GLI
UCCELLI
(In compagnia di
Hitchcock)
di Fernando Sparvieri
"Zi' Bio'ooooohhh...Zi' Bio'ooooohhh...",
gridava come un ossesso, in un chiasso infernale, Erminio
Del Casale, il nostro portiere della U.S. San Salvo, già
portierino della Tenax, squadretta di calcio locale prima
dell'era industriale.
Quelle grida, a squarciagola, che Erminio, com'era suo
solito fare, pareva rivolgere, fra i pali, ad un suo
compagno di squadra, durante la composizione della
barriera, prima della battuta nella sua porta di un calcio
di punizione, non erano rivolte questa volta ad un suo
compagno biancoceleste, ma a
zi' Bionde, l'anziano
proprietario del cinema Odeon, che in verità in gioventù,
quarant'anni prima, nel periodo del fascio, era stato
anch'egli calciatore, ma che adesso a tutto pensava,
fuorché al pallone.
Erminio Del Casale al
centro, seduto in una panchina della neonata villa
comunale. Alla sua sinistra Carlo Cardarella ed a
destra Felice Tomeo, primogenito di Biondo.
Era successo che una notte, era crollato all'improvviso,
il tetto del cinema Odeon, che era stato realizzato
vent'anni prima da Pompeo Marzocchetti (
Pumbue') in
Via San Giuseppe, e che dopo due gestioni successive, la
prima nel '54 da parte di
Mastre Nicole Cucciàtte,
in società con
Urìne Baldassarre, e la
seconda nel '55 del vastese Gaetano del Borrello, se l'era
ricomprato Biondo Tomeo e
elle faciàve lu cinéme (e
lì proiettava le pellicole, nel senso che era il padrone
del cinema).
Tranquilizzando da subito i nostri tifosi, sul fatto che
neppure una tegola cadde sulla testa del nostro portiere
Erminio, così come in quelle degli spettatori, per il
semplice fatto che era da poco terminata l'ultima
proiezione ed il cinematografo era vuoto, al dinamico
Biondo, già proprietario del famoso "Bar dell'auto" in Via
Roma, venne in mente di trasferirlo, durante i lavori di
ricostruzione, nel locale seminterrato in cui era stato
già in affitto il Cinema San Vitale di Don Cirillo
Piovesan, ubicato in 1°vico Fontana, nella casa in cui un
tempo avevano abitato, sempre in affitto, anche le bianche
suore comboniane, di proprietà di
Donn'Antonie lu
ràfece (Antonio Vicoli), il quale ormai era passato
a miglior vita e che se l'era ricomprata la famiglia di
Vito Checchia.
La porta d'ingresso del
cinema in 1° vico Fontana. Appena entrati vi era il
botteghino, a cui a fianco vi era il locale macchina.
La sala cinematografica era ubicata nella restante
parte dell'interrato verso Via Savoia.
Quel locale, per i nuovi tempi che correvano, era davvero
messo male: vi entravano a malapena una quarantina di
persone ed il pavimento, a mattoni, era pianeggiante e non
inclinato come un normale locale cinematografico. Per
questo motivo, il fascio luminoso che fuoriusciva dal
proiettore, si stagliava prima sulle nuche degli
spettatori seduti in prima fila, e poi sul telone di
proiezione.
Infatti, se qualcuno muoveva la testa, durante la
proiezione, la sua ombra, ingigantita da quel fascio
luminoso, si vedeva muovere sulla parte bassa del telone
ed era anche un'ottima soluzione, per noi ragazzi, quasi
tutti capelloni, per capire narcisisticamente, se qualche
ciuffo di capelli era fuori posto, e se lo era, era
l'occasione giusta per vedere anche la nostra mano, che
diventava una manona proiettata sul telone, quando
istintivamente partiva per andare a risistemare la chioma.
Insomma era uno spettacolo nello spettacolo, sopratutto
quando capitava ai primi posti, qualcuno che aveva i
capelli rasati alla Umberto e le orecchie a sventola, che
si vedevano come glie le aveva fatte la mamma, riflesse in
cinevisione.
