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Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri







Ma chi sarebbero li salvanése

I racconti di Fernando Sparvieri



Un po' di storia locale raccontando personaggi










Mastrángele

(Il brutti è quando rimano soli)

(Fatterelli)

di Fernando Sparvieri


Come già scritto in un capitolo precedente, Mastrángele, che aveva il suo laboratorio di fabbro in Via Roma, proprio dinanzi al Monumento ai Caduti, fu l'artigiano che realizzò tutta l'inferriata che ne delimitava il giardinetto.

In un epoca in cui non esistevano ancora attrezzature moderne, come il trapano ed altri utensili elettrici, il recinto venne realizzato interamente a mano. A dargli una mano furono alcuni suoi lavurénde (apprendisti fabbri) che erano Virgilie de Jnnarille (il futuro Cav. Virgilio Cilli), Miccheline de Petacciéte (Michele Talucci), che da adulto diventerà apprezzatissimo fabbro e meccanico di precisione, e Emilie Bummàtte (Emilio Torricella).

Ci vollero, per realizzarlo, mesi di lavoro. Era costituito da centinaia di lance appuntite. Il motivo della scelta del disegno delle lance non fu casuale. Era una moda dell'epoca, ma così piacque probabilmente al gerarca fascista dott. Vitaliano Ciocco ed ai suoi amici camerati, che per delimitare il giardinetto comunale, che accoglieva la statua della "Vedetta armata", "lu muneménte" (il Monumento ai Caduti), pensarono che per contestualizzare tutto l'ambiente al tema bellico, era più consona una recinzione in ferro battuto con i ferri a forma di lance.

Si racconta che un giorno un sansalvese chiese a Mastràngele: "Mastrà! Che me segnefeche tutte sse langie?" (Mastr'Angelo non riesco a capire il perché hai realizzato il recinto con tutte queste lance?).

E Mastrangéle se ne uscì con una delle sue solite battute e gli risposei: "Ngi véde ca a lu fucéle de lu mumneménde j manghe lu ciampéne?" (Non vedi che al fucile del soldato del monumento manca il ciampino?)."Se scoppe la uérre", aggiunse," lu muneménte jétte lu fucéle e peje le langie" (Se scoppierà la guerra il soldato del monumento, butterà il fucile e si difenderà con le lance).

"Putave ma vangie la uerre l'Italie?" (Poteva mai vincere la guerra l'Italia?), se ne uscì invece quando terminò il 2°conflitto mondiale, paragonando l'esercito italiano al soldato del monumento, che aveva il fucile senza ciampino.

E tornando a Mastr'Angelo, buongustaio, si racconta che sua figlia Lidia, che si era trasferita a Chieti, tornò nel periodo natalizio a San Salvo per trascorrere le feste insieme ai genitori.

"Papà t'aja arpurtate da Chìjte nu belle panettone" (Papà ti ho portato da Chieti un bel panettone), disse salutando il padre al suo arrivo in casa.

Trascorsero le feste e Lidia stava ripartendo per Chieti, quando suo padre le chiese: "Lidie! Addo' le si' mésse lu paletto' che me si 'rpurtate? " (Lidia! Dove lo hai messo il paletot, il cappotto che mi hai riportato da Chieti?).

"Papà te le si magnate" (Papa lo hai mangiato), gli rispose la figlia.

"Me l'aje magnate!" (L'ho mangiato!), esclamò Mastrángele incredulo. "E' lu vuàre ca a lu magnà' 'ngi lánde niende, ma ca mo me magnave pure lu paletto'!" (E' vero che quando mangio non ci lascio nulla, ma che adesso mi son mangiato anche il paletot, il cappotto, mi sembra esagerato).

"Papa!", gli rispose Lidia: "Che si' capìute! T'aja arpurtate lu panettone, no lu paletto'!'" (Papà! Ma cosa hai capito. Ti ho riportato il panettone e non il paletot!).

Gli anni, purtroppo, passano per tutti, ed anche Mastrángele divenne anziano e smise di fare il fabbro. Continuò questo mestiere, nella tradizione di famiglia, il nipote mastre Necóle (Nicola De Felice), figlio di mastre Raffaéle, fratello di Mastrángele, che ebbe tra i suoi lavúrénde (allievi) Vittorio di Paolo e Nicolino Longhi, ragazzini.

