I carabinieri a San Salvo
(I miei carabinieri)
di Fernando Sparvieri
Ingresso interno della
vecchia Caserma di C.so Garibaldi (Foto di Virginio Di
Pierro)
All'improvviso il blitz.
"Cosa ci fa lei qui !", gli chiese il maresciallo, scendendo
come un fulmine dalla sua auto.
"Faccio il mio dovere", gli rispose Maurizio.
"Come fa il suo dovere!", incalzò il maresciallo.
"Faccio il mio dovere... di onesto cittadino... che si fa la
sua passeggiata serale!", controbattè Maurizio, incespicando
sulle parole, forse pensando che così si conveniva rispondere
per le rime legali ad un maresciallo, non sapendo neanch'egli,
in quel momento, qual buon Dio gli avesse ispirato quella
risposta e né come e né il perché si trovasse all'improvviso
sottoposto a quell' inaspettato interrogatorio.
I due in questione erano Maurizio Caruso, sarto, sansalvese ed
il maresciallo Renato Dal Piaz, altoatesino, comandante della
stazione dei carabinieri di San Salvo dal 21/06/1968 al
31/08/1971. Luogo della vicenda: l'ultima panchina del viale
che attraversando la villa comunale partiva da Via Istonia
sino ad arrivare al cancello della Scuola Media, ora non più
esistente.
Il viale che conduceva da Via
Istonia alla Scuola Media.
Ma cosa era successo.
Per comprendere meglio il motivo è necessario fare un po' di
cronistoria.
Eravamo agli inizi degli anni '70 ed in quel periodo vi era
un'accesa rivalità politica tra i due più grandi big
democristiani d'Abruzzo: l'on. Remo Gaspari (Gissi 1921-2011)
e l'on. Lorenzo Natali (Firenze 1922 - Roma 1989),
quest'ultimo abruzzese d'adozione, essendo cresciuto e vissuto
a l'Aquila, dove suo padre svolgeva la professione di medico.
I due, nonostante militassero entrambi nello stesso partito,
se le davano, sotto sotto, di santa democratica ragione, in
quanto ognuno voleva affermare la propra leadership in
Abruzzo.
Gaspari, per guadagnare consensi elettorali nell'aquilano e
quindi sottrarre voti all' amico rivale, pensò di invitare
alla colonia marina di San Salvo, già frequentata da bambini
dell'alto vastese, anche i bimbi di alcuni paesi della
Marsica, tra cui quelli di Avezzano, Celano e San Benedetto
dei Marsi, circoscrizioni elettorali in cui spadroneggiava
Natali.
La colonia marina istituita nel
1967 - Al centro l'on. Remo Gaspari - Palazzo scolastico
Via de Vito
Il suo piano si concretizzò.
Questi bambini giunsero accompagnati da belle ragazze
marsicane che avevano il compito di assistenti e vigilatrici.
Il giorno andavano al mare. Nel tardo pomeriggio, in fila per
due, prima di cena, sotto lo sguardo attento dei ragazzi del
luogo, passeggiavano per San Salvo.
Essendo già occupato il palazzo scolastico di via de Vito
dall'altra colonia, pranzavano e dormivano nella sede della
Scuola Media, vicino alla villa comunale, vuota per le vacanze
estive.
L'On. Gaspari con altre
personalità varca il cancello della Scuola Media, in
visita ai bambini della colonia dei paesi della Marsica.
Quelle ragazze erano davvero attraenti, belle fanciulle e
così, ad alcuni
scagninútte (ragazzotti) ignoti, venne
in mente di importunarle. Cosa combinavano: scavalcavano i
recinti delle scuole e cercavano di sbirciare, attraverso i
buchi delle tapparelle illuminate, cosa avveniva...
all'interno delle aule destinate a dormitori delle colonie.
Fatto sta che le ragazze se ne accorsero ed avvisarono la
direttrice della colonia, la signora Edda Teresa Sabatini in
Del Plavignano, che allarmata telefonò ai carabinieri.
