Ogni mondo è paese, ma il mio paese è il mio mondo.
Fernando Sparvieri
Ma chi sarebbero li salvanése
I racconti di Fernando
Sparvieri
Un po' di storia locale raccontando personaggi
Ma come si scrive
in dialetto sansalvese
di Fernando Sparvieri
Foto di Tonino Longhi
Molti amici spesso mi chiedono: ma come si scrive in
dialetto sansalvese?
Premesso di essere un asino in materia, peggio del mio
migliore amico con me ritratto nella foto, ritengo che
ognuno sia libero di scriverlo come gli pare, l'
importante è farsi capire.
Quindi ognuno può scriverlo come meglio crede o reputa
opportuno fare, considerando sopratutto da che pulpito
viene la predica.
Io però, che da sempre, sin da ragazzino, sono stato un
appassionato lettore di poesie in vernacolo, ed ho avuto
un padre, che sin dalla giovinezza, si è sempre cimentato
in componimenti di questo genere (sono cresciuto in casa a
pane e poesie dialettali) un' idea ce l'avrei e ritengo
che qualche regoletta, per non incappare nella scrittura
di parole indecifrabili, bisognerebbe pur adottarla,
altrimenti si corre il rischio di credere che quel che si
sta scrivendo sia leggibile per tutti, ma in realtà non lo
è.
Senza avere la presunzione di salire in cattedra (il mio
posto preferito a scuola è stato sempre l'ultimo banco),
prima di addentrarmi nella parte dello "stupido di sapere"
(così definiva Mastro Luigi Di Iorio a chi credeva di
sapere tutto lui), mi preme innanzitutto far notare che
nessuno, tra i nostri poeti locali, antichi e moderni, ha
mai scritto componimenti poetici in dialetto salsalvese.
Non esiste quindi un' antica letteratura ufficiale del
dialetto sansalvese.
Da quel che mi risulta, solo qualche anno prima della sua
morte, avvenuta nel 2010, mio padre Evaristo Sparvieri,
che di ufficiale non ha pubblicato mai nulla, si cimentò
per primo in una raccolta di noti proverbi e filastrocche
in dialetto sansalvese, confluiti in gran parte nel libro
Sott’a la porte de la Terre del suo intimo amico
Leone Balduzzi, della cui collaborazione ne fa menzione lo
stesso Balduzzi nel libro.
Successivamente, sempre mio padre, e dietro mia
insistenza, si dedicò alla raccolta di parole in dialetto
nostrano, confluite poi nel Vocabolario del dialetto di
San Salvo, di cui ne è stato autore il suo grandissimo
amico Raffaele Artese, un’opera postuma pubblicata dopo la
sua morte, avvenuta nel 2011, dalla vedova gent.ma sig.ra
Anna, opera che deve essere considerata la prima vera
pietra miliare che si occupa dell'idioma popolare locale.
Prima di allora, infatti, fatta eccezione per i copioni di
compagnie teatrali dialettali della Compagnia di Teatro
Sperimentale Renato Bevilacqua, diretta da Angelo Pagano,
in cui gli attori parlavano in dialetto, mi risulta che
nessuno si era mai cimentato a scrivere componimenti
adottando la nostra "lingua madre", preferendo invece
sempre il dialetto abruzzese.
Se leggiamo, infatti, le poesie degli amicissimi Raffaele
Artese (1925), Antonino Sparvieri (1919), emigrato a Roma,
Evaristo Sparvieri (1921), Raimondo Dino Artese (1927),
emigrato a Mestre nel dopoguerra, che furono i primi sin
dalla gioventu' ad essersi dilettati a scrivere poesie e
canti in vernacolo (conservo di loro un quadernino con
molte poesie inedite), scopriremo che nessuno di loro ha
mai scritto poesie o canzoni in dialetto sansalvese, ma in
vernacolo abruzzese.
A riprova di quanto appena sostenuto, basterebbe ascoltare
i versi della canzone Ninna nanne a lu citèle me
(1954), una ninna nanna, scritta da Raffaele Artese in
occasione della nascita del figlio Fernando,
conosciutissima tra gli anziani, o ancora Lu
coccicappelle (1951) o Sopra 'na culline
(1961) scritte da mio padre ai tempi della Radiosquadra
RAI, di cui era corrispondente da San Salvo, per rendersi
conto che i loro componimenti erano tutti in idioma
abruzzese.
Lo stesso Leone Balduzzi (1926), amico dei suddetti, dai
quali ereditò la passione per il vernacolo tra le mura del
famoso Bar Balduzzi, autore della melodicissima e
nostalgica canzone Sante Sante Salve bbelle
(scritta intorno al finire degli anni '70), non si è mai
cimentato in alcun componimento in puro dialetto
sansalvese, così come pure Afredo Borzacchini (1927),
poeta, scrittore, attore, cantante di professione, l'unico
sansalvese ad essere stato artista professionista
giramondo negli anni '50 - '60, che ha inciso centinaia di
dischi, prima di musica leggera e poi di folclore
abruzzese, con case discografiche di Roma e Milano.
