Mastrángele
(E ti' lu fucéle!)
(Fatterelli)
di Fernando Sparvieri
Un altro aneddoto di Mastràngele,
il fabbro, che come ho già avuto modo di descrivere nel
capitolo precedente, aveva un carattere ironico, sempre in
vena di battute pungenti, oltreché essere un buongustaio,
accade un 16 agosto, quando, insieme a Mastr'Andonie
Sparvire, mio nonno, falegname, suo intimo amico, si
recò, alla festa di San Rocco, Protettore di Cupello. Era per
loro, ogni anno, un appuntamento imperdibile, così come lo era
per tanti sansalvesi, che vi si recavano a piedi, percorrendo
scorciatoie e viottoli di campagna, passando accanto alle mura
del vecchio cimitero di San Salvo.
A dire il vero a Mastràngele, interessava poco de
Sandrócche (di San Rocco) e della sua festa. Scopo della
missione, non era né la messa, né la processione e né sentire
la banda. Il motivo principale era quello di farsi una
scorpacciata di porchetta, per la quale nutriva una grande
predilezione, insieme alla ventricina.
Insomma, come recita quel detto popolare: "Quésse
fa gne Sandarélle, pe 'na magnate va a lu Cupélle" (Costui
fa come Santarelli, per una mangiata va a Cupello), anche
Mastràngele, se ne andava a Cupello per farsi una
mangiata. Chi fosse questo Santarelli non è certo; qualcuno
sostiene che fosse il mastro ramaio di Vasto. Altro detto
popolare famoso di quel periodo, che non si addiceva però a Mastrángele,
che andava solo alla festa di Cupello, era il seguente:
"Ue'! Me simbre Giuseppe Langiane" (Ehi, mi sembri
Giuseppe Lanciano), che si riferiva ad un altro personaggio,
forse lancianese, gran festaiolo, notissimo perchè dove era
festa lì lo si incontrava, anche a San Salvo.
"Ué! Tajele a lu ciundréne quasse" (Ehi! Taglia la
porchetta all'altezza della cinta), diceva Mastrángele
al venditore di porchetta, quando andava a comprarla. In
pratica preferiva mangiarne una porzione tagliata alla pancia
del maiale, nella parte che, paragonando il corpo del suino a
quello umano, è quella in cui si allaccia lu ciundréne,
cioè la cinta dei pantaloni.
Mi raccontò mio padre che negli anni '30, in una di quelle
feste di San Rocco a Cupello, mio nonno portò con sé anche lui
e suo fratello maggiore Antonino, ancora ragazzini.
Naturalmente Mastrangéle era il capo spedizione.
Stettero lì tutto il giorno. Al buio, presero la via del
ritorno. Com'era consuetudine, Mastrángele, prima di
rientrare a casa, esigeva che si fermassero sotto a 'na
cerche (una quercia) a due passi dal muro di cinta del
cimitero di San Salvo, dove, in un ambiente lucubre, da far
paura, gli piaceva far tappa per mangiare le ultime scorte di
porchetta, che avevano comprato a Cupello, e bere gli ultimi
bicchieri di vino.
Successe, quella notte, che mentre erano lì a mangiare, a
pochi metri dal muro del cimitero, sentirono in lontananza un
tintinnio cadenzato, simile a quello di una campanella ...
ndin... ndin... ndin ... avvicinarsi sempre più verso di loro.
"Quesse è Ntonie de Rucchiccie ch'arve' pure hasse da la
feste a lu Cupelle" (Dev'essere Antonio Mastrocola che
sta tornando anch'egli dalla festa di Cupello), disse Mastrángele.
Ntonie de Rucchiccie era un falegname, cacciatore nato,
che non si separava mai dal suo fucile, che si era portato
dietro anche quel giorno a Cupello. Mastrángele lo
conosceva bene e sapeva anche che quel tintinnio, che si udiva
a distanza, era provocato da una gavetta in alluminio, che Ntonie
portava sempre allacciata con uno spago ad un passante
laterale della cinta dei pantaloni. Ad ogni passo che faceva,
marciando, la gavetta batteva al calcio del fucile e provocava
quel suono metallico.
Quel suono intanto... ndin...ndin...ndin...ndin..., nel buio e
nel silenzio più assoluto, si avvicinava sempre di più verso
il cimitero e verso di loro, facendosi sempre più forte.
"Ue'! Stateve zette" (State zitti), disse Mastrángele,
invitando tutti a fare silenzio.
E quando quel suono arrivò a pochi metri da loro, ecco
all'improvviso Mastrángele, in un silenzio assordante,
dare due potenti colpi di tosse, come quando si espelle il
catarro.
Din... ndin... din din din din din din din din din. La
campanella accellerò all'improvviso il suo ritmo ed in pochi
secondi il suo suono si udì sempre più in lontananza,
allontanandosi velocemente dal cimitero.
"E ti lu fucéle!" (Ed hai il fucile!), esclamò
Mastrángele, alludendo al coraggio di 'Ndonie de
Rucchiccie.
21 Gennaio 2022