Quando veniva la banda
di Fernando Sparvieri
L’arrivo in piazza della “
casciarmoniche” (cassa
armonica), qualche giorno prima della ricorrenza di San
Vitale, era il segno che la festa era imminente ed in noi
bambini era gioia grande.
Ve ne erano due di “
casciarmoniche” che venivano verso
la fine degli anni '50 a San Salvo. Una era coperta,
bellissima, che la sera si illuminava, dando mostra di tutto
il suo splendore. L’altra invece, scoperta, aveva delle luci a
forma di sfere sulle travi portanti, con cetre intarsiate sui
parapetti. Il suo padrone era un omino di Vasto, magro, con i
capelli e la camicia bianca o quasi, che non sorrideva mai,
anzi ci sgridava facendoci scappare quando noi bambini vi
salivamo sopra.
I padroni della cassa armonica ci parevano delle persone
fortunate, perché, secondo la nostra immaginazione, avevano
scelto un mestiere in cui facevano sempre festa. A pensarci
oggi, poveracci, dormivano di notte sotto la cassa armonica e
si svegliavano al mattino senza neppure lavarsi bene la
faccia.
A seconda della cassa armonica che arrivava, si riusciva ad
intuire come sarebbe stata la festa. Quando arrivava quella
coperta significava che "
li dibbutéte" (i deputati),
avevano raccolto più soldi e quindi ci sarebbe stata una gran
bella festa, mentre se ad arrivare era quella scoperta, si
deduceva che i festeggiamenti sarebbero stati in tono minore.
La scelta della cassa armonica, inoltre, era legata, ma non
sempre, anche all'importanza del santo: a San Vitale e San
Rocco, che si festeggiavano per due giorni, veniva quasi
sempre quella coperta, mentre a San Nicola, a San Vito e Sant'
Antonio, che si festeggiavano un solo giorno, la cassa
armonica era quella senza la copertura.
Erano i tempi in cui la musica vera la si ascoltava
gracchiante solo sulle onde corte e lunghe delle radio, che di
notte fischiavano, o su primitivi grammofoni, e non c’era
ancora la televisione. L’arrivo della cassa armonica era il
preludio che di lì a poco sarebbe arrivata la banda, che era
l’unico modo vero che aveva la gente per ascoltare la musica
dal vivo
La banda! Quanti ricordi della mia infanzia legati alla banda.
Arrivava di buon ora, la mattina della festa a bordo di
'na
pustale (autobus) che portava sul cruscotto il nome del
complesso bandistico della città da cui proveniva.
Erano bande grandiose, quelle di quei tempi; venivano dalla
Puglia, da Bari, Trani, Acquaviva delle Fonti, Conversano,
Lecce, ma anche dall’Abruzzo, che in fatto di tradizioni
bandistiche non era seconda a nessuno. La banda di Chieti, ad
esempio, era famosissima nel mondo perché durante l’era del
fascio rappresentò l'Italia nel mondo, e molto note erano
anche quelle di Lanciano, diretta dal celebre maestro
Centofanti e di Casalanguida, forse la banda rimasta più
impressa nella memoria collettiva.
Al suo arrivo, la piazza, prima di allora immersa in un
bucolico silenzio, incominciava come per magia a risuonare del
suono degli strumenti a fiato, che bandisti sparsi in giro
riscaldavano prima di schierarsi e vi era una gran confusione
di suoni: note di clarino che si mischiavano a squilli di
tromba, “pernacchie” di tromboni frammisti a note di flauti,
sassofoni.
Poi, d’un tratto, dopo un colpo d'artificio, che annunziava
l'apertura ufficiale della festa, si udivano due colpi di
grancassa: era il segnale dell’adunanza della banda. Il capo
banda, quando tutti erano schierati, dava l’attacco ed
improvvisamente, come d’incanto, tutte quelle note sparse si
ricomponevano nell’aria e l’armonia si impadroniva magicamente
della piazza, con i bandisti che iniziavano a marciare per il
paese.
