Zi'
Vitìccie e zi' Giusténe
(Le
scardille)
(Fatterelli)
Da che mondo è mondo, vi sono sempre stati i cosiddetti
burloni, gente a cui piace vivere in allegria. Pensando a loro
si è propensi a pensare che sia gente poco seria, che non ha
capito nulla delle cose importanti della vita, ma non è così.
In realtà, osservandoli ed analizzandoli un po' meglio, si
scopre che sono invece persone intelligenti, dedite al lavoro
ed alla famiglia, che sanno prendere però la vita con
filosofia, divertendosi e facendo divertire chi li osserva.
I loro modi di essere e le loro battute cambiano in base
all'ambiente in cui hanno vissuto e dal loro livello
culturale, anche se il senso dell'humor non ha titoli di
studio, nel senso che chi ce l'ha ce l'ha.
A furia di scavare, con i miei amici anziani, alla ricerca di
fatterelli d'altri tempi, ve n'è uno, raccontatomi da
Sebastiano Valentini, qualche giorno prima della sua
dipartita, quando andai a trovarlo a casa e mi accolse,
nonostante la malattia, con la solita allegria, mostrandomi
intatto il suo abituale senso dell'humor.
La storiella, risalente all'epoca del fascio, non ha nulla di
particolarmente esplosivo, anche se trattasi di piccole
esplosioni corporee, che fecero esplodere l'ira di un noto
commerciante e benestante locale.
Vi erano a San Salvo due personaggi eccentrici, amici per la
pelle, anche se sarebbe forse meglio dire per i peti. I loro
nomi erano
zi’ Vitìccie de Mertalàtte e
zi'
Giusténe Izzarille. Entrambi, gran giocherelloni,
stavano sempre insieme e divennero
famosi perchè erano
due gran petomani, che si esprimevano tra di loro a suon di
scardìlle,
così erano chiamati i peti o scoregge nel linguaggio
muratoresco, in uso all'epoca tra i muratori. Ad iniziare era
sempre zì Vitìccie, un omone bello e grosso, che
albe
e ne albe (alle prime luci dell'alba), andando in
campagna, giunto all'altezza del muraglione di Via Fontana,
dove c’era lu spaccie
de Miccheline de Crapacotte,
scendeva dall'asino e si dirigeva verso casa di
zi'
Giusténe. Lì
abbassandosi con il sedere
all’altezza
de la hattarole (della gattaiola) della
porta d'ingresso della casa dell'amico, gli dava la sveglia
con un sonoro peto.
Zi' Dumeneche, dall'interno, contraccambiava.
Il vicinato, ancora a letto, udiva e rideva, anche se poi in
pubblico, faceva finta
ca ze ne faciave hábbe (di
meravigliarsi, di scandalizzarsi).
Senonchè un giorno Don Antonio, l’orefice, che abitava ed
aveva il negozio nelle vicinanze, esattamente nella palazzina
dirimpetto ai gradini che dal piccolo muraglione di Via
Fontana immettono su Via Savoia, stanco di essere svegliato
anch'egli di buonora dalla potente sveglia mattutina di z
i
Vitìccie, o forse anche perché non riusciva più a
vendere una sola sveglia alla gente del vicinato, perse la
pazienza ed andò a parlarne con il Podestà, lamentandosi.
I nostri due amici vennero convocati in Municipio e per tutta
risposta, subito dopo aver parlato con il podestà, andarono a
sedersi sui gradini dirimpetto alla casa di Don Antonio, il
quale, poverino, fu costretto a barricarsi in casa, con le
finestre chiuse, quando partì il bombardamento nemico.
Zi' Viticcie Mertalàtte
il primo a destra, con il cappello in mano, ritratto
durante i festeggiamente delle "Sonme di San Vitale". Foto
tratto dall'archivio fotografico su facebook di Ida
Candeloro
Ho voluto raccontarvi questa storiella d'altri tempi, per
meglio far capire com'era quel piccolo mondo contadino antico,
fatto di sudore e di sacrifici, ma anche di divertimenti "fai
da te", a volte al limite della tollerabilità, come nel caso
dei nostri due amici petomani, in un'epoca in cui non c'erano
né le televisioni e né tantomeno i cinematografi e gli unici
svaghi erano gli arrivi di qualche raro spettacolo itinerante
o del famoso Circo Borzacchini, quando piantava il tendone in
paese.
Era tutto un altro mondo quello, rispetto a quello attuale.
Inimmaginabile ai tempi d'oggi.
Il paese, dall'alto della sua collina, immerso in un silenzio
bucolico, era come un'isola adagiata tra il mare e la
campagna. Nelle giornate primaverili i profumi dei campi e la
brezza marina arrivavano a folate, mentre si udivano nel cielo
il cinquettio dei passeri ed il garrire delle rondini. A fare
da contraltare ogni tanto, però, arrivavano
cirte
bafénne
di
fumìre (alcune folate di puzze di letame), che
provenivano dalle stalle.
Quando i contadini
arcacciávene lu fumìre (ripulivano le stalle dal
letame)
e lo andavano a buttare
nghe le trajéne
(con i carretti) in campagna
perchè diventasse humus
per i terreni, il fetore, al loro passaggio, era
insopportabile.
Purtroppo la condizione igienica in paese era sotto il limite
della decenza: non c'erano fognature; non c'erano servizi
igienici nelle case; mancava l'acquedotto. Ci pensavano le
stalle e
lu Vallingialle (canneto del Valloncello)
per soddisfare i bisogni corporei dei maschi sansalvesi. Erano
invece l'acqua
de la fànte vicchie (della vecchia
fontana), riscaldata
a le chettìure (dentro calderoni
in rame), ed il mare, d'estate, a lavare i corpi della gran
parte della gente, che quando ti passava accanto,
tenàve
'na ttámpe (aveva un tanfo) a causa della scarsa igiene
personale. Le strade, fangose quando pioveva, erano piene
de
mellarde (di escrementi) di cavalli, asini, cani,
squécchie
de halléne (cacche di galline).
Quelle puzze, però, erano naturali. Il cielo, nelle belle
giornate, era terso, blu, senza alcuna traccia di inquinamento
atmosferico e di surriscaldamento globale, parole sconosciute.
Ci pensavano i venti e gli alberi, in un ciclo di ricambio
naturale, a ripulire l’aria da odori nauseabondi, comprese le
bombe corporee di
zi’ Vitìccie e
zi' Giusténe, i
nostri due petomani.
Poi arrivò il progresso. Gli americani spararono la bomba
atomica
e gli alberi, colpiti, cessarono anch’essi,
insieme a tanti giapponesi, di respirare. Il pianeta venne
invaso da un popolo alieno, sconosciuto sino ad allora,
costituito da nuovi essere viventi, che invasero paesi e
città, che mangiavano benzina, respiravano ossigeno e
scaricavano nell'aria monossido di carbonio. Le automobili e
le ciminiere delle industrie oscurarono il sole con cappe di
smog.
La Terra, da sempre abituata a convivere con i quattro
elementi naturali di acqua, aria, terra e fuoco, non ci capì
più niente, e si ammalò. L'acqua, dei fiumi e del mare, videro
pesci galleggiare ed i ghiacciai incominciarono a sciogliersi
come neve al sole.
L'uomo, che aveva vissuto sin dai suoi albori in simbiosi con
la natura, divenne il più grande parassita del pianeta,
distruggendo e sfruttando, in nome del progresso e del dio
denaro, sé stesso ed il suo mondo.
Chissà se forse era meglio quel piccolo mondo antico di
zi’
Vitìccie Mertalàtte e z
i' Giusténe Izzarille.
Chissà.