E fu così che quella sera il maresciallo Dal Piaz, verso le
22:00, scorgendo una sagoma seduta all'ultima panchina del
viale della Scuola Media, temendo si trattasse di qualcuno che
stesse importunando le ragazze, piombò come un falco con la
sua Prinz verde nei pressi del cancello della scuola e lì
trovò seduto l'ignaro ed ultratrentenne Maurizio, celibe, il
quale attendeva che il suo amico coetaneo e altrettanto
scapolone collega sarto Vitale Checchia, con il quale tutte le
sere faceva una passeggiata dopo aver chiuso bottega,
riuscisse dal buio, tra la vegetazione della villa, dove si
era recato a far pipì.
Vitale, che era un tipo a cui piaceva molto scherzare, nel
buio, assistette a tutta la scena, ma si guardò bene
dall'uscire alla vista del maresciallo.
Il blitz terminò subito dopo perché il fatto non sussisteva.
Il maresciallo rigirò la testa alla sua Prinz verde ed andò
via. Prima di farlo, però, come era suo modo di agire, non
volendo lasciare nulla di intentato, convocò il giorno
appresso in caserma l'incolpevole Maurizio, per un
approfondimento di indagine.
E fu allora che Vitale, ridendo a crepapelle, riapparve dal
buio, buscandosi un mezzo rimprovero dall'esterefatto
Maurizio, che ancora sotto choc per l'inaspettato blitz, forse
indispettito dalle risate del suo amico e dal fatto di averlo
lasciato solo nel momento del "bisogno", gli disse: "
E ti
te se pérze a nu bicchijre de sgábbie" (Tu invece ti sei
perso in un bicchiere di vino), a significare che non aveva
avuto il coraggio di uscire.
E secondo me, bene aveva fatto Vitale ad occultarsi.
Il marescialo Dal Piaz, a quei tempi non scherzava mica. Gli
anziani del paese lo ricordano tutt'oggi come il più
"terribile" tra i marescialli che hanno comandato la Stazione
dei Carabinieri di San Salvo.
Il Maresciallo Dal Piaz alla
colonia marina - Alla sua sinistra Felice Tomeo,
segretario D.C. e vicino a lui un giovanissimo Michele
Molino, nghe la muscàtte (con il pizzo)
La verità era che il maresciallo, ligio al dovere, era
intrasigente: non perdonava. Se qualcuno sbagliava, non
c'erano attenuanti: l
e saláve, cioè lo multava senza
remissione di peccati. Ne sapevano qualcosa i ragazzi, la gran
parte
mannébbele, manovali dei muratori, che si erano
comprati le prime motorette 48 di cilindrata, e sopratutto i
contadini, che da poco avevano sostituito
li bistie (asini,
muli e cavalli) con i primi motocoltivatori con il carrettone
dietro, dentro il quale portavano in campagna le mogli sedute
tra gli attrezzi da lavoro.
Succedeva che all'imbrunire molti contadini tornavano dalla
campagna senza luci, non rispettando gli STOP e le più
elementari regole del Codice della Strada. Insomma guidavano i
motocoltivatori come se stessero guidando ancora
le
trajéne (i carretti) e per di più nessuno aveva detto
loro che guidandoli per strada, con il carretto dietro, ci
voleva un patentino.
Ogni sera il maresciallo Dal Piaz ne faceva una strage.
Tutti multati.
La situazione a breve divenne incresciosa tant'è che il
Sindaco pro-tempore Sparvieri pensò di trovare una soluzione e
d'accordo con il maresciallo e l'Ispettorato della
Motorizzazione, organizzò un esame di patente collettivo, che
si svolse una mattina nella illuminata sala consiliare del
Comune, gremita di contadini, con ingegneri esaminatori venuti
appositamente da Chieti, oltre naturalmente alle autorità
dell'epoca.
Grazie a Dio vennero tutti promossi con grande soddisfazione
generale, anche del maresciallo, che a suo dire aveva
raggiunto il suo scopo: quello di evitare incidenti stradali e
salvaguardare così l'incolumità fisica e non solo dei
conducenti, che avrebbero dovuto fare i conti, in caso di
danni a terzi, anche con responsabilità civili e penali.