Stesso discorso vale per tanti altri, tra cui ricordo con
affetto il mio amico Rocco Martelli (1931), autore di
un'altra canzone dedicata a San Salvo dal titolo "Sante
Salve amore me" (anni '70).
Nessun autore locale, insomma, pur amando profondamente la
terra natia, ha scritto qualcosa nell'idioma locale,
preferendo il vernacolo abruzzese.
Per meglio chiarire quanto appena detto, aggiungo che non
sono in dialetto sansalvese neppure i testi degli anonimi
canti popolari tradizionali come lu Sant'Antonie,
lu Capedánne, la Pasquarélle (La Pasquetta),
lu Sante Sabbastijáne (il San Sebastiano), le cui
parole sono addirittura in un italiano "arziccuccúlujéte"
(rimodernato), cioè involuto alla parlata abruzzese, così
come "i copioni" de le miscàráte (delle
rappresentazioni carnascialesche), in cui i vari
interpreti, mascherati, si esibivano in italiano
maccheronico.
Restando nel campo musicale e volando un po' più a nord
con Vola Vola, oppure patendo la sete con Tutte
le fontanelle se so' seccate, scopriamo ancor di più
come il dialetto abruzzese sia stato da sempre, e da quasi
tutti, la lingua privilegiata, divenendo con il tempo un
linguaggio "universale", convenzionale, usato ormai da
secoli dalla gran parte degli autori delle poesie
dialettali.
Insomma, scrivere in dialetto abruzzese è stato da sempre
il modo prediletto da tutti i poeti dialettali, e non solo
per una questione di rime baciate o controbaciate
(alternate), molto più semplici da trovare rispetto allla
parlata sansalvese, ma anche perché un tempo il dialetto,
parlato in ogni paese d'Abruzzo, era considerato una
lingua poeticamente senza futuro, limitata al luogo in cui
si parlava. In altri termini non era una novità, come
oggi, comporre e scrivere in dialetto locale, perchè
ritenuta una lingua usata dal popolo "basso", che non
sapeva esprimersi in italiano. La vera novità era quella
di comporre poesie dialettali emulando i grandi maestri
poeti abruzzesi, tra cui spiccava Modesto Della Porta, da
Guardiagrele, che avevano già riscosso ampio successo con
la pubblicazione di collane di poesie. Se a questo
aggiungiamo che parlare in dialetto era considerato, in
una società ancora semi analfabeta, come sinonimo di
ignoranza, ecco che molte risposte vengono a galla da
sole.
Naturalmente qualche eccezione che conferma la regola c'è.
Forse gli unici maestri al contrario, nel senso positivo
della parola, che hanno composto in dialetto del loro
paese, sono stati i poeti e scrittori vastesi, come
l'immortale Luigi Anelli (Vasto, 20 febbr. 1860 - 14 dic.
1944), poeta, storico e dialettologo, commediografo,
drammaturgo, autore di saggi e commedie in vernacolo, e
Paolo Votinelli (1891), l'autore dei versi di "Uaste
bbelle, terra d'eure" (musica di A. Zaccardi) e non
per ultimo l'anonimo autore della notissima e stupenda
canzone "Lamento di una vedova", i quali, quasi
sempre, hanno preferito comporre "a la uastaréle"
(in vastese), tra l'altro difficilissimo da scrivere,
somigliante per molti versi, data anche la vicinanza
geografica, al dialetto sansalvese.
Dopo questa lunga premessa e tornando all'originaria
domanda: si può scrivere quindi in dialetto sansalvese?
Certo che lo si può fare!
Oggi, peraltro, con i vari gruppi su Facebook tipo Sei di
Salvo se ... ecc. , in cui ogni popolo è alla ricerca
delle proprie origini ed identità culturali, è divenuta
quasi una necessità saperlo fare, al fine di evitare, come
spesso mi è capitato di leggere, una serie di accozzaglie
di consonanti, senza senso, degne della migliore lingua
marziana.
A mio avviso, scrivere in dialetto sansalvese, non solo è
possibilissimo, ma non è neanche difficile.
Per farlo, come già detto, basta adottare una forma di
scrittura che ricalchi le orme di chi, da secoli, ha già
scritto in dialetto abruzzese. Non c'è nulla di nuovo da
inventare è gia tutto inventato. Bisogna solo adattare il
nostro dialetto alla forma di scrittura divenuta classica
nel tempo e cioè al vernacolo abruzzese.
Facciamo, insieme, un tentativo.
