A la poste
(Alla posta)
di Fernando Sparvieri
Come ho già avuto modo di dire,
vi sono delle frasi, pronunciate da persone in circostanze
casuali, che restano impresse nella memoria di chi le ascolta,
senza che chi le abbia dette, sappia di esserne l'autore.
Si tratta in genere di frasi che entrano a far parte del
liguaggio comune di chi le ha ascoltate, che si adattano a
circostanze diverse da quelle che le generarono, che vengono
pronunciate, in famiglia o tra amici, per spiegare situazioni
particolari in cui ci accasche (ci cadono a
pennello), in cui la medesima espressione rende l'idea.
Generalmente, dopo averle pronunciate, queste frasi terminano
con un classico: "Diceva tizio e caio".
Alcuni di queste frasi, che entrano per caso nel patrimonio
linguistico di chi le ha ascoltate, sono divenute miei modi di
dire, avendole udite più volte ripetere da mio padre.
Mi raccontò che una mattina d'estate degli anni '80, mentre
era in fila all'ufficio postale, c'era un signore, non
originario di San Salvo, emigrato in Germania, che aveva
comprato come tanti casa nel nostro comune, che tornato
durante le vacanze estive, si lamentava ad alta voce, con
l'impiegato addetto allo sportello, della scarsa
professionalità e della disorganizzazione dell'ufficio
postale rispetto a quelli tedeschi.
"Qui in Italia", si lamentava, "non si capisce un bel niente.
In Germania è tutta un'altra cosa", ripeteva in sostanza.
Dall'aspetto e dal modo in cui si esprimeva, come si diceva a
quei tempi, quel signore doveva essere un "tedesco del tacco",
che significava che era un povero emigrato del sud, uno di
quelli costretti ad emigrare per lavoro all'estero, con scarsa
cultura, che si atteggiava a uomo di mondo, volendo far
credere agli astanti che egli proveniva da una civiltà più
avanzata rispetto a quella dei comuni mortali locali. E non la
smetteva.
Questa sua protesta diveniva, con il trascorrere dei minuti
sempre più chiassosa e quindi richiamò l'attenzione dei
presenti, tra cui vi era mio padre, maestro elementare in
pensione, che era insieme a Pasquale, suo amico, un ex
maresciallo dei carabinieri, anch'egli a riposo.
Entrambi, ascoltavano mentre facevano la fila, le lamentele
del "tedesco", che parea non trovare mai fine alle sue
critiche.
E fu allora che Pasquale, il maresciallo, rivolgendosi a mio
padre, che stava al suo fianco, così se ne uscì: "Maestro!
Anche la pezzenteria vuole il suo sfogo".
Altra frase è invece quella che gli disse Valentino, usciere,
che mentre era lì, con un borsone in mano, in attesa, parlando
in italiano frammisto al dialetto lancianese, zona da cui
proveniva, così commentò: "Maestro! Quésse è mancanza di
ignoranze".
25 Giugno 2022