Contadini durante una
manifestazione in piazza Papa Giovanni.
Primi anni '70. Da sinistra: il
vigile Mario Torricella, il sindaco pro-tempore Evaristo
Sparvieri, Renaldo Altieri, assessore, il maresciallo Dal
Piaz, Ialacci, il vigile Domenico Evangelista.
Passata la tempesta, nonostante la figura del maresciallo Dal
Piaz continuasse a generare sempre un certo timore
reverenziale per via della sua intransigenza (non gli sfuggiva
nulla, ad es. fu il primo ad obbligare i baristi ed i
negozianti di generi alimentari ecc. ad indossare il camice
bianco), il clima tra i sansalvesi ed i carabinieri locali,
tornò ad essere normale, sereno.
E non poteva essere diversamente, visto e considerato che i
rapporti tra i sansalvesi ed i carabinieri locali, sin da
quando giunsero a San Salvo in pianta stabile nel 1949, furono
da subito improntati sul grande rispetto e stima reciproca,
nonostante quel 12 marzo del 1950, quando dopo qualche mese
dal loro arrivo, furono costretti ad intervenire, coadiuvati
da numerosi colleghi (circa 600) venuti da fuori a bordo di
camion e camionette, a causa degli incidenti per l'occupazione
delle terre del bosco Motticce che culminarono con numerosi
arresti (in precedenza i sansalvesi avevano avuto a che fare
con i carabinieri negli anni '30 per la sommossa popolare per
la risaia, in cui furono in molti ad assoporare le patrie
galere, e nel '48 durante la sassaiola contro i vastesi dopo
il comizio di Spataro in Piazza Municipio, ora Piazza San
Vitale, in cui intervenne la celere, per disperdere la folla,
a bordo di una camionetta).
Fatta quindi eccezione per questo episodio di protesta di
massa, capitato subito dopo il loro arrivo, che non era
tuttavia rivolto direttamente contro i carabinieri, ma verso
le pubbliche autorità ed istituzioni dell'epoca, contrarie
all'occupazione di ciò che restava dopo la guerra del terreno
dell'ex Bosco Motticce, e per un altro grave fatto di cronaca
che sconvolse il paese, che vide coinvolti proprio in quegli
anni alcuni giovani, denunciati da una donna di passaggio per
stupro di gruppo, credo si possa affermare, senza ombra di
dubbio, che il popolo sansalvese non ha mai avuto grossi
problemi con la giustizia ed ha sempre nutrito sentimenti di
stima e rispetto per i suoi carabinieri, ritenendoli, sin dal
loro arrivo, una conquista, una sicurezza per l'ordine
pubblico del paese, gli unici paladini della legge.
Carabinieri in alta uniforme
alla Processione del Corpus Domini - anno 1959 - il primo
a dx è il carabiniere Matteo Lozzi.
Ed a proposito di legge, per questo motivo, sopratutto la
gente anziana, negli anni '50 e '60, non li chiamava
carabinieri, ma in dialetto sansalvese
la legge.
E' 'rruvuete la legge (Sono arrivati i carabinieri)
dicevano quando arrivavano i carabinieri per dirimere qualche
questione, oppure
ha passate la legge (sono passati i
carabinieri), si sentiva in giro quando elegantissimi, con il
loro berretto d'ordinanza con lo stemma della fiamma in testa,
le divise nere invernali con i bottoni lucenti e la fascia
rossa ai lati dei pantaloni, le scarpe lucidissime, la pistola
nella fondina e
la balisciàtte (la bandoliera bianca)
con la giberna (portamunizioni), i guanti in pelle stretti nel
palmo di una mano, partivano dalla caserma in C.so Garibaldi,
a lu quarte ammànte (dal quartiere a monte) ed andavano
verso
lu quart'abballe (da via Roma sino
a lu
Calevárie - al Calvario), dove passava anche la
nazionale S.S. 16. (3)
Al loro passaggio si sprecavano i buongiorno. Qualcuno li
fermava per strada per dialogare con loro, per chiedere
opinioni e qualche consiglio in merito a problemi di natura
giuridica. Gli unici che se la davano a gambe erano i bambini,
a cui i genitori avevano detto di rigare dritto, altrimenti i
carabinieri li avrebbero portati alla casa di correzione.