Per l'occasione mi servirò di una quartina di Lu
Destine, una poesia dialettale del grande Maestro
Modesto Della Porta (Guardiagrele 21 marzo 1885 - 23
luglio1938), di professione sarto, autore della
famossissima collana di poesie TAPU’, che io ritengo, ma
non sono l'unico, il più grande poeta dialettale abruzzese
in assoluto, beniamino dei nostri primi poeti dialettali
locali.
Leggeremo ora insieme la quartina prima in dialetto
abruzzese. Premetto, per chi non si è mai cimentato nella
lettura di questo genere di componimenti, che al primo
impatto può risultare ostica, ma come tutte le cose, dopo
un po' di tempo, con un po' di allenamento, tutto inizia a
scorrere liscio come l'olio, così come avviene per
qualsiasi cosa in cui ci si deve fare l'abitudine.
Lu Destine
E' state mo, chell'avetra matine.
'Nnanz'a la chiese de la 'Ddulurate
nu vecchie che sunave lu pianine
dicè': "Curréte, non vi vruvignate,
Il Destino
E' successo da poco, l'altra mattina.
Davanti alla chiesa dell'Addolorata
un vecchio che suonava il pianino
diceva: "Avvicinatevi, non vi vergognate!
Da come avete avuto modo di notare, è una scrittura molto
semplice, fluida, ricca di vocali, che non vanno mai
omesse. E' scritta, come dicevo, in dialetto abruzzese,
anche se risente, logicamente, dei modi espressivi del
dialetto guardiese-chietino, zona di cui Della Porta era
originario.
Adesso la trascriverò e la declamerò in dialetto
sansalvese, cercando di far esaltare nel modo più
possibile la parlata sansalvese.
Vi chiedo solo di fare attenzione a pronunciare le “e”
finali delle parole (scritte in rosso) in modo atono,
quasi come non vi fossero, legate "spente" all'ultima
consonante. Anzi come primo tentativo, consiglio di non
pronunciarle per niente.
Lu Dusténe
E' state mo’, chell'addra maténe.
'Nnénz'a la chìjsce de la 'Ddullùruate
nu vìcchie che sunuàve lu pianéne
diciàve: "Curràte, ne ve n’ abbrúvugnáte
Il Destino
E' successo da poco, l'altra mattina.
Davanti alla chiesa dell'Addolorata
un vecchio che suonava il pianino
diceva: "Avvicinatevi, non vi vergognate!
Non so se ci avete fatto caso, con le "e" finali di ogni
parola, scritte, ma pronunciate in modo atono (tipico
della nostra parlata dialettale), e cercando di adattare
le parole e le sillabe il più possibile al dialetto
sansalvese, aggiungendo al massimo alcuni accenti (che
meritano un discorso a parte) per meglio farne capire la
pronuncia, abbiamo tradotto una quartina di una poesia di
Modesto Della Porta a la salvanàse, rendendola
leggibile e non avulsa dal dialetto abruzzese, da cui
deriva, facendola risultare comprensibile, almeno lo
spero, anche a chi sansalvese non è, che abituato a
leggere in venacolo, può a mio avviso tranquillamente
avventurarsi nella lettura.
Naturalmente non tutte le "e" finali devono essere lette
come sopra indicato.
Le "e" finali accentate (es. tinghe 'na pecuntré -
ipocontria) o troncate con l'apostrofo per i verbi
infiniti (es. stinghe a dilliggere' o a
pajude' - digeri-re), devono essere invece sempre
pronunciate in modo chiaro ed udibile.
Volendo fare un'analogia il sansalvese bisogna scriverlo e
leggerlo un po' come il francese, lingua in cui la "e"
finale si scrive, ma non si pronuncia, è muta, a meno che
non sia accentata (San Salvo in fondo è stata sotto la
dominazione francese e molte parole dialettali ne
derivano).
Sempre restando in tema di "e", non sono sempre solo
quelle finali che non vanno pronunciate, ma può capitare
che ve ne siano altre, anche nel mezzo di una parola, come
nel caso della pèchere (pecora o sbornia), in cui l'ultima
e la penultima, vanno lette in maniera atona. In casi
similari, quindi, entrambe diventano atone nella lettura,
ma vanno sempre scritte per non leggere pecr. In
questi casi il lettore sansalvese, che conosce il proprio
dialetto, una volta abituato alla lettura, leggerà in
dialetto "pecora" con l'esatta dizione che gli è innata,
li frastìre (i forestieri), invece, lo leggeranno
ugualmente, riuscendo a capire che si stava parlando di
una pecora.
Per quando concerne le altre vocali, sopratutto certe "a"
apertissime, tipiche solo del nostro dilaletto, che nel
dialetto abruzzese sono delle "e" come ad esempio la
munnàzze (la munnézze - l'immondizia), la ricchàzze (la
ricchézze - la ricchezza), vale lo stesso discorso. Noi le
leggeremo alla sansalvese, chi è di fuori dovrà
rifletterci un attimino sopra, ma alla fine intuirà che si
tratta di un' inflessione fonetica dialettale tipica del
luogo. Quanto suddetto, mi è capitato personalmente al
primo impatto con le poesie scritte in dialetto vastese.
