Come già scritto in un capitolo
precedente,
Mastrángele, che aveva il suo laboratorio
di fabbro in Via Roma, proprio dinanzi al Monumento ai Caduti,
fu l'artigiano che realizzò tutta l'inferriata che ne
delimitava il giardinetto.
In un epoca in cui non esistevano ancora attrezzature moderne,
come il trapano ed altri utensili elettrici, il recinto venne
realizzato interamente a mano. A dargli una mano furono alcuni
suoi
lavurénde (apprendisti fabbri) che erano
Virgilie
de Jnnarille (il futuro Cav. Virgilio Cilli),
Miccheline
de Petacciéte (Michele Talucci), che da adulto diventerà
apprezzatissimo fabbro e meccanico di precisione, e
Emilie
Bummàtte (Emilio Torricella).
Ci vollero, per realizzarlo, mesi di lavoro. Era costituito da
centinaia di lance appuntite. Il motivo della scelta del
disegno delle lance non fu casuale. Era una moda dell'epoca,
ma così piacque probabilmente al gerarca fascista dott.
Vitaliano Ciocco ed ai suoi amici camerati, che per delimitare
il giardinetto comunale, che accoglieva la statua della
"Vedetta armata",
"lu muneménte" (il Monumento ai
Caduti), pensarono che per contestualizzare tutto l'ambiente
al tema bellico, era più consona una recinzione in ferro
battuto con i ferri a forma di lance.
Si racconta che un giorno un sansalvese chiese a
Mastràngele:
"
Mastrà! Che me segnefeche tutte sse langie?"
(Mastr'Angelo non riesco a capire il perché hai realizzato il
recinto con tutte queste lance?).
E
Mastrangéle se ne uscì con una delle sue solite
battute e gli risposei:
"Ngi véde ca a lu fucéle de lu
mumneménde j manghe lu ciampéne?" (Non vedi che al
fucile del soldato del monumento manca il ciampino?)."
Se
scoppe la uérre", aggiunse,
" lu muneménte jétte lu
fucéle e peje le langie" (Se scoppierà la guerra il
soldato del monumento, butterà il fucile e si difenderà con le
lance).
"
Putave ma vangie la uerre l'Italie?" (Poteva mai
vincere la guerra l'Italia?), se ne uscì invece quando terminò
il 2°conflitto mondiale, paragonando l'esercito italiano al
soldato del monumento, che aveva il fucile senza ciampino.
E tornando a Mastr'Angelo, buongustaio, si racconta che sua
figlia Lidia, che si era trasferita a Chieti, tornò nel
periodo natalizio a San Salvo per trascorrere le feste insieme
ai genitori.
"Papà t'aja arpurtate da Chìjte nu belle panettone"
(Papà ti ho portato da Chieti un bel panettone), disse
salutando il padre al suo arrivo in casa.
Trascorsero le feste e Lidia stava ripartendo per Chieti,
quando suo padre le chiese: "
Lidie! Addo' le si'
mésse lu paletto' che me si 'rpurtate? " (Lidia!
Dove lo hai messo il paletot, il cappotto che mi hai riportato
da Chieti?).
"
Papà te le si magnate" (Papa lo hai mangiato), gli
rispose la figlia.
"
Me l'aje magnate!" (L'ho mangiato!), esclamò
Mastrángele
incredulo. "
E' lu vuàre ca a lu magnà' 'ngi lánde niende,
ma ca mo me magnave pure lu paletto'!" (E' vero che
quando mangio non ci lascio nulla, ma che adesso mi son
mangiato anche il paletot, il cappotto, mi sembra esagerato).
"
Papa!", gli rispose Lidia: "
Che si' capìute! T'aja
arpurtate lu panettone, no lu paletto'!'" (Papà! Ma cosa
hai capito. Ti ho riportato il panettone e non il paletot!).
Gli anni, purtroppo, passano per tutti, ed anche
Mastrángele
divenne anziano e smise di fare il fabbro. Continuò questo
mestiere, nella tradizione di famiglia, il nipote
mastre
Necóle (Nicola De Felice), figlio di
mastre
Raffaéle, fratello di
Mastrángele, che ebbe tra
i suoi
lavúrénde (allievi) Vittorio di Paolo e
Nicolino Longhi, ragazzini.
