Non
ho bisogno di essere ...
(Fatterelli)
di Fernando Sparvieri
Capita spesso, nella vita, che
qualcuno si offra volontario per darti una mano. Non mi
riferisco ad azioni di solidarietà, che richiedono ben altro
impegno sia materiale che spirituale, ma a piccole azioni
quotidiane, come ad esempio quando qualcuno inciampa per
strada e lo si aiuta a rialzarsi oppure ci si imbatte con un
automobilista in panne, che magari lo si conosce solo di
vista, ed allora ci si ferma per chiedergli se ha bisogno di
aiuto.
Da che mondo è mondo questi piccoli gesti di solidarietà sono
sempre esistiti, anche se la società contemporanea, in cui
tutti hanno fretta, pare aver tralasciato anche antichi gesti
di cavalleria, come quando ci si alzava per far sedere una
persona anziana in autobus o aiutarla ad attraversare la
strada in mezzo ad un traffico che tira dritto, non guardando
in faccia a nessuno.
Un tempo, ad esempio, negli anni '50, quando il mezzo di
locomozione più diffuso era la bicicletta, con le strade quasi
tutte bianche, chi forava e non aveva il materiale per
riparare la foratura, trovava sempre qualche altro ciclista
che, passando di lì, si fermava e gli chiedeva se avesse
bisogno di una mano. Non era difficile arpezza' (riparare)
una foratura alla camera d'aria. Tutte le biciclette, oltre
alla pompa, aggangiata sul tubo piantone del telaio, avevano
in dotazione, sotto la sella, una borsetta in pelle, con tutto
l'occorrente per la riparazione: due cacciacopertoni , un
tubetto di mastice, un pezzettino di una vecchia camera
d'aria, con la quale fare la pezza, ed un po' di sottile carta
vetrata, da strofinare sia sulla pezza che sulla parte forata
della camera d'aria, per garantire un incollaggio maggiore con
il mastice.
Ma succedeva spesso, che a qualcuno, tornando dal mare o dalla
campagna, spesso a bordo di scangiarrìune vicchie (vecchie
bici malridotte), gli mancasse mo la pampue (a volte
la pompa), mo lu mmuástice (altre volte il mastice),
mo li cacciacupurtìune (altre volte i
cacciacopertoni), insomma qualche elemento necessario per
riparare la foratura e quindi, era molto frequente che un
altro ciclistica in transito, vedendolo appiedato, si fermasse
e dopo avergli rivolto la solita domanda "Ue! Si
bucate?" (Ehi! Hai forato?), lo aiutava arpezza' (a
riparare) la camera d'aria, immedesimandosi nello stato di
disagio, anche psicologico, di chi aveva forato.
Era un lavoretto di cui erano capaci quasi tutti. Se tutto
andava bene, dopo un quarto d'ora, la bicicletta ave'
state arpezzate (la foratura era stata riparata), e
felici e contenti, tornavano entrambi a pedalare.
Subentrava a questo punto una sorta di tacita riconoscenza da
parte di chi era stato aiutato, pronto a ricambiare, alla
prima circostanza, il favore ricevuto.
Ma un giorno le cose andarono diversamente. Come si suol dire
"La ciambella non riuscì con il buco", riferendomi ad un buco
di una foratura.
Erano quelli i tempi in cui la gente parlava quasi
esclusivamente in dialetto. In italiano si parlava solo in
occasioni importanti e non se ne poteva fare a meno, e quando
lo si parlava, anche a seguito dell'analfabetismo imperante,
ne veniva fuori un italiano maccheronico, pieno di errori,
frutto di una traduzione simultanea dal dialetto alla lingua
nazionale, dando vita ad un linguaggio sgrammaticato, che era
il cosiddetto "taliano".
Si racconta che un giovanotto di Vasto, di nome Angiúline
(Angelo), un bel ragazzo aitante che di mestiere faceva il
pescatore, si era fidanzato con una bella ragazza di San Salvo
e la domenica, veniva a trovarla a bordo di una luccicante
bicicletta da corsa.
Avere una bicicletta da corsa a quei tempi era come possedere
una Ferrari ed a molti ragazzi sansalvesi, quando questo
giovanotto vastese parcheggiava la sua bici dinanzi alla casa
de la spose (della fidanzata), j'ascéve l' ùcchie
(gli uscivano gli occhi fuori dalle orbite), tanto restavano
estasiati nell'ammirarla.
Chissà cosa avrebbero dato pur di provarla. Detto ancora a
la salvanàse (in sansalvese), ad ognuno di loro
j vulléve 'nganne (faceva gola) farsi un giretto, ma Angiúline,
che non conoscevano, z'ave magnate lu màle (si era
mangiata la mela), nel senso che se n'era accorto, e per
questo motivo non dava confidenza a nessuno: arrivava,
scendeva dalla sua bici, la parcheggiava, e zétte ti e
zétte je' (non scambiando con loro nemmeno un saluto),
entrava a casa della fidanzata.
Senonché un giorno notarono che quella bicicletta da corsa,
parcheggiata al solito posto, aveva una gomma a terra.
"Qua' è lu mumuénte" (Questo è il momento), pensò uno
di loro. "Mo tózzele e j déche a lu patràune ca j l'arpézze
je" (Adesso busserò alla porta e dirò al proprietario
della bicicletta che glie la riparerò io), sperando con questo
stratagemma, dopo averla riparata, di approfittarne e farsi un
giretto.
E così fece. Bussò alla porta.
"Sei bucato!", disse ad Angiúline in "taliano",
appena lo vide apparire sull'uscio. "Se vuoi te
l'arpezzo io" (Hai forato. Se vuoi posso
riparartela io la foratura).
Angiùline serissimo, dopo aver lanciato uno sguardo
alla sua bici con la gomma a terra, lo guardò in faccia e per
non essere da meno nel linguaggio, gli rispose secco,
anch'egli in "taliano":
"Non ho bisogno di essere ripezzato da te".
La risposta di Angiuline fece in breve il giro del
paese e divenne un modo di dire, sopratutto tra gli studenti
dell'epoca, quando qualcuno si offriva volontario per compiere
qualsiasi azione con un secondo fine.
"Lo ringrazio ma non lo voglio", rispose invece alle mie
insistenze un mio anziano compare quando, con il lei che
iniziò a sostituire il voi, tentai invano di offrirgli un
caffé al bar.
Benedetta lingua taliana.
26
Novembre 2021