Era uno spettacolo vederli marciare. Con i berretti e le
divise, bandisti di tutte le età e corporature, chi grasso,
chi magro, chi con camminatura elegante, chi un po’ zoppo,
tutti a passo, passavano suonando sotto l’Arco della Terra,
dove il suono diventava ancora più possente, e marciavano
verso C.so Garibaldi o C.so Umberto, preceduti
da li
debbutete (dai deputati) tutti
arcagnìti, cioè
con l’abito buono, che era quasi sempre vecchio di qualche
anno, che quel giorno si sentivano orgogliosamente
protagonisti.
La gente, richiamata dalla musica, si affacciava alle finestre
e l’aria di festa si impossessava magicamente del paese.
Quanto mi piaceva andare dietro la banda! Io, che la musica
l’avevo nel sangue, la seguivo ovunque. Se qualcuno mi avesse
chiesto: “Che mestiere vorresti fare da grande?”, avrei
risposto il bandista.
Ricordo che ero talmente preso da quella musica che, a fianco
dei bandisti, facevo la spola innanzi e indietro alla banda
che marciava. Per ascoltare i vari strumenti mi portavo
dapprima davanti, dove suonavano i clarini e poi, piano piano,
mi facevo superare dai bandisti in marcia, tendendo l’orecchio
verso i flauti, i sassofoni, i flicorni, le cornette, i
bombardini, i tromboni.
La mia grande passione, erano i bassi americani (susafoni),
quegli ottoni monumentali schierati sempre all’ultima fila,
che scandivano con il loro suono grave il ritmo dì
accompagnamento insieme al rullante, alla gran cassa ed ai
piatti, sovente in contrattempo.
La seguivo sempre, la banda, ovunque andasse, persino durante
la processione, quando suonava “Mira il tuo popolo”, che
partiva con una tonalità in minore per poi esplodere
divinamente, senza alcun preavviso, nel punto “Oh Santa
Vergine”, alla sua fondamentale relativa maggiore, aprendo
l’anima ed il cuore.
La sera, poi, il gran concerto finale, era impedibile.
La banda suonava l’ ”Opera” , ed autentici capolavori, come il
Nabucco, l’Aida, la Traviata, Il Barbiere di Siviglia, la
Cavalleria rusticana, erano i pezzi forti. L’atmosfera che si
creava in piazza era da favola. La gente si portava le sedie
da casa ed ascoltava la banda in religioso silenzio.
Alla fine, quando terminava il concerto, era un via vai di
persone che tornavano a casa, ognuna con la sua sedia, mentre
un trombettista si recava a “
lu Luàmmete” (attuale Via
Trignina ove oggi sorgono i palazzi costruiti da lu “
Rumuane”
Giorgio La Rocca dove vi è il Banco dell’Adriatico), per
avvisare il fuochista, con uno squillo di tromba, che poteva
partire il fuoco d’artificio in aperta campagna.
Era la fine della festa. Dopo
lu spuáre (fuochi
artificiali), ed un ultimo giro della banda che per salutare
il popolo, verso mezzanotte, marciava schierata lungo C.so
Garibaldi, il silenzio ed un velo di tristezza si
rimpossessavano di me e del piccolo paese.
Ora la musica moderna ed elettronica la fanno da padrone. La
gente si scatena dietro ritmi musicali realizzati da computer
senz’anima. La musica è diventata figlia del consumismo e vi è
un’inflazione musicale e sonora spaventosa. Ovunque vi è un
bombardamento sonoro: nei bar, nei negozi, nei supermercati;
vi è fracasso ovunque. Povera musica, che brutta fine hai
fatto!
Come sono lontani i tempi e le atmosfere di quando le grandi
bande suonavano alla processione “Mira il tuo popolo” partendo
con una tonalità in minore per poi esplodere divinamente,
senza alcun preavviso, nel punto “Oh Santa Vergine”, alla sua
fondamentale relativa maggiore, aprendo l’anima ed il cuore.
25 luglio 2013