I carabinieri a quei tempi, come in un certo qual modo succede
ancora oggi, si occupavano di tutto, dalla vigilanza del paese
all'ordine pubblico.
Erano chiamati a svolgere i compiti più disparati, sovente al
limite delle loro competenze.
San Salvo, a quei tempi, era un paesino tranquillo, in cui la
delinquenza era per fortuna quasi zero. La gente lasciava
ancora le porte aperte e la popolazione, salvo qualche pecora
nera, era onesta.
Questo non significa però che in quegli anni i carabinieri non
avessero nulla da fare. Anzi. Come si sa ogni mondo è paese e
anche San Salvo non era immune da problemi. Qualche
furtarello, seppure di rado, avveniva sempre ed erano
frequenti in quel periodo le liti, sopratutto di vicinato, con
conseguenti querele,
j'ha date curuéle, che avevano la
loro origine per lo più in campagna
pe' la cumbéne
(per il confine dei terreni), oppure per patti non mantenuti,
offese o per presunti torti ricevuti.
"
Mo' vaje a li carabbinire!" (adesso vado dai
carabinieri) ogni tanto si udiva dire da qualcuno durante una
lite, oppure: "
Ha chiamìte le carrabbinire" (ha
chiamato i carabinieri), diceva la gente quando qualcun altro
richiedeva in loco il loro intervento.
Spesso e volentieri finiva lì, con i carabinieri che fungevano
da pacieri e da giudici. La loro parola era legge, una
sentenza inappellabile, una specie di "limite invalicabile"
che nessuno osava contraddire.
Solo qualche "cocciuto" andava avanti. Allora per le cause
minori vi era il giudice conciliatore (oggi giudice di pace),
che generalmente era una persona del paese incaricata dal
Tribunale, che cercava di conciliare le parti. Il giudice
conciliatore aveva a quei tempi il suo ufficio in IV Vico
Savoia, a lu palazze
de donna Porfide (al palazzo di
Donna Porfida Artese) dove per un periodo vi era stato in
affitto anche il Comune, prima che costruissero la sede
nell'attuale piazza Papa Giovanni XXIII. Solo se la
conciliazione falliva, si passava alle cause vere e proprie
nel Tribunale di Vasto.
Ritornando ai nostri carabinieri, si può affermare che la
storia dell'Arma dei carabinieri a San Salvo, non è molto
antica.
Si può dire che i carabinieri e San Salvo sono cresciuti
insieme nella seconda metà del secolo scorso, in quanto prima
della guerra, la loro caserma stava a Cupello e solo nel 1949,
come già detto, si stabilirono in pianta stabile nel nostro
paese.
Anni '40 - Don Camillo Artese
con un carabiniere della stazione di Cupello da cui da San
Salvo all’epoca dipendeva. In quel periodo erano frequenti
le multe ai conducenti delle biciclette e de li trajéne,
che all'imbrunire andavano senza luci oppure, con la
miseria che c'era, a chi si recava a piedi a fa li
ciàppe (i ceppi) al bosco, che era vietatissimo. Si
rischiava un mese di carcere, se qualcuno veniva acchiappáte
(sorpresao) dalla guardia boschiva locale.
Foto di gruppo dinanzi alla
vecchia caserma di C.so Garibaldi. Il maresciallo Di Biase
al centro.
La prima caserma era ubicata in C.so Garibaldi, quasi
all'estrema periferia del paese, dopo la chiesa di San Nicola,
che stava sempre chiusa non essendo stata ancora istituita la
Parrocchia di San Nicola Vescovo (nel dopoguerra la chiesa
venne adibita ad asilo gestito dalle monache comboniane,
coadiuvate dalle sansalvesi
za' Deline e za' Ntuniàtte -
Adelina ed Antonietta Petrucci).