Mi raccontò Nicolino che un giorno
mastre
Necóle lo portò in una masseria dei casolani
a
Sant'Andonie (C.da Sant'Antonio), di proprietà della
famiglia Bianchi, all'epoca aperta campagna, che corrisponde
oggi alla zona di Via San Rocco, prima di immettersi nella
rotonda degli "Alpini" in Via Grasceta, dov'è il ristorante
"La tijella".
Quel giorno,
Mastre Necóle, che doveva eseguire un
lavoro di ricampanatura ai cerchi di un carro, portò con sé,
oltre ad i suoi allievi, anche suo zio
Mastrángele,
ormai anziano, che come già detto aveva chiuso bottega.
All'ora di pranzo i casolani apparecchiarono una tavolata
sotto
a 'na cérche (ad un quercia) centenaria,
tutt'ora esistente dirimpetto al plesso scolastico di
Sant'Antonio.
Mastrángele aveva perso il suo proverbiale appetito.
Mangiò, ma non più di tanto. Alla vista della ventricina però
si eccitò. Non potendo farsi una delle sue proverbiali
abbuffate, a mani nude, non tagliandola con il coltello, ne
estraeva
a catúcchie (a pezzi interi) dalla vescica
(involucro) della ventricina e li metteva nel piatto di
Nicolino, dicendogli: "
Magne uajo' c'ha ta da' fa grosse
(Mangia ragazzo, che devi diventare adulto). Nicolino, era
sazio. Non ce la faceva più, non gli entrava più niente nello
stomaco e gli disse: "
Mastr'A'! Ne me ci va' chij. Mo
scóppe" (Mastr'Angelo! Non ce la faccio più. Sto per
scoppiare).
Ma
Mastrángele, pur di non far sprecare tutto quel ben
di Dio, non si perse d'animo:
continuò a sfilarne
pezzi ed ad infilarglieli, direttamente, senza alcun involucro
protettivo, nelle tasche della giacca, dicendogli: "
Magnetele
a la case uajo', c'ha ta da' fa grosse (Mangiateli a
casa ragazzo, che devi diventare adulto).
Era un'ossessione per lui la ventricina. Da giovane, pur
di divorarla tutta, diceva ai suoi commensali:
"Aéchhe ze
màtte la véte a pérde,
ma 'nze fa britta fihìure" (Qui
si rischia la vita, ma non si fanno brutte figure). Era capace
di morire, pur di farsene un'abbuffata.
Ed a proposito della morte, non la temeva affatto. Ci
scherzava sopra. Aveva una teoria tutta sua sulla dipartita da
questo mondo terreno.
Diceva: "
Canda ìune ze more è 'na feste. Tutte te vénne a
truvua' a la case! Te portane le fijùre! Te decene
le pétre nustre! Cande le prìdde! T'accumpagnane a lu
cambesante".
E poi concludeva: "
Il brutti è... quando rimano soli!!!".
(Quando una persona muore è una festa. Tutti i parenti ed
amici ti vengono a far visita. Ti portano i fiori. Ti dicono
le preghiere. Cantano i preti. Ti accompagnano in corteo sino
al cimitero. Il brutto è quando resti da solo, nel senso che
tutti vanno via).
Anno 1953 - Nella foto la
piccola Liliana D'Angelo con la giovane sorella Evelina.
Alle loro spalle le lance dell'inferrriata realizzate dal
fabbro sansalvese Mastr'Angelo De Felice. La parte della
recinzione in Via Roma venne smantellata nei primi anni
'70 dall'amministrazione comunale con Sindaco pro-tempore
Evaristo Sparvieri perchè ritenuta pericolosa. Venne
realizzato al suo posto un muretto ricoperto in marmo, che
divenne un lungo sedile preferito dai ragazzi, nonché
sostituita la vecchia fontana, visibile in parte nella
foto, ed apposte le lastre in marmo con i nomi dei Caduti
di tutte le guerre. Dopo i lavori il giardinetto, prima
inaccessibile salvo manifestazioni di ricorrenze civili,
come il 4 Novembre, venne aperto definitivamente al
pubblico.
25 Gennaio 2022