CORALE
50&Più
(Il coro di Balduzzi)
(Fatterelli)
di Fernando Sparvieri
Il Cav. Leone Balduzzi a
sinistra. A destra Fiorentino Fabrizi, con i suoi primi
allievi della Banda Città di San Salvo. Dietro di lui
Giuseppe Di Stefano (Peppino la guardia), che fu tra i
fondatori e prezioso collaboratore, suonando i primi tempi
gli strumenti a percussione. .
Come ho gia avuto modo di scrivere, Leone Balduzzi, era un
personaggio unico, fenomenale. Riusciva a cogliere momenti che
altri non coglievano. Si dice che la fortuna aiuti gli audaci
e lui lo era. Ciò che pensava lo realizzava, anche se sembrava
impresa impossibile, come avvenne ad esempio per la
pubblicazione dei suoi libri e canzoni. Sotto molti aspetti
era un mecenate.
Fu così anche quando spronò Fabrizio Fiorentino, ottimo
musicista e suonatore di strumenti a fiato (aveva suonato a
Roma nella Banda dell'Esercito), che era venuto a lavorare in
un'industria a San Salvo, a fondare la Banda Città di San
Salvo. Gli mise a disposizione una sua casa nella adiacente
piazzetta di Piazza San Vitale, dove c'è il vecchio palazzo
scolastico, oggi adibito ad uffici comunali, e la banda suonò.
Fiorentino lo nominò Presidente.
Stessa cosa quandò fondò il Circolo Commercianti ed Artigiani,
con sede in 1° Vico Piazza. Egli, già "Aquila di Platino" al
commercio, che da poco aveva ricevuto il titolo onorifico di
Cavaliere Gran Ufficiale, mise a disposizione i locali di
un'altra sua casa, che aveva da poco comprata, ed il circolo
si fece. Presidente Cav. Gr.Uff. Leone Balduzzi.
Suonatore di mandolino e violino (era rimasto da giovanissimo
affascinato da quel portento di violinista che era Antonio Di
Falco, suo vicino di casa, e dal suo amico Antonino Sparvieri,
eccellente mandolinista e violinista), si mise in testa di
fare un coro di anziani e cì riuscì. Presidente, ancora lui:
Cav. Gr.Uff. Leone Balduzzi.
Insomma Balduzzi qualsiasi cosa pensasse riusciva a
realizzarla. Lo faceva per passione e naturalmente ne assumeva
anche la carica di presidente, essendo necessario negli
statuti indicare chi ne fosse il responsabile e referente
massimo.
Solo nel comitato feste di San Vitale '80, quella che venne la
banda dei carabinieri, fu vicepresidente. Gli soffiò il titolo
all'ultimo istante l'On. Vitale Artese, Presidente onorario
con Virgilio Cilli Presidente operante, cariche più politiche
che artistiche.
Ed a proposito di questo suo coro degli anziani, un giornò mi
chiamò. Aveva bisogno di un maestro che lo dirigesse. Lui, che
i primi tempi, dopo esserne stato il fondatore, ne era stato
anche il maestro, passò la bacchetta della direzione musicale
alla ins. Gabriella Iecco, ortonese, maestra elementare,
moglie e collega dell' ins. Alfredo Bucciantonio, grande
esperta di musica folcloristica abruzzese, la quale qualche
anno dopo, impossibilitata a proseguire in questo compito,
abbandonò.
Video
Il coro di Balduzzi
(Video di Umberto Di Biase)
Video
E a chi voleva mollarla Balduzzi quella bacchetta? Proprio a
me.
Io, che gli volevo un gran bene, essendo per me una specie di
secondo padre, in quanto egli era stato da sempre un amico
fraterno del mio papà Evaristo Sparvieri, avevo tutt’altri
interessi musicali in quel periodo e declinai più volte
l’invito. Ma non vi fu nulla da fare. Balduzzi tanto disse e
tanto fece che mi calò
la vrache, cioè riuscì a
convincermi ad accettare.
La bella U
Fu in fondo una bella esperienza dirigere quel coro, che mi
arricchì sia dal punto umano che musicale, anche se non ero un
professionista.
Feci un buon lavoro. Al mio arrivo cantavano massimo a due
voci: melodia e qualche controcanto. Dopo un po' di tempo i
coristi, quasi tutti anziani, iniziarono a cantare a quattro
voci e qualche volta anche a cinque, a sei e sette, sopratutto
quando qualche vecchietto, che non ci sentiva molto bene, se
ne andava per i fatti suoi, cantando una canzone per un'altra.
Scherzi a parte, li avevo selezionati e suddivisi in gruppetti
quegli anziani, secondo l’estensione ed il timbro delle loro
voci. Le nonne facevano, per modo di dire, i soprani, mezzo
soprani e contralti, mentre i nonni i tenori, baritoni e
bassi, creando un coro polifonico.
Un esempio?
