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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti di Fernando Sparvieri



Un po' di storia locale raccontando personaggi










Se ve vulàte 'mbriaca'...
(Se volete ubriacarvi)

di Fernando Sparvieri

Da sinistra il barista Silvio Ialacci, titolare del Bar Roma in C.so Garibaldi. Al centro Rolando Ialacci, sansalvese emigrato a Rosario (Argentina); a destra Antonio Pracilio, cognato di Silvio.


In queste giornate primaverili che precedono le elezioni amministrative del 12 Giugno 2022, nell'augurare in bocca al lupo a tutti i candidati, che come non mai sono impegnati sui social ed in ogni dove alla ricerca di consensi elettorali, per una di quelle strane ed improvvise similitudini che fa il cervello umano, mi è tornata in mente una storiella legata a la passatelle, svago preferito dai maschi sansalvesi quand'ero ragazzino.

Cos'era la passatélle?

Gli anziani del paese sicuramente la ricorderanno. I più giovani, invece, dubito che sappiano tutti di cosa si tratti, anche se ho saputo che per molti ragazzi, sopratutto nei piccoli centri, è un passatempo ancora attuale.

La passatélle, che ha origini risalenti all'antica Roma, da quel che ricordo io, si svolgeva in tutti i bar e cantine dell'allor piccolo paese ed era il momento clou successivo ad un gioco con le carte napoletane, in cui, quattro giocatori, seduti intorno ad un tavolino, dopo una partita a tressette, a scopa o ad un altro gioco, giocandosi una bottiglia di birra o altra bevanda, davano vita a la legge (alla legge), altro nome de la passatélle, che consisteva, ridando una mano di carte, estesa a volte anche ad altri avventori presenti che vi partecipavano, nello stabilire chi fossero lu patràune (il padrone) e lu sàtte (il sottoposto). Lu patràune, in parole povere, era colui che aveva ottenuto il punteggio più alto in base a delle regole di gioco prestabilite e quindi aveva la facoltà di comandare sulla bottiglia di birra e scegliere, a suo piacimento, a chi offrirne un bicchiere. Per farlo, però, doveva avere il consenso de lu sàtte, che aveva ottenuto il secondo punteggio più alto, senza l'autorizzazione del quale non poteva dare da bere a nessuno.

Per questo motivo la cosa più logica era che il padrone facesse lu passe, cioè si ingraziasse da subito in qualche modo il "sotto" offrendogli il primo bicchiere di birra, per poi sperare di avere il suo consenso per offrirne altri a chi voleva lui, ma ciò non sempre avveniva per ripicche e controripicche tra di loro, spesso derivanti da vecchie ruggini. Accadeva spesso, quindi, che tra sfottò reciproci tra i due, il padrone, per sua decisione o costrizione, alla fine decidesse o fosse costretto a scolarsi da solo l'intera bottiglia, mettendo a serio rischio la sua sobrietà. Faceva parte del gioco, inoltre, che qualcuno venisse preso di mira e jave ilmue (andava olmo, in forma italianizzata), che significava lasciarlo per l'intera durata del gioco a secco, cioè senza fargli bere un solo goccio di birra. Insomma a volte era una specie di guerra di logoramento di nervi tra le parti e non si capiva bene se a comandare fosse veramente il padrone o il sotto.

Era un divertimento vederli giocare nei bar, prima che molti baristi abolissero il gioco delle carte. A pagare le birre era chi perdeva. Le partite, sopratutto nei pomeriggi invernali, dentro bar con i vetri appannati dal fiato e pieni di fumo di sigarette, si protraevano ore ed ore, sino all'ora di cena ed anche oltre.

Il risultato erano certe panze (pancie) prominenti, che dopo anni di "imbirramento", diventavano simili a botti e botticelle, a seconda della costituzione fisica dei bevitori, che mettevano a dura prova i bottoni della camicia nella zona del ventre.

"Seee! Purte n'andre!"
(Silvio porta un'altra bottiglia di birra), gridavano al termine di ogni partita a Silvio Ialacci, il barista che aveva il suo bar Roma in C.so Garibaldi, con il bancone in una camera ed i tavolini, il bigliardo ed il biliardino in un'altra adiacente, dove si giocava a carte.

I baristi, per non perdere il conto delle decine di bottiglie di birra scolate, ponevano accanto ai tavolini dei giocatori una cassa di birra vuota, che spesso e volentieri si riempiva dopo qualche ora, costringendoli ad accatastarne altre, una sopra l'altra. Era inevitabile che qualcuno prima o poi se 'nciucianásse (si ubriacasse). Allora, con i fumi dell'alcool nel cervello, cominciava uno spettacolo nello spettacolo, in cui davano vita ad interminabili e chiassose discussioni, che sfociavano, non di rado, in memorabili liti e talvolta in risse.

