
mamméne" terminò, spostando di fatto
le nascite dalle case agli ospedali.
Le giovani mamme sansalvesi iniziarono a partorire sempre
più numerose negli Ospedali di Vasto, Lanciano e Atessa,
seguiti durante le gravidanze da specialisti ginecologi ed
ostetriche ospedaliere, anche se furono in molte, nel
periodo della gravidanza, a rivolgersi ancora ad una
generosa e competente signora Armida, sempre prodiga di
consigli, che continuò tuttavia a prestare la sua
esperienza nel Consultorio ed in altre strutture sanitarie
sino alla meritata pensione del 28 Dicembre1994.
Il calore della culla domestica lasciò il posto alle culle
ospedaliere ed i papà ed i nonni inziarono a conoscere il
proprio bambino, con il numero su un braccialetto,
cercandolo emozionati tra gli altri nascituri da dietro il
vetro del nido.
In questo anno che sta per nascere ho pensato di ricordare
chi ci ha aiutato a nascere, Donna Emma e la signora Nola
Armida, le ultime due "
mamméne sansalvesi" che
hanno prestato le loro mani alle nostre mamme, consentendo
ad intere generazioni, come la mia, di nascere a San
Salvo.
Alla umile signora Armida, nel farLe gli auguri di Buon
anno, mi sento obbligato di spronarla a pubblicare quel
suo straordinario libro, in modo che tutti possano vivere,
attraverso la lettura, le meravigliose emozioni che Ella
ha provato come donna, madre e "
mamméne". Chissà
che la notizia non giunga alla Federazione Nazionale
Collegi Ostetriche.
In conclusione una sola parola mi sento di dire ad
entrambe ed anche a tutte le ostetriche che sono oggi in
servizio e svolgono questa antica missione cominciata agli
albori dell'umanità:
GRAZIE.
Fernando Sparvieri
San Salvo, 30/12/2013
NOTA:
Socrate doveva essere davvero un saggio: sua moglie
Santippe, che era una levatrice, era bisbetica e gli
faceva passare un sacco di guai. Nonostante tutto chiamò
il suo metodo socratico “Maieutica”. Scherzi a parte non
fu la moglie ad ispirare Socrate, ma sua madre, la
levatrice Fenarete.
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