Vitale Baldassarre, ex commerciante d'abbigliamento, padre del
medico di base Guerino, faceva il tenore, alla Claudio Villa
per intenderci. Poi c’era Fernando Malatesta, il professore in
pensione, che faceva il baritono; Cenzino Sorella, da
Guglionesi, baritono anch'egli anche se era un basso naturale,
di statura. Altro tenore era Pasquale Scarinci, tenore, che
cantava da solista
"Buonanotte a lu citele me" del
maestro Aniello Polsi di Vasto, commuovendosi sino alle
lacrime perchè gli ritornava in mente il nonno morto. Sua
moglie Concetta, poverina, non ce la faceva a consolarlo da
sola e mi toccava chiamare in suo aiuto tutto il coro per
coprire i suoi singhiozzi. Mi dava una grossa mano, dal punto
di vista organizzativo, Edoardo Maccarone, baritono segretario
factotum, molto religioso, che si inventò una catena
telefonica di Sant’Antonio, che ogni tanto si inceppava, per
avvisare tutti di quando c’erano le prove.
Cirtarli tutti i componenti di quel coro è impossibile.
E'
lónghe la canzàune (E' lunga la canzone), restando nel
campo musicale, si direbbe a San Salvo. Per
par condicio
dico solo il nome di qualche signora: c'era la moglie di
Ettorino Torricella, la signora Lidia Bucci, che faceva il
soprano, mentre il marito, che cantava con i maschi, era
tenore; soprani erano anche Emma Spenza e la sua amica sig.ra
Patrizia, vastese, maritata D'Aulerio, la più giovane del
coro. Soprano era anche Rosetta D'acciaro, giovanissima
anch'ella, seppure già nonna, che però veniva una volta sì e
cinque no, perchè doveva andare ad aprire il suo negozio di
abiti per nipotini. L'unica bambina del coro, per modo di
dire, era nonna Bambina Di Lallo, che insieme all'altra nonna
Concetta, Presidente del Centro Anziani, dava un ulteriore
tocco finale di senilità femminile al coro. C'era poi
Giuvine
la bidella (Giovina D'Ercole), Lidia Fabrizio,
la
màje di Angiùline Biascille (moglie di Angelo Di
Biase). A chiudere l'opera, musicale, s'intende, c'erano poi
due arzille coppie di antichi sposini, di cui non ricordo
esattamente i nomi ma solo i cognomi: Monacelli e Bevilacqua.
Nonostante la veneranda età (stavano per festeggiare il
centenario della nascita) erano molto affiatati, come coniugi,
un po' sfiatati, naturalmente, con le voci.
In complesso, però cantavano bene, i miei nonnini, anche se
qualcuno della vecchia guardia, ogni tanto, purtroppo, ci
salutava e
m'attuccáve a jè a lu morte (al suo
funerale):
c'est la vie, dicono i francesi.
Certo li avrei voluti un po' più briosi nel ritmo e più decisi
negli attacchi e finali quei miei cantori, ma quello era ciò
che mi passava l'ospizio, cioè il Centro Anziani di Via Toti,
e più di quello non ci uscì.
Le prove infatti le facevamo lì, al Centro Anziani, che anni
dopo verrà intestato alla memoria di mio padre Evaristo
Sparvieri e non a me, come mi sarei giustamente aspettato. A
dirigere il centro c'era la bellissima Giuliana Trivilini, che
fungeva anche da presentatrice del coro, quando c'erano le
pubbliche esibizioni.
All'inizio fu un po' duretta. Tutti strillavano per far vedere
al nuovo maestro che ci sapevano fare. "Ragazzi", dissi loro,
"qui mica siamo a Sanremo in cui strillano tutti, maschi e
femmine, per far vedere che hanno voce da vendere. Qui
cantiamo in un coro ed il fiato risparmiatevelo per quando
litigherete con i rispettivi figli, generi e nuore a casa. Qui
dovete fare una bella U".
"Una bella U?", pensarono. "Io già la so fare".
E via tutti a correre in ufficio direzione a prendere un
foglio di carta alla fotocopiatrice ed a turno, a farmi vedere
come si scriveva una bella U, chi in corsivo e chi addirittura
in stampatello, perchè lo avevano imparato quand'erano
giovani, alla scuola serale.
Uno di loro, addirittura, per farmi vedere che lui era più
istruito degli altri, cambiò vocale e mi disse: "Signor
maestro, lo vuoi sapere come si legge una bella o".
"E come si legge una bella o", gli chiesi.
"I", mi rispose soddisfatto. Bravo!!!
Altro che bravi. Mi fecero passare i guai di Cristo quegli
anziani per far capire loro cosa intendessi io per una bella
U. Ed incominciai a spiegare. "Dovete cantare a bassa voce e
scurire le voci. Per farlo, quando pronunciate le vocali
dovete tendere a scurire la voce con una bella U un po'
tombale". Si spaventarono tutti a morte e dovetti ricominciare
a spiegare.
"Tranquilli! Non abbiate paura. Non sono venuto qui per farvi
del male", ed aggiunsi: "Non si muore di U, mai in nessun
caso: né al Centro Anziani, né in casa e né in Ospedale". E
conclusi: " E mi raccomando di non strillare. Vi dirò io
quando alzare il volume, ma senza strafare, sempre però con la
U in bocca".