Mi raccontò Nicolino  che un giorno mastre Necóle  lo portò in una masseria dei casolani a Sant'Andonie (C.da Sant'Antonio), di proprietà della famiglia Bianchi, all'epoca aperta campagna, che corrisponde oggi alla zona di Via San Rocco, prima di immettersi nella rotonda degli "Alpini" in Via Grasceta, dov'è il ristorante "La tijella".

Quel giorno, Mastre Necóle, che doveva eseguire un lavoro di ricampanatura ai cerchi di un carro, portò con sé, oltre ad i suoi allievi, anche suo zio Mastrángele, ormai anziano, che come già detto aveva chiuso bottega.

All'ora di pranzo i casolani apparecchiarono una tavolata sotto a 'na cérche (ad un quercia) centenaria, tutt'ora esistente dirimpetto al plesso scolastico di Sant'Antonio.

Mastrángele aveva perso il suo proverbiale appetito. Mangiò, ma non più di tanto. Alla vista della ventricina però si eccitò. Non potendo farsi una delle sue proverbiali abbuffate, a mani nude, non tagliandola con il coltello, ne estraeva a catúcchie (a pezzi interi) dalla vescica (involucro) della ventricina e li metteva nel piatto di Nicolino, dicendogli: "Magne uajo' c'ha ta da' fa grosse (Mangia ragazzo, che devi diventare adulto). Nicolino, era sazio. Non ce la faceva più, non gli entrava più niente nello stomaco e gli disse: "Mastr'A'! Ne me ci va' chij. Mo scóppe" (Mastr'Angelo! Non ce la faccio più. Sto per scoppiare).

Ma Mastrángele, pur di non far sprecare tutto quel ben di Dio, non si perse d'animo: continuò a sfilarne pezzi ed ad infilarglieli, direttamente, senza alcun involucro protettivo, nelle tasche della giacca, dicendogli: "Magnetele a la case uajo', c'ha ta da' fa grosse (Mangiateli a casa ragazzo, che devi diventare adulto).

Era un'ossessione per lui la ventricina. Da giovane, pur di divorarla tutta, diceva ai suoi commensali: "Aéchhe ze màtte la véte a pérde, ma 'nze fa britta fihìure" (Qui si rischia la vita, ma non si fanno brutte figure). Era capace di morire,  pur di farsene un'abbuffata.

Ed a proposito della morte, non la temeva affatto. Ci scherzava sopra. Aveva una teoria tutta sua sulla dipartita da questo mondo terreno.

Diceva: "Canda ìune ze more è 'na feste. Tutte te vénne a truvua' a la case! Te portane le fijùre! Te decene le pétre nustre! Cande le prìdde! T'accumpagnane a lu cambesante".

E poi concludeva: "Il brutti è... quando rimano soli!!!".

(Quando una persona muore è una festa. Tutti i parenti ed amici ti vengono a far visita. Ti portano i fiori. Ti dicono le preghiere. Cantano i preti. Ti accompagnano in corteo sino al cimitero. Il brutto è quando resti da solo, nel senso che tutti vanno via).



Foto di Umberto Di Biase


Anno 1953 - Nella foto la piccola Liliana D'Angelo con la giovane sorella Evelina. Alle loro spalle le lance dell'inferrriata realizzate dal fabbro sansalvese Mastr'Angelo De Felice. La parte della recinzione in Via Roma venne smantellata nei primi anni '70 dall'amministrazione comunale con Sindaco pro-tempore Evaristo Sparvieri perchè ritenuta pericolosa. Venne realizzato al suo posto un muretto ricoperto in marmo, che divenne un lungo sedile preferito dai ragazzi, nonché sostituita la vecchia fontana, visibile in parte nella foto, ed apposte le lastre in marmo con i nomi dei Caduti di tutte le guerre. Dopo i lavori il giardinetto, prima inaccessibile salvo manifestazioni di ricorrenze civili, come il 4 Novembre, venne aperto definitivamente al pubblico.


25 Gennaio 2022






I racconti di Fernando Sparvieri

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MA CHI SAREBBERO
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di Fernando Sparvieri

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I forestieri a San Salvo



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(Emilio Del Villano)















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