La caserma era una bella palazzina, di proprietà di un ricco
possidente terriero originario di Napoli e residente in
Palmoli, un certo signor Nicola Preta
(lu cavalìre lo
chiamavano a Palmoli), che realizzò, come costruttore, anche
il palazzo scolastico in Piazza Municipio (ora Piazza San
Vitale). Era destinata originariamente ad abitazione tant'è
che, qualche mese prima dell'arrivo dei carabinieri, fece il
compromesso per comprarsela
Ntunìne Tascaùne, (Antonio
Tascone), primogenito di Vito, la cui famiglia abitava sotto
a
lu Munuménte, il quale intendeva andarci ad abitare con
la sua famiglia. L'atto con
Ntunìne non venne
stipulato a causa della Provincia che fece saltare il
compromesso. Restituirono la caparra a
'Ntunine, e
venne destinata a caserma dei carabinieri.
Il primo comandante fu il brigadiere Luigi Di Iorio, da non
confondere con il carabiniere sansalvese
Luéggie de
Margaréte, così chiamato dai compaesani perché sua madre
si chiamava Margherita, che era un pezzo d'uomo, alto quasi un
metro e novanta, che abitava all'angolo di Via Roma/Via
Firenze, congedatosi con il grado di maresciallo dopo aver
svolto negli anni '40 servizio in Liguria e precisamente a La
Spezia (nella foto sopra è al centro, con il vestito grigio,
tra il maresciallo Di Biase ed il dr. Vitaliano Ciocco).
Ne seguirono naturalmente altri di comandanti. Il primo che io
ricordo, ero un bambino, è il brigadiere Dino Vannin,i che
svolse servizio a San Salvo dal 17/10/1953 al 31/12/1960.
Elegantissimo e dal portamento fiero, era anch'egli un pezzo
d'uomo ed aveva una fluenta barba nera che gli valse il
soprannome di
moschettàune, grande moschetta. Si
racconta che questo brigadiere, quando arrestava qualche
ladruncolo locale, gli metteva una catenella ai polsi e gli
faceva fare una salutare ora d'aria, facendogli fare una bella
passeggiata dalla Caserma
a lu Calevárie (al Calvario)
e viceversa, esponendolo così al pubblico ludibrio.
Il maresciallo Vannini, detto "muschettaune",
durante la processione di San Vitale - anno 1958, mentre
tiene lu pézze a lu prédde (bordo abito
talare al prete), insieme al Sindaco pro-tempore Enrico
Vitale Piscicelli, che tiene l'altro bordo.
Il brigadiere Vannini nel settennio di sua permanenza a San
Salvo, andò ad abitare con la famiglia nella palazzina de
Donn' Andonie
lu ruàfece (don Antonio Vicoli,
l'orefice), la prima casa a destra salendo da Via Fontana per
Via Savoia, dove per un periodo vi dimorarono anche le suore
comboniane, casa che successivamente venne acquistata da
Checchia Vito, dove sino agli anni 70' ebbe la bottega da
sarto anche suo figlio Vitale, protagonista insieme a Maurizio
della prima parte di questo racconto.
Il maresciallo Vannini aveva due figli, Paolo e Piero, i
quali, da quel che raccontano in giro i loro amici coetanei,
con alcuni dei quali continuano ad avere corrispondenza, pare
apprezzassero molto la cucina contadina.
Ed a proposito dei figli dei carabinieri, in un paese in cui
le donne partorivano in casa, videro la luce a San Salvo altri
bambini, frutto del loro dovere dei padri, in questo caso,
coniugale. E' il caso, tanto per citarne alcuni, di Paola,
Mario e Annamaria Mancini, figli dell'appuntato Emidio, che fu
uno dei primi carabinieri negli anni '50 di stanza a San
Salvo. Nacquero tutti in una casa vicino Largo Amistà (attuale
Piazza Europa).
Loro padrino e madrina di battesimo furono Don Gustavo Cirese
e donna Menina (Filomena) De Vito, figlia di Don Gaetano,
bellissima coppia purtroppo prematuramente scomparsa negli
anni 50.