"Uaglio'!!!" (Ragazzi!!!), si sentiva gridare Sélve (Silvio) ad alta voce, da dietro il bancone, quando si accorgeva che nella camera accanto, stavano iniziando discussioni fuori dalle righe.

La passatélle era un'ottima fonte di guadagno per i baristi. L'orario di chiusura dei bar era a mezzanotte ed era frequente che qualche barista fosse costretto quasi a cacciarli a notte inoltrata. Ma chi giocava non lo capiva. "N'andre gére" (Un altro giro), gli rispondevano "e doppe jame a cupujè'" (e poi ce ne andremo a dormire). Povere mogli.

Spesso succedevano anche fatterelli buffi.

Si racconta che un giorno si misero a fare la passatelle al bar de Felicille (di Emilio Del Villano) in Via Roma, alcuni studenti e neo diplomati. Non essendo avvezzi a bere birra si sfidarono a caffè. Tra di loro vi era anche Sandrúccie (Alessandro Cilli), il ragioniere. Fatto sta che il giovane Sandrúccie, sebbene fosse ragioniere, perse il conto, bevendone, nel volgere di un alcune ore, una decina e più di caffè. Non si sentì un granché bene e se ne tornò a casa. Rientrato a casa, disse a za Giuliàtte (Zia Giulietta), sua madre: "Ma'! 'Ntante me sénte. Me vaje a màtte nu ccuàune a lu létte" (Mamma! Non mi sento molto bene. Vado a mettermi un po' a letto). Non trascorsero dieci minuti che si vide arrivare in camera Za' Giuliàtte, che con un vassoio in mano, gli disse: "Sandrú'! T'aje purtate 'na tazzetélle de cafè" (Sandro ti ho portato una tazzina di caffè). Amore di madre.

Via Roma. In fondo, a destra, si scorge lu bar de Felicille (il bar di Emilio Del Villano)


Sempre al bar de Felicille successe un altro simpatico fatterello, fonte di ispirazione di questo racconto.

Un pomeriggio di una domenica, un gruppo di amici, iniziò a giocare a tressette, con relativa passatella.

Fra di loro vi era Rocche Fusélle (Rocco Fusilli), che di mestiere faceva il muratore. Era una bravissima persona, pacifica, sempre con il sorriso sulla bocca. Al povero Rocco, come si suol dire, i suoi amici quel pomeriggio lo misero a giro: praticamente perse tutte le partite e quindi, oltre a pagare la birra, andò sempre "olmo". Nessuno gli offrì da bere.

E così, dopo parecchie partite, senza bere un solo goccio di birra, ad un certo momento Rocco si alzò dalla sedia ed abbandonando il tavolo di gioco, così se ne uscì: "Ue'! Si che ve deche jè! Se ve vulàte mbriaca' 'mbriacateve nghe le solde a vustre" (Sapete cosa vi dico io, se volete ubriacarvi, ubriacatevi con i soldi vostri). E se ne tornò a casa.

Morale della favola.

Pensando alle prossime elezioni comunali, che come dicevo si svolgeranno il 12 Giugno 2022, nel chiedere venia ai candidati, che giustamente, in queste giornate di campagna elettorale, sono alla continua ricerca di visibilità riempiendo i social e le memorie degli smartphone con i loro "santini" propagandistici , mi è tornata in mente, per similitudine, la storiella di Rocche Fusèlle, e la sua ultima affermazione: "Ue'! Si che ve deche jè! Se ve vulàte mbriaca' 'mbriacateve ecc.ecc.ecc.".

"Ma nghe la cóccia ma' che ciája fa a palle?" (Ma con la mia testa devo giocarci a pallone?) , mi disse una volta mia suocera, Lina Cervone, che aveva un caratterino tutto pepe, riferendosi a  candidati che le chiedevano il voto.

Naturalmente, chi mi conosce, sa che questa è solo una mia ironica provocazione. Funziona ovunque così da sempre, in ogni latitudine del pianeta, dove per fortuna è consentito votare. Un grazie ed in bocca al lupo a tutti i candidati per l'impegno profuso. Voterei volentieri a tutti, ma purtroppo mi è consentito un solo voto.

Una sola raccomandazione per ciò che può valere: non restate delusi se alla fine va male. Non abbiate rancori. Purtroppo ne rientreranno solo in sedici e gli altri resteranno democraticamente "olmo".

La vita è bella uguale. Anzi più bella osservando il teatrino della vita dalla giusta angolazione.

Le elezioni e le amministrazioni, in fondo, con le dovute eccezioni, per certi versi somigliano alla passatella: c'è chi dà le carte, chi fa il padrone, chi fa il sotto, chi beve, chi si ubriaca... di protagonismo, chi litiga e chi purtroppo va "olmo".

Vinca il migliore, che poi non è sempre colui o colei che ottiene più voti.


11 Maggio 2022


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La passatélle
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