E via tutti, tranquillizzati, a provare questa benedetta U
tombale. Per abituarli feci cantare loro
"Tutte le
fundanélle se so' sèccate", con una parte musicale,
senza parole, ma con la melodia a bocca chiusa, solo con la
vocale U". Ma niente da fare: invece delle fontanelle si seccò
a me la gola. Alla canzone appresso tutti a strillare,
ignorando me e quella U tombale".
Ma le mie disavventure di maestro del coro non finirono qui.
Ogni tanto arrivava una new entry, o meglio una old entry. Una
sera mi arrivò un'arzilla vecchieta ultra ottantenne, tutta
bella con i capelli nerissimi appena tinturati. Per farmi
vedere che ci sapeva fare strillava che era una bruttezza.
Aveva una voce stridula, sembrava indemoniata. Cosa dovevo
fare? L'aggregai al coro altrimenti mi si sarebbe mangiata.
Solo quando entrò nel coro Vitale Baldassarre restai
sbalordito. Non lo conoscevo sotto l'aspetto canoro. Venne una
sera al Centro Anziani, mi chiamò in disparte e mi disse:
"Ferna', vorrei parlarti" e mi fece segno di seguirlo con la
mano. Mi portò nella palestra adiacente la sala prova e mi
cantò "Tu scendi dalle stelle", anche se eravamo a Pasqua. Che
meraviglia. Sembrava un usignolo, modulava la voce come pochi.
Gli dissi: "Vita'! Ma tu hai studiato musica?" "Si" mi
rispose. Tirò fuori dalla tasca uno spartito e me lo mostrò.
Aimehhh! Non c'era traccia di note musicali, ma segni
convenzionali. Sul testo, alla fine di ogni frase musicale ci
aveva aggiunto delle vocali, forse per modulare la voce. Ad
esempio: " Tu scendi dalle stelle e e e e , o re del cie e e
lo o o o o". E lì modulava.
Aveva studiato musica insieme a
Jseppe Rasannelle
(Giuseppe Argentieri), altro famoso modulatore tenore anziano,
che però non faceva parte del coro e preferiva esibirsi da
solista in pubblico,
a lu Munemende (al giardinetto
del Monumento ai Caduti) o seduto su una panchina in Via Roma
o alla villa comunale. Come talent scout non valevo molto e lo
scoprii con ritardo. Era un talento naturale e per fare il
solista al coro sarebbe stato l'ideale.
Di seguito un'intervista canora a Vitale e Giuseppe.
Video
Voci di "Casa nostra"
Video
L'ascesa e la discesa
Mai avrei immaginato che quell’esperienza di maestro del coro
di Balduzzi, mi avrebbe portato molto in alto e così lontano.
La prima volta Balduzzi mi portò Sant'Apollinare a 50 metri
(s.l.m.), così mi pare si scriva abbreviato "sul livello del
mare", la seconda a Vasto, a 138 metri (s.l.m.) , la terza a
Fossacesia, a 142 metri (s.l.m.), la quarta a Petacciato a 225
metri (s.l.m.), e la quinta a Dogliola a 450 metri (s.l.m.),
insomma sempre più in alto rispetto al livello del mare.
Poi ricominciò la discesa, naturalmente verso il livello del
mare.
Balduzzi mi portò a Montesilvano (5 metri s.l.m.).
Mica era fesso Balduzzi, era un abile menager:
artrúvuáve
sempre la ve’ (ritrovava sempre la strada giusta).
Aveva conosciuto, già prima che arrivassi io, pezzi grossi dei
"50Più", un'associazione italiana, unica nel mondo nel suo
genere, impegnata per lo sviluppo culturale, la rappresentanza
sindacale, e la valorizzazione degli over 50, ed aveva parlato
con il loro Presidente nazionale, dicendo che gli sarebbe
piaciuto, anzi sarebbe stato per lui un onore, far divenire il
suo coro quello rappresentativo in Italia dell'organizzazione.
E così fu.
Io di questo fatto non ne sapevo nulla e quindi non mi
ritrovai più a dirigere "Il coro di Balduzzi", come pensavo,
ma addirittura la "Corale 50&Più", un coro nazionale.
Sempre Balduzzi, per fare bella figura nei confronti dei
dirigenti dell'associazione, aveva fatto realizzare anche un
gonfalone bianco, tipo quello del Comune, con i bordi dorati e
con la scritta grande in mezzo: "Corale 50&Più", che
durante i concerti, ogni tanto
cascáve (cadeva),
perchè qualcuno
ci 'ntruppucáve nghe lu péte (ci
incespicava con il piede). Insomma un'organizzazione perfetta
quella di Balduzzi. Secondo me mancava solo lo sponsor:
"Loreal de Paris, tintura per capelli per signora", che poi
adoperavano non solo le signore.
Il mio debutto ufficiale dinanzi ai dirigenti e soci dei
50&Più avvenne all’Hotel dei Congressi di Montesilvano.
Andammo con la corriera. Fu un successone. Gli applausi si
sprecarono. Diventammo i loro beniamini.