I figli dell'appuntato Mancini non hanno mai dimenticato il
loro paese natio a cui sono tuttoggi legatissimi da un cordone
ombelicabile impossibile da rescindere. L'amico Mario, che
oggi vive a Roma, ogni qualvolta ritorna a San Salvo, mi
chiede di accompagnarlo sotto la casa in cui diede i primi
vagiti, dinanzi alla quale quasi si commuove come un bambino
ricordando i suoi affetti e la sua fanciullezza.
L'appuntato Emidio Mancini in
borghese a destra il giorno del battesimo della sua
ultimogenita Annamaria. Seguono da dx la madrina signora
Filomena De Vito, il padrino dott. Gustavo Cirese e la
levatrice Donna Emma Frasca. Con il cappellino intesta la
figlia Paola, la primogenita, ed al suo fianco il piccolo
Mario.
Altro carabiniere degli anni '50 primi anni '60 che i
sansalvesi di una certa età ricordano con grande stima ed
affetto è Nicola Carrisi, pugliese anch'egli uomo robusto, che
incuteva sicurezza ed aveva grande senso del dovere. I
sansalvesi lo chiamavano
Nicoline. Sapeva tenere le
giuste distanze, ma nel contempo era di una disponibilità più
unica che rara. Ero un bambino e lo vidi rincorrere a piedi di
gran carriera un tizio, un giovane forestiero, segnalatogli da
qualche cittadino come un ladro. Lo catturò e lo portò in
caserma. Fu quello il momento in cui mi resi conto cosa
significava essere carabiniere.
In primo piano Nicola Carrisi,
segue Emidio Mancini. Si intravede nella foto il
brigadiere Dino Vannini, con la sua famosa moschetta.
E come non citare i nostri carabinieri più recenti, dico
nostri perché più di tutti sono rimasti nel cuore dei
sansalvesi. Mi riferisco ad Angelo Carlino da Racale (LE),
classe 1928, l'uomo più veloce che io abbia mai visto
dattilografare con la macchina da scrivere (era uno spettacolo
ritmico vederlo all'opera con la vecchia Olivetti), il
bravissimo Giuseppe Gravina (1932) da Rignano Garganico (FG),
un vero pezzo di pane, l'elegantissimo Adolfo Greco (classe
1931) da Martignano (LE), e non per ultimo Pietro Pepe da
Motta Montecorvino (FG), altro bonaccione, i quali, dopo il
congedo decisero di restare qui.
(1982) Il maresciallo Michele
Cucinella a destra ed a sinistra l'appuntato Angelo
Carlino.
Gli appuntati Pietro Pepe, a
sinistra, e Giuseppe Gravina durante un servizio di
pattugliamento
L'appuntato Pepe controlla i
documenti, a mastre Sèlve lu barbìre o varvìre
(Silvio Colameo, barbiere).
Questi antichi carabinieri di ieri ci hanno visto crescere e
qualche volta, da buon padri di famiglia, oltre a qualche
multarella, ci hanno fatto anche qualche ramanzina,
perdonandoci colpe di gioventù.
Qualcosa, noi sansalvesi, ormai di una certa età, la dobbiamo
anche ai loro insegnamenti: il rispetto verso la legge, le
istituzioni ed il senso del dovere.
Ed a proposito del dovere, forse anche per questo motivo,
l'incolpevole Maurizio il sarto, alla domanda del maresciallo
Dal Piaz che gli chiedeva cosa ci facesse alle dieci si sera,
di una serata estiva, seduto all'ultima panchina del viale
della villa che conduceva alla Scuola Media, gli rispose per
le rime legali, forse pensando che così si conveniva
rispondere ad un maresciallo, dicendogli:
"Faccio il mio dovere".
Fernando Sparvieri
Segue un elenco dei comandati della Stazione dei carabinieri
di San Salvo dal 1949 ad oggi, gentilmente fornitomi dal Brig.
MASTROIACOVO Alfonso, nativo di Trivento ma sansalvese
d'adozione.
Galleria fotografia
(clicca sulla foto)