L'apostrofo invece, oltre al suo uso normale, va usato
generalmente anche ad inizio o fine parola per indicare
che vi è stato un troncamento della stessa operato proprio
dal dialetto come ad es. 'sta giuvunàtte (questa
giovanetta), 'stu magneddúrme (questo intondito)
'sti magnaìffue (questi mangiatori a sbafo) o nel
caso di nomi di persone come 'ndonie (Antonio), o per
scrivere parole troncate all'ultima sillaba come cumbua'
(compare). Stessa cosa avviene per l'articolo
indeterminativo femminile "una" (es. 'na quatrále
- una bambina; 'na sicàrátte - una sigaretta
ecc.)
Per quando concerne invece gli accenti, ritengo, al
contrario di molti, che ne bastino solo due: quello grave
ed acuto, in quanto il circonflesso (^) o altre diavolerie
di segni come la dieresi (ä - ë - ï - ö - ü), mi sanno un
po' troppo di barbarismi, spesso usati a "capócchie"
(a testa di cavolo), senza ragionarci troppo sul loro
esatto significato, come in molti casi mi è parso di
leggere proprio per la dieresi (che andrebbe usata solo
negli iati), creando inutili confusioni al lettore.
Vi sono poi una serie di arcaiche regole fonetiche, che in
questo nostro discorso interessano poco, essendo roba più
da puristi della lingua, che come si sa, non è mai statica
e si adegua ai tempi.
In altri termini la mia regola è questa: scrivi come
parli, mettendoci tutte le vocali, aiutandoti al limite
solo con qualche accento.
Volendo adoperare una similitudine con la musica: lo
spartito deve essere leggibile per tutti, ciò che cambia è
l’interpretazione soggettiva del brano.
Mi fermo qui, non prima di aver fatto un' ultima
necessaria considerazione. Nessuno, nonostante tutti gli
accorgimenti che può adottare, riuscirà mai a scrivere il
dialetto sansalvese così come lo si parla (solo la parlata
è in grado di assicurare l'esatta dizione).
Spetta a chi legge pronunciare, cio' che sta leggendo,
nella esatta dizione dialettale sansalvese e questo
riuscirà a farlo solo un sansalvese autentico (nato o
almeno crisciùte e pasciùte a San Salvo).
In atri termini:"Se si salvanàse ebbéne, si nna' te le
pu' scurdua'! (Se sei sansalvese vero non avrai
difficoltà con la pronuncia del dialetto locale, in caso
contrario non ci riuscirai mai in modo perfetto). Stessa
cosa avviene per i sansalvesi che vogliono parlare
dialetti di paesi vicini.
"E parlate gna' parlave Creste!", disse Mastro
Luigi Di Iorio il sarto, sentendo parlare gli inglesi
durante la guerra.
Secondo Mastro Luigi, Cristo parlave a la salvanàse.
E non aveva tutti i torti considerato che per noi
sansalvesi il nostro paese, addibbrìlle o addàvàre
(falso o vero) è il Paradiso.
Un'ultima considerazione: un tempo la gente italianizzava
il dialetto, cercando di parlare in italiano. Oggi invece
dialettizza l'italiano, cercando di parlare in dialetto.
Ma questo è tutt'altro discorso.
25/8/2015
A La Mareine
di Luigi Anelli
(poesia dialettale vastese)
- Jam' a 'sta vanne, oooh!... chi vo' ccattaje!...
mé' è 'rruuéte 'n derre 'stu panare,
vivi vèive, 'gna è 'sci'ute dalu mare,
tutte risciule, sghimmure e palaje!
Sbrihémece, fijjù', ch' avema faje?...
Vujje tre cuppe, uhè, ca nin è care!
- Dece carlëine!
- Sta a ddece, Vaccare!
vujje trende, pi' ddece l'àjja daje?
Vi' a 'stu quarte, cumbà' Cicchipallätte;
ji vujje vindinêuve!... vindisette!...
vindiquattre!...
- Quattòdece li màtte!
- Sta a quattòdece, e vujje vinditràjje!...
vujje vindiune!... vende!... dicissette!...
- Fàrme! Pi' dicissett' arrest' a mmàjje!
Video
Io e Mario
I racconti di Fernando Sparvieri
Indice Gente, usi e costumi del mio paese
Un libro sul web MA CHI SAREBBERO LI SALVANESE
di Fernando Sparvieri
Indice I forestieri a San Salvo
I racconti del mare
I pionieri del mare ed altro
di Fernando Sparvieri Indice Emilie de Felicìlle
(Emilio Del Villano)