Le tre cérche
(Le tre querce)
di Fernando Sparvieri
Tenax fine anni '50 - Il
campo sportivo in C.so Garibaldi. Sullo sfondo la casa
popolare, ancora esistente.
Quando ero bambino, il pomeriggio della Festa di San Vitale,
mio padre mi portava a vedere la partita di pallone tra la
squadra del San Salvo, che si chiamava Tenax, contro quella di
un paese vicino. Era un avvenimento sportivo eccezionale in
quanto era la partita più importante dell’anno, non essendo
iscritte a nessun campionato di calcio, a livello
dilettantisto, la gran parte di squadre dei paesini della
zona.
Il campo sportivo si trovava alla fine di C.so Garibaldi, dopo
la caserma dei carabinieri, all’incirca dove vi è oggi
l’antica casa popolare, la prima che venne costruita negli
anni '50 a San Salvo dall'allora piccola Impresa Cirulli, che
poi diventerà Azienda Cirulli, avendo rilevato a Montalfano i
terreni di Don Giorgie.
Il terreno di gioco aveva il suo lato corto su C.so Garibaldi,
mentre quello lungo si estendeva a sud, in aperta campagna,
sino ad arrivare dove oggi insiste l’Istituto Commerciale. In
lontananza si intravvedeva la masseria
de li Scirnese (dei
scernesi) e più da vicino quella di Donna Rosa, proprietaria
del terreno, avendolo ereditato dal marito Don Nicola Artese,
che era un fratello di Don Oreste il farmacista, nonché ex
Podestà del paese, famiglia tra le più ricche di San Salvo.
Tutta la zona era disseminata di
cérche (querce).
Orbene proprio lì, alla fine del campo sportivo (lato sud),
dove oggi insiste l'Istituto Commerciale, su un terreno
adiacente di proprietà di
chelle de lu Sinecarille,
che appartenevano ad un altro ramo degli Artese (Artese
Monacelli), vi erano tre cerche (querce secolari). Erano
piantate non molto distanti tra di loro. Quella al centro,
aveva un enorme cavità, simile ad una caverna, dove noi
bambini, nonostante le formiche, vi entravamo dentro per
giocare.
Si diceva che lì dentro andasse a dormire
Giarramìne
(Geremia Ottaviano), che era un povero mendicante di
Fresagrandinaria, piccoletto e malandato, con una coppola in
testa e
‘nghe lu ciuntréne (la cinta dei pantaloni)
che gli penzolava sin quasi alle ginocchia. Il fatto che
quella quercia fosse il rifugio di Geremia quando veniva da
Fràscie
(Fresagrandinaria) , incuteva, nella mia fantasia di bambino,
una sensazione frammista a stupore e timore perché
Giarramìne,
che doveva essere un povero buon uomo, era per noi bambini una
specie di “
pápuscie” (un uomo nero). Avevamo, infatti,
una gran paura di Geremia ed al grido di “
Esse Giarramine!”
(Ecco Geremia), ce la davano a gambe, paura spesso inculcata
dagli adulti per spaventarci e farci rientare a casa.
A ripensarci oggi è proprio vero quel detto popolare che il
cane “
z’àmmàne a lu stracciáte” (s’avventa a persona
malandata), nel senso che erano altre cose a doverci far
paura, come ad esempio qualche mina ancora disseminata nei
terreni, con le quali qualche bambino ci rimise gli arti, e
non quel povero Geremia.
Orbene, o meglio ormale, sotto l'ombra della chioma di quella
grande quercia, che un lieve vento primaverile muoveva ed in
autunno si riempiva di ghiande, sovente si spogliavano anche i
ragazzi della Tenax che indossavano le mitiche maglie
giallorosse della Roma, mentre la squadra ospite in quella
accanto.
Erano i tempi (fine anni '50) in cui giocavano nella Tenax
Michele Molino, funambolico attaccante, Nicola De Luca, detto
Lupo, portiere, poi sostituito da Domenico
Rudéne
(Angelini) e dallo spettacolare Erminio Del Casale, Alberico
Chinni, terzino, Felice Tomeo,(non
Sebon ma suo cugino
orefice), Carlo Cardarella, Nicolino Fabrizio ed altri
ragazzi, tutti di San Salvo, capitanati da Tonino Pacchioli
(capitan Pacchioli).
Erano partite epiche. La gente, intorno intorno alle linee
bianche del campo, che gli stessi ragazzi disegnavano con il
gesso al mattino, seguiva con molto tifo la squadra locale.
Era un calcio antico. Nessuno giocava per soldi. Tra la fine
del 1° e 2° tempo, chi aveva organizzato la partita, girava
intorno al campo sportivo con un cappello capovolto in mano,
con la speranza di racimolare qualche lira, che sarebbe
servita per pagare le spese di viaggio alla squadra ospite.
Un bel giorno però avvenne un fatto inimmaginabile, almeno per
me che ero ancora un ragazzino.
Successe che il campo sportivo venne tagliato in due,
attraversato da una strada bianca brecciata, con tanto di
cunetta.
Le porte del campo sportivo rimasero ubicate una da un lato e
l’altra al di là della strada.
Era imbarazzante vedere quel campo da gioco "
felláte"
(tagliato) da quella strada brecciata, che pareva una
cicatrice sul terreno e ci sentivamo come derisi quando
venivano a giocare le squadre dei paesi limitrofi.
Si giocò ancora per qualche anno a San Vitale in quel campo
ferito.
Spesso la palla veniva contesa dai calciatori dentro la
cunetta e si sospendeva per un minuto circa la partita quando
nu trajéne (un carretto),
tranca tranche (lentamente),
ritornava dalla campagna.
Quella stradina brecciata divenne poi Via Montegrappa.
Fu l’inizio della fine per le tre “
cérche” e di quasi
tutte le altre della zona.
L'ultima delle tre "
cerche" è stata abbattuta qualche
giorno fa per aver contratto una malattia inguaribile, che
l'aveva resa fragile e pericolosa per chi sostava alla sua
ombra.
Il progresso ha modificato tutto, luoghi, usi, costumi e la
vita della gente.
Non basta essere una quercia per sopravvivere a cio' che è
definito progresso.
Fernando Sparvieri 28/3/2015
NOTA:
"Li scirnése", così chiamavano a San Salvo la
famiglia Altieri, perché il capostipide Nicola proveniva da
Scerni.
Tenax fine anni '50 - Il campo
sportivo in C.so Garibaldi. Sullo sfondo si intravede la
neonata Via Montegrappa, ancora brecciata.