La coccie de morte
(La testa di morto)
di Fernando Sparvieri
Il problema per noi bambini era trovare
la chicàccie
(la zucca).
Li chicàccie (le zucche) si mangiavano ed era un vero
peccato sprecarne qualcuna per farvi
'na cóccie de mórte
(una testa di morto).
Qualcuno, però, soprattutto se era figlio di contadini, la
“chicoccia” riusciva a procurarsela, quella di tipo lungo,
meglio conosciuta come zucca napoletana, e così noi bambini,
tutti insieme, potevamo dare sfogo alla nostra creatività,
realizzando in comunione la spettrale creatura ludica.
La “chicoccia”, sezionata in una estremità in modo tale che
si formasse una base su cui poggiasse, veniva ripulita del
suo interno; poi si praticavano due fori, che erano gli
occhi; con un temperino si eseguivano dei tagli fra i due
fori, per realizzare il naso, e sotto il naso gli ultimi
tagli, per fare la bocca. Spesso la realizzazione della
bocca era l'operazione più difficile, perché qualcuno, per
renderla più artistica, la zig-zagava per ricavarne una
specie di dentatura.
Dentro la “chicoccia”, così ritagliata, veniva inserita una
candela accesa (altro oggetto che si reperiva con un po’ di
difficoltà) e la “coccie de morte” era così bella e pronta
per fare il suo macabro sfoggio nelle notte del 31 ottobre ,
in attesa della ricorrenza di “Ognissanti” del 1° novembre.
Più era grande la “chicoccia” e più era motivo di orgoglio e
di vanto da parte dei bambini mostrare la propria coccie de
morte, da guinnes dei primati.
In ogni quartiere ve ne era minimo una. Spesso, invitati dai
compagni di scuola, che abitavano in altri quartieri,
andavamo in frotta, la sera del 31 Ottobre, ad ammirarle in
una specie di peregrinaggio, come quando la settimana santa
si andava con i genitori a fare la visita serale
a li
Sippìluche (ai Sepolcri).
A dire il vero quelle
cóccie de mórte, anche se
eravamo consci che si trattava di tetre creature frutto
della nostra manualità, facevano a noi stessi un po' di
impressione. Quando di notte le illuminavamo all’interno, ci
incutevano incosciamente un certo timore; era come se noi
bambini sfidassimo l’arcano, entrando in una dimensione
lugubre, in un'atmosfera macabra, evocando i fantasmi e
strani presentimenti.
Ma era un attimo. L’ ilarità ed il gioco subito prendevano
dopo il sopravvento, mentre andavamo a nasconderci dietro a
qualche muro per vedere l’effetto che provocava, alla sua
vista, ad un ignaro passante che, trovandosela dinanzi
all'improvviso,
ze jettecave (si spaventava).
In realtà, a quei tempi, erano altri i personaggi misteriosi
che spaventavano noi bambini. Erano entità da incubo, che
seppure frutto della fantasia popolare (ma allora non lo
sapevamo), erano raccontati dai “grandi” e quindi reali. Tra
questi erano famosi
lu puapúscie (l’uomo nero),
l’àrze
menare (l’orso-lupo mannaro),
lu muazzemarélle
(il folletto),
Trac Traccone (una specie di orco) ed
altri personaggi spaventosi di cui sovente gli adulti si
servivano per indurci a fare i bravi.
Anche se mi pare ieri, sono lontanissime quelle serate umide
d'autunno.
Oggi anche la modesta
cóccie de mórte si è fatta di
lusso, si è internazionalizzata.
Come si suol dire, i tempi sono cambiati: con la
globalizzazione sono arrivate le “chicocce americane”.
Quelle italiane, e ce n’erano e ce ne sono ancora tante in
giro, non sono più di moda. Oggi la cóccie de mórte ha
lasciato il posto alla notte di “Halloween”, e si fa festa
grande.
Il consumismo ha cambiato il mondo e le sue tradizioni.
Accanto alle feste religiose, che sono passate in secondo
piano, si festeggiano la santa “festa della donna”, la santa
“festa del papà”, quella della mamma, dei nonni e di
tutte
lu sciuppunate (tutta la parentela) e mica potevano
mancare i parenti defunti!
La modernità ha cambiato gli usi ed i costumi.
La notte di Halloween, grandi e piccini, si vestono da
miscarate (maschere), come a Carnevale. Gli anziani
'n zi jttecajene chìje (non si spaventano più) nel
vedere all'improvviso al buio
la coccie de morte.
Tutt'al più sobbalzano per qualche innocua
bummuàtte
(bombette di fuochi d'artificio) che i ragazzini sparano tra
i loro piedi, per le vie del paese.
Le ragazze, vestite e truccate come streghe, insieme a
ragazzi conciati come il conte Dracula, se ne vanno in giro
sino all'alba nei pub e discoteche, tra musica, che fa bene
ai timpani, fiumi di birra e di alcool, forse per alleviare
il dolore per la dipartita del caro estinto.
E' il progresso. La società si evolve.
Lu papuscie (l'uomo nero) e
l’arze menare
(l’orso-lupo mannaro), ormai sono personaggi estinti e non
incutono più alcun timore ai bambini, che guardano i cartoni
animati e films con zombies, alieni, giocano ai videogames
con mostri e si fanno un sacco di risate. Il lupo di
“Cappuccetto rosso”, animale cattivo di una fiaba giudicata
pedagogicamente antieducativa, al confronto, fa la figura di
un cane randagio.
Come sono lontani i tempi delle chicocce quando alla vigilia
del giorno di Ognissanti, la notte, “la cóccie de morte”,
illuminata al suo interno con una una candela , incuteva in
noi bambini, timore per l’arcano.
Erano altri tempi ed un'altra società.
Erano i tempi in cui, la notte del 31 Ottobre, le nostre
madri accendevano i lumini in casa perchè dicevano che le
anime dei defunti avrebbero fatto ritorno in casa.
Erano i tempi in cui i nostri avi onoravano i morti con
mestizia, alla vigilia del giorno di Ognissanti.
Erano i tempi in cui la gente conosceva un solo Dio... e non
ancora il Dio denaro
Erano altri tempi.
31 Ottobre 2013
Fernando Sparvieri