Ma si sa la vita degli artisti è costituita da alti e bassi e
Balduzzi, con quel gonfalone con la scritta "Corale
50&Più", mi fece risalire in alto portandomi
nientepopodimenoché a 565 metri (s.l.m.): a San Giovanni
Rotondo, all'Ospizio Padre Pio.
Il viaggio venne rimborsato dai frati. Fu un successone.
Quelli dell'ospizio, nel vedere i nostri anziani, ci fecero
una gran festa. Dopo l'esibizione volevano che non andassimo
più via. Ci dissero che c’erano posti liberi in ospizio per
tutti i componenti del coro, anche per il maestro e
presidente. Molti volevano restare, ma Balduzzi, dietro mio
consiglio (avevo moglie e figli che mi aspettavano), riuscì a
riportarci tutti a casa, sani e salvi. Disse agli anziani di
salire tutti in corriera per andare a vedere la salma di Padre
Pio e una volta saliti, disse all’autista di chiudere le
porte, mettere le sicure, e tornare direttamente a San Salvo,
tra le proteste delle nonnine, che accortesi della fregatura,
iniziarono a piangere e cantare la canzone di Gianni Morandi,
rivolta a Padre Pio: "Ritornerò... in ginocchio da te".
La voce si sparse anche sulla "Voce di Padre Pio" che pubblicò
una mia foto segnaletica insieme al geriatra dell'ospizio, che
mi stringeva la mano, cercando di trattenermi. (Ce l'ho da
qualche parte un ritaglio del giornalino, ma non lo trovo).
Grazie a Balduzzi, la feci franca.
Ne parlarono anche i giornali.
Le copertine delle riviste
"50&Più" e della "Casa di Padre Pio"
Articolo pubblicato sulla
rivista "50&Più".
Articolo sulla rivista "Casa di
Padre Pio"
Finalmente, dopo un viaggio notturno, tornammo a San Salvo,
100 metri esatti (s.l.m.). Cantammo alla Chiesa di San Nicola.
Balduzzi era cattolicissimo (andava a leggere anche il Vangelo
in Chiesa a San Giuseppe). Parlò con il parroco Don Piero
Santoro ed organizzò un concerto di Natale. La chiesa era
quasi deserta. Stavamo noi, a cantare, San Nicola e Don Piero
ad ascoltare. Ci fecero un applauso finale. Don Piero venne a
congratularsi con me: gli era piaciuto un'interpretazione a 4
voci di Adeste Fidelis. Mi disse: "Una cosa molto arrangiata".
Non ho mai capito se si trattasse del mio arrangiamento
musicale o di una cosa che un granché non era.
Erano davvero molto religiosi e sopratutto degli artisti
ecclettici i miei cantanti. Il giorno appresso, alla vigilia
di Natale", andarono ad interpretare i ruoli di attori ed
attrici al "Presepe vivente" che si svolse a San Salvo.
Sulla destra la signora Antonia
Rosica, madre del prete Don Gianfranco Travaglini, al
presepe vivente.
La signora Patrizia, maritata
D'Aulerio a sin. insieme alla signora Concetta, moglie di
Pasquale Scarinci, il solista del canto "Ninna nanna a lu
citéle me" del maestro Aniello Polsi.
A sinistra Edoardo Maccarone
insieme al professore Fernando Malatesta, scarpari al
presepe vivente.
Un bel primo piano del prof.
Malatesta, retrocesso a scarpáre nel presepe vivente.
Ma qualcosa di strabiliante o allucinante, dipende dai punti
vista, stava per accadermi.
Il viaggo in pullman
Non passò tempo che l'Associazione "50&Più" invitò
Balduzzi ed il coro ad un altro loro convegno-villeggiatura in
Basilicata. Questa volta 0 metri (s.l.m.).
Séme jute a
sbatte (Andammo a sbattere lontano)
a Scanzano
Jonico, provincia di Matera, a 350 Km di distanza da San
Salvo. Erano lì in villeggiatura provenienti da tutta Italia,
in un villaggio resort sul mare, tutti i dirigenti nazionali
dei "50&Piu" ed i loro affiliati e volevano risentire il
nostro... o meglio il loro coro. Balduzzi annunciò durante una
prova al Centro Anziani, la lieta novella. Tutto spesato
naturalmente, avrebbe detto Don Ettore Cirese, l’esattore.
Evviva. Tutti a sbattere le mani.
Prendemmo la corriera e partimmo
albe e no albe (quasi
all'alba). Ero morto di sonno. Non avevo mai viaggiato con
loro a quell'ora presto di mattino e mi riaddormentai. Il
viaggio era lungo.
Non eravamo arrivati nemmeno alla SIV per andare a prendere
l'autostrada e mi addormentai.
E feci un brutto sogno. Sognai che ero morto di sonno e tutti
intorno a me mi dicevano le preghiere, anzi il rosario. Mi
svegliai di soprassalto per la paura. Ero vivo, ma il rosario
proseguiva.
