www.sansalvoantica.it


Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti di Fernando Sparvieri



Un po' di storia locale raccontando personaggi










La mìule de cumpuà' Pasquale
(Il mulo di compà Pasquale)
di Fernando Sparvieri






L'eterno bambino
(Quando andavo a scuola io)



Era il 1961 e frequentavo la 3ª elementare, quando dai minuscoli altoparlanti dei primi giradischi a 45 giri, si iniziarono ad udire, per le vie cittadine, le note di una canzone che aveva per titolo: Zi' Nicola.

Il suo autore era Cesare De Cesaris, uno straordinario fisarmonicista che veniva a suonare sulla cassarmonica alle feste de Sanda Necole e de Sande Véte e Sant'Andónie, che duravano una sola giornata. A cantarla invece era Antonio Basunno, un cantante abruzzese, anche se nella fantasia di tutti la cantava lui, il re della fisarmonica: Cesare De Cesaris.

Divenne un tormentone. Io che suonavo la mia fisarmonichina, cercai di impararla. Ma ere deffecele.

Suonava, nel testo così:

"E' quant'è bbelle a j 'ncampágne, quand'è de tempe de vennégne, ca la ddore de gramégne e lu ciuccie arrajà'. E pe' cantà' ci vuléve Zi Nicole, oh, oh, oh, lu ciucciarielle garbate è belle, nu 'nze stanghe de truttà".

Nel disco, invece, suonava così:

Video
Zi' Nicola"
Video


Anch'io ci andavo in campagna quand'ero bambino. Mi ci portava mio nonno Bastijane (Sebastiano Napolitano), il papà di mamma, che era contadino. Si faceva prestare la mìule (il mulo), dal suo consuocero cumpà Pasquale (compare Pasquale), perchè a lui, j z'avè' morte la juménde (gli si era morta la giumenta), l'attaccava a lu trajéne (al suo carretto), che non si era morto e gli era rimasto murtelezzáte (inutilizzato), e partivamo. Veniva con noi anche mia nonna Maria, che z'arrangáve (saliva sul carretto), si sedeva a fianco a mio nonno e gli diceva: "Bastijà' va chiane" (Sebastiano vai piano).

Nonno Sebastiano e compà' Pasquale Checchia, consuoceri. Zio Mimì Napolitano aveva sposato zia Gilda, la figlia di compà Pasquale. Le famiglie erano già compari prima del matrimonio. Zio Mimì aveva cresimato Sebastiano Checchia e quindi in famiglia continuavano a chiamarsi compari.


Lo sapeva davvero guidare il mulo mio nonno Sebastiano, il mulo di compà' Pasquale.

"Aaahhhh", gli diceva, quando doveva partire. "Tócche! Tócche!", invece quando lo doveva far lanciare e "Jiiii", quando si doveva 'mbujè, cioè fermare.

Se qualche difettuccio nella guida gli dovevo proprio trovare (non dico un capello nell'uovo perchè sotto al cappello c'era la calvizie totale), era che non si fermava mai allo stop, anche se arrivava un camion sulla nazionale; non dava la precedenza a destra, manco se gli sparavano (era comunista), e andava qualche volta contromano, non proprio come compà' Pasquale, che ci andava sempre, ma non nel senso equivoco della parola, ma solo perché non rispettava proprio alla lettera, il codice della strada.

Con un po' di scuola guida, imparai a guidarlo anch'io quel mulo ed alla sera, quando tornavamo dalla campagna, mio nonno staccave lu trajéne (staccava il mulo dal carretto), e mi diceva: "Mo arpurte ti la mìule a cumpà Pasquale" (Adesso riporta tu il mulo a compare Pasquale).

Era un grosso divertimento per me guidare quel mulo. Una sera provai a farlo sgommare. Eravamo nel rettilineo di Via Savoia, dove abitava compà' Pasquale, e gli dissi: " Tócche! Tócche", ma lui, il mulo, con la capa toste (con la testa dura), un po' come compà Pasquale (gli animali somigliano nel carattere ai padroni), fece orecchie da marciante e non mi volle ascoltare.

Riprovai: " Tócche! Tócche!", gli dissi di nuovo, ma niente da fare.

E siccome avè' 'ncucciáte (si era intestardito), gli mollai due colpi a le fiangàtte (ai fianchi) nghe le calechégne (con le calcagna). Partì come un razzo, volava. E che te ne vuoi fare del cavallo della pubblicità della benzina API, (con API si vola), volava più di un mulo alato. Ribot, il cavallo da corsa tra i più forti del mondo, con lui avrebbe fatto la figura di un asino ammaláte.

A voglia a dirgli "Jiiii!!!", per farlo frenare.

Si erano rotti i freni. Sgommò dapprima alla curva a sinistra del vicolo che da Via Savoia immetteva nella discesa della stalla di compà' Pasquale e poi a quella a destra, prima di arrivare. Poi si infilò a folle velocità nella porta della stalla, che era aperta, facendomi fare appena in tempo ad abbassare la testa, prima che si squaquaracchiásse (sfragellasse) contro la volta ad arco dell'ingresso, sempre della porta della stalla di compà' Pasquale, e una volta entrati dentro, fece una piroetta: si fermò dinanzi alla magnatàure (alla mangiatoia) ed iniziò a mangiare il fieno, che glie lo aveva lasciato lì, sempre compà Pasquale, che secondo me non era in casa e forse ave' juta a fa' 'na 'mmasciate.