Essendo inoltre i posti a sedere molto limitati, chi
arrivava tardi si vedeva il film in piedi, in fondo,
vicino alla parete in cui vi era la buca del proiettore,
facendo però attenzione a non mettersi con la testa
proprio dinanzi al fascio di luce, per non sentire i
borbottii dei soliti criticoni. Altri, invece, preferivano
fermarsi con una spalla appoggiata ai muri laterali dei
due corridoi, le uniche zone non raggiungibili del tutto
dalla luce del proiettore, sperando che prima o poi
qualcuno si alzasse ed andasse via, per occupare il suo
posto caldo, riscaldato calorificamente da almeno un paio
ore.
Insomma, quel piccolo cinematografo, tanto per intenderci,
nonostante fosse stato del prete Don Cirillo Piovesan, non
era proprio un Cinema Paradiso, ma più un luogo di ombre
spettrali che al buio, andavano e rispuntavano, quando
meno te lo aspettavi, da quel telone.
Restando in campo religioso, ciò era quello che passava il
convento, e Biondo Tomeo, faceva di tutto, dei veri
miracoli, per sbaragliare la concorrenza
(lu cinéme de
Biascille).
Ed ecco una sera, tanto per restare in tema lucubre, Zi'
Bionde si superò: proiettò nientepopodimenoché "GLI
UCCELLI", un film dell'horror.
Il cinema si riempì. Tutti a veder gli uccelli. In sintesi
il film raccontava, da quel che mi pare di aver capito,
che gli uccelli, gabbiani, corvi, un po' di tutte
le
ualetà (di ogni specie), pure
le passarille
(i passerotti), ad eccezione di alcuni pappagalli, che
ieri come oggi, fanno
li scivule e casche (si
adattano alle convenienze), stavano incazzati neri con il
genere umano che si riteneva di essere il padrone assoluto
della Terra e decisero di
fàrejle scunta' (di
fargliela pagare). In pratica si erano stufati di tutte le
malefatte dell'uomo e gli volevano far la pelle. Erano
scene allucinanti, inimmaginabili. Questi uccelli,
praticamente, sempre più incazzati contro l'umanità, ne
combinavano di tutti i cinecolor, avventandosi su uomini,
donne e bambini, beccando il cuoio capelluto di poveri
disgraziati, cavando gli occhi ad un povero cristo che non
se l'aspettava, insomma facevano i dispetti più odiosi ed
atroci, ed anche io, che stavo seduto in prima fila, a
fianco ad Erminio, iniziai quasi quasi a preoccuparmi. Nel
locale non volava una mosca, ma solo uccelli ed uccellacci
incazzati ed anche gli altri spettatori cominciarono ad
essere sempre più terrorizzati. L'unico che pareva non
esserlo era
Marie Fecatazze, che ogni tanto, nelle
scene più tragiche, si scroccava un risatone "
ahhhhhh",
quasi ad intendere di aver capito che si trattava di una
finzione, come fece Mastro Luigi di Iorio, al Politeama
Ruzzi di Vasto, quando disse: "
A ma' me sa ca a ni' se
mammuccie j'arfreche".
Ed ecco che all'improvviso, sul più brutto, al momeno clou
della serata, udire a bassa voce, alle mie spalle, in un
silenzio surreale, interrotto solo a tratti dai versacci
di corvi e uccellacci, sempre più incazzati, una voce
umana: "
Ue' da hesse ta da' 'zza' ca quasse è lu puste
me".
"
Che cazze m'aja zza'!", gli rispondeva, sempre
sottovoce, un'altro essere umano.
Voltandomi vidi che erano due ragazzi: Tonino Marchetta,
che conoscevo da sempre, e Popoff (Rino Di Cola), che era
mio intimo amico essendo il bassista del mio gruppetto
beat locale "I FACILI".
"
Da hesse ta da' 'zza' ca quasse è lu puste me",
continuava a ripetergli Tonino Marchetta.
"
Che cazze m'aja zza!'', gli rispondeva facile Rino
Di Cola.
La discussione continuò: "
T'aje dette ca da hesse ta da
'zza' ca quasse è lu puste me", insisteva Tonino.
"
Che cazze m'aja zza'! Da ecche je' ne move", gli
ripeteva sempre più facile Rino Di Cola.