"Ave o Maria, piena di grazie, il Signore è con te", diceva in
piedi, proprio accanto a me, la solista del rosario, la
signora Antonia Rosica, la mamma del prete Don Gianfranco
Travaglini, e tutti gli altri insieme, compresi Balduzzi,
Vitale Baldassarre e Ettorino Torricella, rispondevano in
coro:
"Sia benedetto il frutto ecc. ecc. ecc.". Pure
Fernando Malatesta, grande amico mio, diceva le preghiere e
voleva che le dicessi anch'io e mentre pregava mi lanciava
occhiatacce
. Non si spicciavano mai.
Ere nu
talurne (uno scocciamento ripetitivo)
Avrei in quei momenti voluto buttarmi giù dal pullman, come
fece
Tonine Marescialle (Gaetano Antonio Masciale)
quando si buttò dal treno nelle campagne di Apricena (FG), di
ritorno da Milano, dov'era andato a comprare la sua prima
macchina fotografica reflex professionale. Il treno non fermò
né alla stazione di Vasto, né in quella di Termoli e lui si
buttò dal treno, in un punto però che andava pianissimo, tenne
a precisarmi, perchè erano in corso lavori di manutenzione dei
binari, e tornò a San Salvo in autostop.
“Ma guarda un po’ dove son capitato io!”, pensavo dentro di
me, che all’epoca ero ancora giovane e non dicevo una
preghiera neanche se mi avessero pregato. Ciò che mi
preoccupava era che all'autista del pullman, a furia di
sentire quella specie
de talúrne, gli venisse un colpo
di sonno ed uscisse fuori strada, o meglio fuori autostrada e
morivamo tutti.
L'autista per fortuna resistette al colpo di sonno ed
arrivammo sani e salvi a Scanzano Jonico.
La scarpa di Vitale
La prima cosa che feci, appena sceso dal pullman, fu quello di
andarmi a prendere un bel caffè al bar, insieme al mio amico
Tonino Longhi, che non cantava nel coro e mi faceva da
aiutante.
Mentre stavamo sorseggiando il caffè, al banco di un elegante
chiosco-bar nei pressi di una splendida ed enorme piscina,
ecco mostrarsi dinanzi ai miei occhi una scena da sogno:
Vetale Baldassare
durméve (dormiva).
Vitale, che durante il viaggio si era probabilmente stancato a
dire le preghiere, si era sdraiato su un lettino da spiaggia a
bordo piscina e j
'avé' ngannáte lu sónne (gli era
venuto sonno). Era come al suo solito elegantissimo:
cappellino bianco in testa
che javé 'vanzate a la putéche
canda ave' chìuse (che era una rimanenza del suo
negozio di abbigliamento dopo la chiusura), una maglietta alla
penultima moda, pantaloni lunghi e calze bianche (probabili
altre rimanenze). Si era tolto solo le scarpe e le aveva
infilate sotto il telo del lettino.
Decisi di fargli uno scherzo. Mi avvivicinai pian pianino
vicino al lettino e gli fregai una scarpa. Poi me ne tornai al
bar, vicino a Tonino. Il cielo era un po' nuvoloso.
Ed ecco all’improvviso... tic...
‘na stézze (una
goccia di pioggia) cadere dal cielo. Poi un'altra... tic e poi
un'altra ancora. “
Mo chióve” (Sta per piovere), dissi a
Tonino. Vitale dormiva.
Com'era prevedibile, non passò un secondo, che tic... una
goccia
colpì Vitale ad un occhio. L'aprì. Subito dopo
aprì anche l’altro. "
Aecche mo' 'rréve’ nu scrúscie”
(Qui starà per arrivare un temporale), forse pensò. Con calma,
ancora sdraiato, allungò la mano destra al di sotto del telo
del lettino e muovendola a tentoni a destra e sinistra, dopo
un po' la trovò. L'afferrò e mettendosi seduto sul lettino se
l'allacciò. Poi, iniziò a cercare l'altra scarpa, ma ficca la
mano destra di qua e ficca quella sinistra di là, il suo
tentativo fu vano. "
Starrà a chest'addre quàrte" (Sarà
da quest'altro lato del lettino), sicuramente pensò. Allora si
riallungò sul lettino e allungò la mano sinistra al di sotto
del telo per cercarla, ma cerca di qua e cerca di là, anche
quest'altro tentativo andò a vuoto. A questo punto si alzò in
piedi e cominciò, guardando, a circumnavigare intorno al
lettino, ma
accíqquete 'ngà e
accíqquete 'ngàlle
(chinandosi di qua e di là): cucù, l'altra scarpa non c'era
più.
"
Muahh", esclamò incredulo. "
Pussébbele!!!" (E'
mai possibile!!!). E cosa che non avrei mai immaginato, si
risedette sul lettino e si tolse la scarpa che aveva messo al
piede.
“M’avessa cchiappà pe' mátte cacchedìune a écche, vedénneme
a jè camennénne pi écch'a fóre nghe ‘na
scarpe scié e íune nà” (Dovesse prendermi qualcuno per
pazzo, vedendomi camminare qui in giro con una scarpa sola),
sicuramente pensò.
