In queste giornate primaverili
che precedono le elezioni amministrative del 12 Giugno 2022,
nell'augurare in bocca al lupo a tutti i candidati, che come
non mai sono impegnati sui social ed in ogni dove alla ricerca
di consensi elettorali, per una di quelle strane ed improvvise
similitudini che fa il cervello umano, mi è tornata in mente
una storiella legata
a la passatelle, svago preferito
dai maschi sansalvesi quand'ero ragazzino.
Cos'era
la passatélle?
Gli anziani del paese sicuramente la ricorderanno. I più
giovani, invece, dubito che sappiano tutti di cosa si tratti,
anche se ho saputo che per molti ragazzi, sopratutto nei
piccoli centri, è un passatempo ancora attuale.
La passatélle, che ha origini risalenti all'antica
Roma, da quel che ricordo io, si svolgeva in tutti i bar e
cantine dell'allor piccolo paese ed era il momento clou
successivo ad un gioco con le carte napoletane, in cui,
quattro giocatori, seduti intorno ad un tavolino, dopo una
partita a tressette, a scopa o ad un altro gioco, giocandosi
una bottiglia di birra o altra bevanda, davano vita
a
la legge (alla legge), altro nome
de la passatélle,
che consisteva, ridando una mano di carte, estesa a volte
anche ad altri avventori presenti che vi partecipavano, nello
stabilire chi fossero
lu patràune (il padrone) e
lu
sàtte (il sottoposto).
Lu patràune, in parole
povere, era colui che aveva ottenuto il punteggio più alto in
base a delle regole di gioco prestabilite e quindi aveva la
facoltà di comandare sulla bottiglia di birra e scegliere, a
suo piacimento, a chi offrirne un bicchiere. Per farlo, però,
doveva avere il consenso
de lu sàtte, che aveva
ottenuto il secondo punteggio più alto, senza l'autorizzazione
del quale non poteva dare da bere a nessuno.
Per questo motivo la cosa più logica era che il padrone
facesse
lu passe, cioè si ingraziasse da subito in
qualche modo il "sotto" offrendogli il primo bicchiere di
birra, per poi sperare di avere il suo consenso per offrirne
altri a chi voleva lui, ma ciò non sempre avveniva per
ripicche e controripicche tra di loro, spesso derivanti da
vecchie ruggini. Accadeva spesso, quindi, che tra sfottò
reciproci tra i due, il padrone, per sua decisione o
costrizione, alla fine decidesse o fosse costretto a scolarsi
da solo l'intera bottiglia, mettendo a serio rischio la sua
sobrietà. Faceva parte del gioco, inoltre, che qualcuno
venisse preso di mira e
jave ilmue (andava olmo, in
forma italianizzata), che significava lasciarlo per l'intera
durata del gioco a secco, cioè senza fargli bere un solo
goccio di birra. Insomma a volte era una specie di guerra di
logoramento di nervi tra le parti e non si capiva bene se a
comandare fosse veramente il padrone o il sotto.
Era un divertimento vederli giocare nei bar, prima che molti
baristi abolissero il gioco delle carte. A pagare le birre era
chi perdeva. Le partite, sopratutto nei pomeriggi invernali,
dentro bar con i vetri appannati dal fiato e pieni di fumo di
sigarette, si protraevano ore ed ore, sino all'ora di cena ed
anche oltre.
Il risultato erano certe
panze (pancie) prominenti,
che dopo anni di "imbirramento", diventavano simili a botti e
botticelle, a seconda della costituzione fisica dei bevitori,
che mettevano a dura prova i bottoni della camicia nella zona
del ventre.
"Seee! Purte n'andre!" (Silvio porta un'altra bottiglia
di birra), gridavano al termine di ogni partita a Silvio
Ialacci, il barista che aveva il suo bar Roma in C.so
Garibaldi, con il bancone in una camera ed i tavolini, il
bigliardo ed il biliardino in un'altra adiacente, dove si
giocava a carte.
I baristi, per non perdere il conto delle decine di bottiglie
di birra scolate, ponevano accanto ai tavolini dei giocatori
una cassa di birra vuota, che spesso e volentieri si riempiva
dopo qualche ora, costringendoli ad accatastarne altre, una
sopra l'altra. Era inevitabile che qualcuno prima o poi
se
'nciucianásse (si ubriacasse). Allora, con i fumi
dell'alcool nel cervello, cominciava uno spettacolo nello
spettacolo, in cui davano vita ad interminabili e chiassose
discussioni, che sfociavano, non di rado, in memorabili liti e
talvolta in risse.
"Uaglio'!!!" (Ragazzi!!!), si sentiva gridare
Sélve
(Silvio) ad alta voce, da dietro il bancone, quando si
accorgeva che nella camera accanto, stavano iniziando
discussioni fuori dalle righe.