Che mulo e figlio di mulo, era quel mulo di compà Pasquale.

Nella foto l'Arco della Terra e sullo sfondo il muro dell'antico ufficio postale.


Fu l'ultima volta quella sera che vidi quel mulo. Compà' Pasquale si comprò una bella laparella (un tre ruote Ape Piaggo), 48 di cilindrata, color arancione ed il suo mulo sparì per sempre dalla circolazione.

Povero nonno Sebastiano, ci rimase davvero male. E siccome in campagna pur ci doveva andare, una sera chiese a mio mio padre Evaristo: "Evarì'! E' deffecele a purtà 'na laparélle?".

Non so perchè lo chiese a mio padre e non direttamente a compà' Pasquale.

Mio padre, che non l'aveva mai guidata 'na laparelle, se lo provò ad immaginare.

"Si guiderà come la Vespa di Aldo Aldo Germani?", pensò.

E per far vedere a mio nonno che lui con le moto ci sapeva fare, si mise a raccontare di quando il maestro Germani, suo collega, gli aveva prestato la sua Vespa perchè lui doveva andare a fare una supplenza a Cupello. "A nu rettilinee", disse a mio nonno che lo stava ad ascoltare, "mentre arpassave nu camie e remorchie, ha spundate da 'rrétte a na curve 'na pustale. So' vuta passa' mmezze a l'autotrene e la pustale e me l'aje affrangáte pe' Créste e Dómmene nostre", concluse tra il vanto e la paura.

E poi cominciò la spiegazione.

"E' facile guidare 'na laparellle. La laparella", gli disse,"ha tre marce: la prima la seconda e la terza. Poi c'è folle". Poi, per far capire a mio nonno come si mettevano le marce, si mise a simulare con le mani il manubrio della Vespa del maestro Germani. "Nga', sta' la freziàune", e simulò con la mano sinistra come si tirava la leva della frizione. "A staddre quarte ti' l'accelleratàure ". E gli fece vedere con la mano destra, come doveva girare il polso per accellerare.

"Tu, dopo aver messo in moto", gli disse, ricominciando a parlare in italiano, "senza accellerare, premi la leva della frizione e tac... andando su, da folle, metti la prima ed accelleri; poi riabbassi l'accelleratore, premi la frizione, ripassi per folle e tac... metti la seconda. Poi", continuò ancora, " riabbassi l'accelleratore, ritiri la frizione, e dalla seconda...tac... metti la terza".

"Scié Evari'! Ti però a ma m'ha da 'nzegnà addo sta lu frene" (Sì Evaristo, pero tu mi devi dire dove sta il freno), gli chiese mio nonno.

E mio padre gli insegnò dov'era il freno.

Poi ricominciò la spiegazione:"Allaure me si' capìute?" (Allora mi sono spiegato?), gli chiese. "E' facile", e ricominciò: "Tu", gli spiegò di nuovo a mio nonno, "senza accellerare, premi la frizione e tac... metti la prima ed accelleri; poi riabbassi..."

"Sciè", lo interruppe di nuovo mio nonno:"Però tu, Evari', a mà m'ha da 'nzegnà addò sta lu frene".

Mio nonno Sebastiano, non riuscì mai a capire dove fosse il freno, o forse mio padre non glie lo seppe spiegare, e non si comprò mai la laparélla.

Intanto compà Pasquale, faceva il diavolo a tre ruote, con quella sua laparélla. Ti passava a fianco come il vento. Non rispettava né stop, né precedenze, insomma la guidava come la sapeva guidare solo lui, alla compà' Pasquale, continuando come sempre ad andare ancora contromano. Tanto che faceva! Mica faceva qualcosa di male!.

La sera, tornando dalla sua campagna, risaliva piano piano, con la 1ª, la salita della vecchia fontana. Il motore sotto sforzo si sentiva fino a Montalfano, ma appena imboccava Via Savoia, ripartiva a tutto gas, come se stesse per decollare un aeroplano.

Giunto alla stradina che conduceva alla sua stalla, svoltava alle ultime due curve su due ruote, poi frenava solo con il freno davanti, facendo impuntare la laparella con il culo in aria, prima che ricadesse a terra su tutte e tre le ruote.

Finalmente compà Pasquale, dopo una giornata di duro lavoro nei campi, era arrivato alla sua ex stalla. Il mulo non c'era più.

I tempi stavano mutando. Era iniziata l'era moderna, della motorizzazione. Le laparélle ed i motocoltivatori stavano cacciando gli asini, i muli ed i cavalli dalle stalle.

Però che mulo e figlio di mulo, era quel mulo di compà Pasquale.

La stradina che da via Savoia conduceva in discesa alla stalla di compà Pasquale.



16/10/2022





I racconti di Fernando Sparvieri

Indice

Gente, usi e costumi del mio paese



Un libro sul web

MA CHI SAREBBERO
LI SALVANESE

di Fernando Sparvieri

Indice

I forestieri a San Salvo



I racconti del mare

I pionieri del mare ed altro


di Fernando Sparvieri
Indice

Emilie de Felicìlle
(Emilio Del Villano)















|
Sito culturale paesano storico dialettale
www.sansalvoantica.it