Povero Vitale, arrivò scalzo, a ripararsi sotto alla pensilina
del bar, con una sola scarpa in mano e con le calze
bianche divenute un po' nere sotto la pianta dei piedi,
sporche di polvere appena bagnata dalle goccie di pioggia.
“Vetà'!”, gli dissi appena arrivò:
“Vi' Scázze!
Chiuvechelejàje” (Cammini scalzo, pioviggina).
“
Aje pérze 'na scárpe" (Ho perso una scarpa), mi disse
serio serio.
"L’avé’ pusáte a lóche, sàtte a lu luttíccie,
m’ha 'ngannate lu sonne. M’aja arváje e ‘na scarpe ngi stàve
chìj. Muahh”, (L'avevo lasciata lì sotto il lettino, mi
è venuto sonno. Al risveglio la scarpa non c'era più).
“Ahhh!”, gli risposi serio serio anch'io:
“Allàure
che la scarpe che purtave 'mmàcccue che lu cuáne ere lu to?”
(Allora quella scarpa che portava in bocca il cane era tua?).
“E ddo‘ è jute. E ddo‘ è jute?" (E dove è andato. Dove
è andato il cane?), mi chiese, guardandosi attorno per
cercarlo.
“E' jute dengàlle” (E' andato da quell'altra parte),
gli risposi indicandogli con il dito la parte opposta della
piscina.
Si scatenò un dolce acquazzone. Dopo che smise di piovere, io
e Tonino, facemmo in modo, che, Vitale ritrovasse la sua
scarpa, che il cane aveva lasciato per sua fortuna lì vicino.
La cena luculliana
ed i Sassi di Matera
Andammo a lasciare le valigie negli chalet. Intanto si era
fatto tardi ed era giunta l'ora di cena. Tutti a cenare in un
salone elegantissimo di 500 mq. Trovai lì già il pienone.
Avevano occupato i tavoli gli associati dei "50&Più",
provenienti da tutta Italia, e naturalmente anche tutti i miei
coristi, che erano già lì e brulicavano intorno a tavoloni di
buffet, più affamati di leccornie che di successo. C'era di
tutto. Fu una cena luculliana, holljwoodiana, spettacolare.
E
che te ne vu fua’ de ‘na spóse! (E che te ne fai di un
pranzo nuziale!).
Ere méje di ‘na spósa (Era meglio di
un pranzo matrimoniale)
. I coristi non gli fecero dire
manghe Gisì a quelle leccornie (non gli fecero dire
neppure Gesù, modo di dire dialettale per indicare che fecero
sparire tutto in fretta).
Che gráscie (Quanta
abbondanza). Con i piatti in mano facevano la spola dai tavoli
ai buffett, riempiendoli sino all'orlo, con ciò che
j jáve
e ne j j'áve (avrebbero mangiato e no).
Pare ca’
tenávene la ráje de Sande Véte 'ngúrpe (Sembrava che
avessero la rabbia di San Vito in corpo, modo di dire
dialettale quando una persona è affamata).
Mo ze magnávene
pure le cózzeche de Sande Lázzare (Non ci lasciarono
nulla, neppure le croste delle ferite di San Lazzaro).
Dopo la cena andammo a dormire negli chalet. La direzione
della struttura ricettiva aveva già assegnato i posti in
camere doppie con letti singoli. I maschi avrebbero dormito
con un compagno di stanza e le femmine con una compagna. In
letti singoli avrebbero dormito anche le coppie coniugate,
tanto data l'eta, non avrebbero avuto bisogno di letti
matrimoniale. Io dormii nella stessa camera con Tonino Longhi.
Fernando Malatesta, invece, il professore, capitò nella stessa
camera con Giovanni D'Aurizio, il fisarmonicista.
Il giorno seguente ci fu l'esibizione del coro in una sala
teatro, sempre dentro al villaggio. Le coriste, vestite tutte
uguali ed elegantissime, con il libro delle canzoni in mano,
si sentivano come tante Maria Callas, la grande soprana greca,
mentre i maschi, tutti in giacca, camicia bianca, cravatte
uguali e pantalone nero, si sentivano tutti dei Poveret...
pardon dei Pavarotti. Presentatrice Giuliana Trivilini, la
direttrice del Centro Anziani, bionda, che con la sua bravura
ed eleganza, era meglio di Milli Carlucci e dava un colpo di
classe e di briosa gioventù al coro.
Fu un'apoteosi. Riscuotemmo un successo strepitoso. Tutti ad
appaludirci. Io e Balduzzi dovemmo fare gli inchini. (Vi è un
video dell'esibizione che purtroppo non trovo).
Felici ed euforici i coristi andarono a dormire, anche perchè
all'indomani ci sarebbe stato un fuori programma: tutti a
vedere i Sassi di Matera, come se a San Salvo non ci fossero
le
préte (i sassi) o
le casarélle (le casette)
abbandonate come quella di
zi' Feléppe Nutarange (zio
Filippo Notarangelo) in C.da Savoia e non solo.
Matera, non era distante. Circa 60 Km.