La passatélle era un'ottima fonte di guadagno per i
baristi. L'orario di chiusura dei bar era a mezzanotte ed era
frequente che qualche barista fosse costretto quasi a
cacciarli a notte inoltrata. Ma chi giocava non lo capiva. "
N'andre
gére" (Un altro giro), gli rispondevano "
e doppe
jame a cupujè'" (e poi ce ne andremo a dormire). Povere
mogli.
Spesso succedevano anche fatterelli buffi.
Si racconta che un giorno si misero a fare l
a passatelle
al bar
de Felicille (di Emilio Del Villano) in Via
Roma, alcuni studenti e neo diplomati. Non essendo avvezzi a
bere birra si sfidarono a caffè. Tra di loro vi era anche
Sandrúccie (Alessandro Cilli), il ragioniere. Fatto sta
che il giovane
Sandrúccie, sebbene fosse ragioniere,
perse il conto, bevendone, nel volgere di un alcune ore,
una decina e più di caffè. Non si sentì un granché bene e se
ne tornò a casa. Rientrato a casa,
disse a
za
Giuliàtte (Zia Giulietta), sua madre: "
Ma'! 'Ntante
me sénte. Me vaje a màtte nu ccuàune a lu létte" (Mamma!
Non mi sento molto bene. Vado a mettermi un po' a letto). Non
trascorsero dieci minuti che si vide arrivare in camera
Za'
Giuliàtte, che con un vassoio in mano, gli disse: "
Sandrú'!
T'aje purtate 'na tazzetélle de cafè" (Sandro ti ho
portato una tazzina di caffè). Amore di madre.
Via Roma. In fondo, a destra,
si scorge lu bar de Felicille (il bar di Emilio
Del Villano)
Sempre al bar
de Felicille successe un altro simpatico
fatterello, fonte di ispirazione di questo racconto.
Un pomeriggio di una domenica, un gruppo di amici, iniziò a
giocare a tressette, con relativa passatella.
Fra di loro vi era
Rocche Fusélle (Rocco Fusilli), che
di mestiere faceva il muratore. Era una bravissima persona,
pacifica, sempre con il sorriso sulla bocca. Al povero Rocco,
come si suol dire, i suoi amici quel pomeriggio lo misero a
giro: praticamente perse tutte le partite e quindi, oltre a
pagare la birra, andò sempre "olmo". Nessuno gli offrì da
bere.
E così, dopo parecchie partite, senza bere un solo goccio di
birra, ad un certo momento Rocco si alzò dalla sedia ed
abbandonando il tavolo di gioco, così se ne uscì: "
Ue'! Si
che ve deche jè! Se ve vulàte mbriaca' 'mbriacateve nghe le
solde a vustre" (Sapete cosa vi dico io, se volete
ubriacarvi, ubriacatevi con i soldi vostri). E se ne tornò a
casa.
Morale della favola.
Pensando alle prossime elezioni comunali, che come dicevo si
svolgeranno il 12 Giugno 2022, nel chiedere venia ai
candidati, che giustamente, in queste giornate di campagna
elettorale, sono alla continua ricerca di visibilità
riempiendo i social e le memorie degli smartphone con i loro
"santini" propagandistici , mi è tornata in mente, per
similitudine, la storiella di
Rocche Fusèlle, e
la sua ultima affermazione: "
Ue'! Si che ve deche jè! Se ve
vulàte mbriaca' 'mbriacateve ecc.ecc.ecc.".
"Ma nghe la cóccia ma' che ciája fa a palle?" (Ma con
la mia testa devo giocarci a pallone?)
, mi disse una
volta mia suocera, Lina Cervone, che aveva un caratterino
tutto pepe, riferendosi a candidati che le chiedevano il
voto.
Naturalmente, chi mi conosce, sa che questa è solo una mia
ironica provocazione. Funziona ovunque così da sempre, in ogni
latitudine del pianeta, dove per fortuna è consentito votare.
Un grazie ed in bocca al lupo a tutti i candidati per
l'impegno profuso. Voterei volentieri a tutti, ma purtroppo mi
è consentito un solo voto.
Una sola raccomandazione per ciò che può valere: non restate
delusi se alla fine va male. Non abbiate rancori. Purtroppo ne
rientreranno solo in sedici e gli altri resteranno
democraticamente "olmo".
La vita è bella uguale. Anzi più bella osservando il teatrino
della vita dalla giusta angolazione.
Le elezioni e le amministrazioni, in fondo, con le dovute
eccezioni, per certi versi somigliano alla passatella: c'è chi
dà le carte, chi fa il padrone, chi fa il sotto, chi beve, chi
si ubriaca... di protagonismo, chi litiga e chi purtroppo va
"olmo".
Vinca il migliore, che poi non è sempre colui o colei che
ottiene più voti.