Il botta e risposta tra i due divenne sempre più
concitato, alzando entrambi lievemente il volume della
voce.
"
Da hesse ta da 'zza'!"
"J
e' ne m'ahazze".
"
Da hesse ta da 'zza'!"
"
So' truvuate lu puste lébbere e me so 'ssettate!"
"
Scie'! Ma je' ave' jute a piscie'!"
"
E che me ne freca a ma'! Chi va a Rome perde la
poltrone".
"
Scie' ma da hesse ta da zza' ca quasse è lu puste me!'"
"
Ue'!" si sentì a quel punto intervenire da dietro
uno spettatore che non riusciva più a seguire il film, "
v'aveta
sta zétte!".
E subito dopo un altro davanti, con tono più eloquente,
quase
accálecate (accentato):
"Ue'! V'aveta sta zette!".
E mentre la discussione tra i due litiganti proseguiva
senza sosta: "
Da hesse ta da 'zza'!" e "
Je' ne
m'ahazze", "
Je ave' jute a piscie' "
e
"
ch'è jute a Rome ha perze la poltrone", altri
spettatori, sparsi per la sala, cominciarono ad agitarsi,
qualcuno ad alzarsi, e dirsi tra di loro "
Ta da' sta
zétte!", "
v'aveta sta zétte"", "
Ma ve
vulàte sta zette!",
"ta da' 'cciucche'","
solénzie",
e successe un finimondo in cinevisione: ognuno intimando
il silenzio altrui, faceva chiasso a sua volta, ottenendo
l'effetto contrario, fino a quando quel piccolo
cinematografo divenne una Torre di Babele, udendosi un
susseguirsi di mille incomprensibili parole, di frasi
muccichite
(non complete) che accavallate l'una sull'altra, suonavano
più o meno in questo modo:
"V'aveta", "
zette",
"sta", "
da hésse", "
che cazze",
"zétte",
"
acciqquete",
"la poltrone", "
v'aveta",
"
zette", "
solenzie!", "
Rome".
"Zi' Bio'ooooohhh... cominciò a gridare a quel
punto Erminio Del Casale, ridendo insieme a me a
crepapelle, mentre la confusione ormai regnava sovrana e
il frastuono era arrivato alle stelle. Non vi era nulla da
fare: più volevano il silenzio e più il fracasso
aumentava. E tra un crescendo di "
v'aveta", "
zette",
"
sta", "
a piscie'!", "
solenzie" "
Rome",
ecco di nuovo Erminio Del Casale:
"Zi'
Bio'ooooohhh..."
Ed in mezzo a quel frastuono assordante, ecco
all'improvviso, una grossa ombra, inconfondibile,
stagliarsi sul telone.
Era
Zi ' Bionde.
A passo lento, serio, senza profferir parola, accennando
appena lo sguardo a destra e manca, passò in rassegna ogni
fila ed ad ogni fila superata, tornava come d'incanto il
silenzio.
Anche gli uccelli, alla vista di Zi' Bionde, si fermarono
sul telone. Fermi, sotto choc, a migliaia, sui tetti, per
terra, in fila, con le zampine su fili della corrente
elettrica di grosse meridionali dell'elettricità
americana, capirono che era il momento di stare zitti,
altro che rivoluzione.
Zi' Bionde, arrivato in fondo, sotto al telone, si
fermò e con lo sguardo, rivolto a tutti e a nessuno, e con
la faccia a
pàcchie a pàcchie (macchiata), in
cinecolor,
a seguito
delle ultime scene
del film in proiezione, con voce roca, disse: "
Lu chiu'
stipute 'mmezze a vi' è quélle che strélle Zi Bionde".
Zi' Bionde, girò i tacchi e se ne andò.
THE END.
L'umanità , per questa volta, era salva.
Morale della favola: nella vita spesso serve qualcuno a
cui chiedere aiuto per rimettere ordine, ma come quasi
sempre accade è proprio chi ha chiesto aiuto, ad essere
considerato, da chi è preposto a garantire l'ordine, un
vero cretino.
Fermo restando ca Zi' Bionde era solo il padrone del
cinema.
"Zi' Bio'ooooohhh..."