La mattina seguente i coristi partirono di buonora, alle 6:00.
La sera prima dissi a Tonino Longhi, mio compagno di stanza,
che io non sarei andato. "Perchè", mi chiese . "Le preghiere",
gli risposi ricordando gli incubi nel viaggio di andata.
Tonino restò con me. Eravamo entrambi gran dormiglioni
(Tonino, addirittura più di me) ed al risveglio, a mattinata
inoltrata, ne approfittammo per andare con le gambe sotto al
livello del mare, che era lì a due passi.
Ed ecco all’imbrunire, le luci del pullman dei turisti coristi
illuminare il piazzale. Erano tornati puntuali: all'ora di
cena, naturalmente. Il primo a scendere dal pullman, ancora
con i fari ed il motore accesi, fu Balduzzi, che in qualità di
presidente del coro gli toccava di diritto il primo posto a
sedere, a fianco all'autista, vicino alla porta.
“
Ferna’”, sentii chiamarmi alle spalle, mentre
scendevano.
Mi girai. Era Fernando Malatesta, il professore in pensione,
tornato dai Sassi di Matera, letteralmente pietrificato.
Anzi. Stava incavolato nero.
“Fernà’”, iniziò a lamentarsi fuori di sé:
”Jè nghe
Giuvuanne lu fisarmoniciste, ‘nge dorme chije. (Fernando.
Io con Giovanni, il fisarmonicista, non ci dormirò più).
“E peccà?” (E perché), gli chiesi, anche se
conoscendolo, intuii subito dove volesse arrivare.
“Peccà?” (Perchè), mi rispose disperato:
“Quelle
russe!” (Giovanni russa!).
“Come russe!” (Come russa!), gli chiesi facendo il
finto tondo.
“Surnacchijaje, gna cazze te l’aja dece!!!”,
(Sornacchia, come cavolo te lo devo dire, si spiegò meglio.
“E mo che vu da mà?” (E io che posso farci), gli
risposi.
"Nà!"Nà! Jè nghe quélle 'ngi dórme chìj! Jnnotte
ne m'ha fatte chìude úcchie" (No, no, io con
Giovanni non ci dormiro più. Questa notte non mi ha fatto
chiudere occhio).
Nel frattempo era arrivato vicino a noi anche Giovanni, il
fisarmonicista, il suonatore. O meglio il sornacchiatore.
Z'avé' fatte nu pizzecàlle (Era diventato piccolo
piccolo per l'imbarazzo). Passandoci accanto, aveva origliato
che il tema di cui stavamo parlando riguardava le sue
serenate, o meglio le sue sornacchiate notturne. Poverino. Era
distrutto anch'egli. Probabilmente per tutto il giorno,
aveva dovuto sorbirsi, durante il viaggio e tra i sassi
di Matera, le pubbliche lamentele martellanti di Fernando
.
“Sci! Ma mo j che ce puzze fa'” (Sì ma io che posso
farci), disse, timido e riservato com'era, con tono di voce
compassionevole.
“Me le dice pure mójeme ca russe la
notte, ma j’ ne me n’accorge. Se me n’acurgesse ne russasse
chiù”. (Me lo dice anche mia moglie che russo. Io non
me ne accorgo. Se me ne accorgessi mica russerei!")
“Na, na” (No, no), continuò a lamentarsi con me
Fernando Malatesta, come se io, in qualità di maestro del
coro, avessi la bacchetta magica per dirigere anche il
concerto notturno di Giovanni, facendogli interpretare musica
da camera più confacente a conciliare il sonno e non
“Nessun dorma” di Puccini.
“Quesse russe gnè nu trumbàune” (Questo russa come un
trombone), rincarò la dose Fernando.
“Je’ nghe quesse
jnnotte ne me ci addorme. Mi so' messe piure le stìppule a
le ràcchie. Le so' fétte nghe la carte igieneche.
Nc'è sta niende da fa.
Arpassáve" (Io questa
notte nella stessa camera con Giovanni non ci vado a dormire.
Mi son messo anche i tappi nelle orecchie. Li ho fatti
arrotolando la carta igienica, ma non c'è stato nulla da fare.
Il suo russare penetrava lo stesso).
E poi si abbandonò allo sgomento totale.
"Gna cazze aja fa' jé jnótte" (Come dovrò fare io
questa notte io), disse quasi piangendo, congiungendo le mani
a mo di preghiera, all'altezza del petto, che sbattendo fra di
loro fecero
ppaccc.
Poi, continuando ad imprecare contro la malasorte, non
essendovi una soluzione, ebbe un'idea. Disse:
“Jé mo vaje
a la direzzione e j deche ca vuje cagnà' camere. Je la notte
haja durmè'!” (Adesso andrò in direzione e dirò che io
voglio cambiare stanza. Io la notte devo dormire altrimenti
sto male).
E si recò in direzione. Naturalmente lo accompagnammo anche io
e Tonino. Era uno dei nostri migliori amici e non potevamo
lasciarlo andare da solo.
Arrivammo alla hall del villaggio. C’era una bella signorina,
un impiegata, dietro ad uno sportello, ricavato da un buco di
una parete.
“Buonasera signorina”, le disse Fernando. Io vorrei cambiare
camera”.
“E perché?” gli chiese la signorina.
“Io questa notte non ho potuto chiudere occhio. Il mio amico,
che dorme con me nella stanza, russa. Ma mica russa un po’!
Non si riesce proprio a dormire”.
La signorina lo guardò
curiàuse (stupita) e gli disse:
“Ma lei fa parte del coro 50%Più?”
“Sì, sì", le rispose Fernando. “Faccio parte del coro”.
“Credo che non si possa cambiare” gli disse subito la
signorina. Ognuno di voi risulta assegnato ad uno chalet e non
credo che si possa fare”.
“Signorina”, le disse Fernando, disperato. “Capisco, però mi
trovi una soluzione. Il mio compagno di camera russa forte, in
modo impressionante. Io devo dormire la notte. Non credo che
non ci sia una camera libera in tutto il villaggio?"
E poi per dimostrarle che si trattava di un caso grave,
aggiunse. "Se c’è da pagare qualcosa, io pago. Non ci sono
problemi. L’importante è che io riesca a dormire questa
notte”. E tirò fuori dalla tasca di dietro del pantalone, il
suo portafoglio nero, un po’ "ammusciolito" e scolorito dal
tempo, rigonfio, di molte carte e non di tante banconote.
La signorina, alzò la cornetta del telefono, compose un numero
e parlò con qualcuno all’altra parte del capo. Fernando
ascoltava la telefonata soddisfatto. Si era spiegato bene.
“Jè la notte haja durmé’!”, continuava a ripetere a me
e Tonino, mentre la signorina era al telefono.
La telefonata terminò. La signorina riattaccò la cornetta e
disse: “Va bene signore. Il direttore mi ha detto che si può.
Prezzo della camera 250 mila lire. Mi dia un suo documento
d'identità”.
“
Ma... mo... però...”, cominciò a farfugliare Fernando,
iniziando a far fare marcia indietro al portafoglio che aveva
in mano. "
Il mio amico russa... sì... russa... ma
non è che poi russi sempre. Russa ogni tanto. Anzi, se gli
tocco il materasso mentre dorme smette per un po' di russare
e poi ricomincia. E' accettabile. Buonasera”. Si rificcò
il portafogli nella tasca posteriore del pantalone, salutò la
signorina e andammo via.
Per strada fu un calvario ascoltarlo. Ricominciò:
“No, je
nghe quélle, nghe Giuvuanne, 'ngi dorme chije. Quelle russe
gne nu trumbaune! Ve le faciàsse senté'!!!" (No
con quello, con Giovanni, io non ci dormirò mai più. Quello
russa come un trombone. Ve lo farei sentire!!!).
Era disperato.
"Coma cazze aja fa" (come cavolo dovrò
fare), ripeteva in dialetto sansalvese, mentre percorrevamo
nel buio il vialetto che ci riconduceva agli chalet.
Poi finalmente trovò la soluzione:
"Jé, jnnótte, me vìnghe a
durmé’ nghe vi”, disse. "
Maddorme 'nterre! Allonghe
'na cuperte e m'addorme" (Dormiro' per terra,
Allungherò una coperta per terra e lì dormirò).
E così fece. Salì sopra in camera, dove aveva dormito, per
modo di dire, la notte prima con Giovanni, scasò, e venne a
dormire nello chalet in cui dormivamo io Tonino. Per fortuna
nella stanza c’era un lettino libero, quello per i bambini,
solo con materasso, ma senza lenzuola. Fu l'ultimo dei
problemi.
Lo conoscevo bene l'amico mio. Prima di farlo entrare in
camera, gli dissi:
“Fernà! Però mo ne fa' come che la
vodde che séme jute nghe Renalde Altiére a lu múnice a
Assisi. Se cagnate tre lìtte tre nutte. Se scummujéte tre
lìtte a le municie. La prema notte, durmive a la camera ma,
jè stave sveje e te so' véste. A lu schìure te si' 'zzate,
me se frechite le pandóffele, te ne si' jute a durmè' a
n'andra camere e la maténe appresse, n’andrecca me facive jè
anneha', ca jè surnacchijéve".
Trad. "Fernando, dormi pure con noi questa notte. Però mi
raccomando. Non fare come quella volta che andammo con Renaldo
Altieri, ospiti dei frati, ad Assisi. Hai cambiato tre letti
in tre notti. Hai messo in disordine tre letti ai monaci. La
prima notte, dormivi con me in camera, io ero sveglio e ti ho
visto. Nel buio ti sei alzato dal letto, mi hai fregato le
pantofole e te ne sei andato a dormire in un'altra camera e la
mattina appresso, poco ci è mancato, che io andassi ad
annegarmi per la disperazione, perchè secondo te anch'io
sornacchiavo".
Ma questa è un’altra storia, che ci vorrebbe un'altra buona
mezz'ora per raccontarla.
Buonanotte ai suonatori. O meglio ai sornacchiatori.
18 Settembre 2022