I due miracoli di
Sant'Antonio
(Leone Balduzzi)
di Fernando Sparvieri
Tempo addietro, navigando sulla piazza virtuale di “Sei di San
Salvo se...” del gruppo locale di Facebook, sono rimasto
piacevolmente affascinato da una foto, pubblicata da Gianni
Pepe, che ritrae la statua di Sant’Antonio, in processione, in
Via Roma, scortata da due carabinieri, di cui quello a
sinistra è il compianto appuntato Pietro Pepe, papà di Gianni,
ed a destra l’altro appuntato Angelo Carlino, recentemente
scomparso, entrambi storici e tra i più amati carabinieri
“sansalvesi”.
Quella statua, ritratta in occasione di una festa di
Sante
Véte e Sant’Antonie, che si celebrava ogni anno a San
Salvo il 16 e 17 giugno, portata a spalla da quattro persone,
tra cui, in seconda fila sulla destra, si riconosce
Zi'
Peppine Facatazze (Giuseppe Di Francesco), dietro il
quale si intravede appena la tonaca di Don Cirillo Piovesan,
il prete, ha risvegliato in me antichi ricordi, facendomi
ripercorrere a ritroso negli anni, una giornata particolare
della mia fanciullezza.
Ciò che vi racconterò è una storia di fede religiosa e nel
contempo misteriosa.
Correva l’anno 1964 e San Salvo contava all'incirca 4.500
anime.
Erano i tempi in cui la S.I.V. era in costruzione, l’economia
locale era ancora prettamente agricola. Non c’erano
ancora le ricche coltivazioni di pesche che caratterizzarono i
successivi anni '70, anche se qualche soldo iniziava a vedersi
nelle tasche dei sansalvesi con la vendita allo zuccherificio
di Chieti delle barbabietole da zucchero. Tanto per rendere
l'idea lo stipendio mensile di un operaio generico in Italia
ammontava all'incirca a 50.000 lire e a San Salvo era ancora
abbastanza diffusa, in molte famiglie, per necessità, l'uso di
fare
credenze (derivaz. da credere: credimi, ti
pagherò appena ne avrò la disponibilità),
A risentirne di questa scarsa disponibilità di denaro in
contanti, era di conseguenza il settore del commercio, troppo
subordinato alle "credenze", che ponevano di sovente i
negozianti in una condizione di difficoltà a pagare i
fornitori ed i grossisti che rifornivano di merce i propri
negozi al minuto.
Leone Balduzzi, all’epoca commerciante all’avanguardia di
tessuti e generi alimentari, alle prese anch'egli in certi
periodi con qualche
credenza di troppo,
sopratutto
derivanti dalla vendita delle doti delle spose, era molto
devoto a Sant’Antonio.
Questa sua devozione gli era stata trasmessa in eredità
spirituale da
Zi’ Angele, suo padre, che lo aveva
lasciato orfano quand'egli era ancora un bambino, il quale
aveva in casa un antico quadro di
Sant’Antonie. Leone
era cresciuto insieme a questo quadro, che sin dall'infanzia
gli era stato compagno e presenza costante nella sua vita.
Devotissina del santo era anche sua madre, mamma
Valina
(Vitalina Granata), la quale, quando recitava il rosario,
nelle sue preghiere ne invocava sempre la protezione.
A rafforzarne ancor più la devozione in famiglia contribuì,
dopo il matrimonio, anche sua moglie
‘Ntonétte
(Antonietta Terreri). Era nata il 17 gennaio del 1923, stesso
giorno della nascita di Sant’Antonio Abate, e lei, a cui i
suoi genitori le avevano imposto il nome al femminile del
santo, aveva creato in casa un altarino in cui
primeggiava, in bella evidenza, una statuetta di Sant’Antonio
di Padova. Ne era talmente devota
Antonietta che
quando, con il sopraggiunto e diffuso benessere economico
degli anni '70 -'80, iniziò la moda di andare in ferie in
qualche località turistica, pregava il marito di portarla
sempre ad Abano Terme, a due passi da Padova, in modo che
potesse recarsi annualmente in pellegrinaggio nella basilica
patavina del Santo.
In un contesto familiare religioso di questo tipo, in cui la
presenza spirituale di Sant’Antonio si respirava in ogni
angolo di casa, è facile intuire come per
Lilline
(così chiamavano i sansalvesi Leone), Sant’Antonio
rappresentasse da sempre una figura religiosa molto
importante, a cui rivolgere le sue preghiere nelle difficoltà
ed invocarne la protezione.
E Sant’Antonio lo protesse.
Successe che una sera, mentre Balduzzi tornava da Vasto con la
sua auto, una FIAT Giardinetta, con la quale ogni sabato sera
si recava per consegnare all’Agenzia Massacesi le matrici
delle schedine del totocalcio giocate nella sua ricevitoria,
per poco non restò coinvolto in un brutto incidente stradale
con un camion, che lo spaventò molto.
“
Sant’Antonie me’!” (O mio Sant’Antonio!), esclamò in
quei terribili istanti, vedendo la morte in faccia.
Ancora sconvolto, attribuì al Santo lo scampato pericolo,
decidendo di rompere gli indugi e di esaudire un suo
ricorrente ed antico desiderio, condiviso per anni con la
moglie: quello di donare alla Chiesa di San Giuseppe, una
nuova statua di Sant’Antonio.
Ne parlò con Don Cirillo Piovesan che ne fu entusiasta.
Balduzzi ordinò la statua.
Ma ahimè! Purtroppo per Don Cirillo, iniziarono giorni tristi.
Il 20 Aprile del 1964, alcune frange della popolazione
iniziarono a contestarlo aspramente, con manifestazioni di
piazza. Vi era un antico astio politico nei suoi confronti,
mai sopito, derivante sopratutto dal fatto che Don Cirillo,
con i suoi giovani dell’azione cattolica, era stato il
fondatore della Democrazia Cristiana, e questo fatto, insieme
ad altri episodi, definiti dai suoi nemici come malefatte,
avevano riacceso una miccia mai del tutto spenta. Lo
accusavano di aver cacciato prima le suore che gestivano
l'asilo di Via Firenze e poi successivamente anche Don
Beniamino Sonda, suo giovane vice parroco, tra l’altro suo
conterraneo.
Don Cirillo, dopo giorni e giorni di contestazione, passati
alla storia sansalvese come "
Lu sciopere contre a Don
Cirille", fu costretto suo malgrado a fare ritorno in
Veneto, nella sua Mussolente (VI). Ricordo la sua partenza,
come fosse oggi. Era un pomeriggio di sole. Ad accompagnarlo
alla stazione di Termoli, dove prese il treno, fu mio padre,
suo grande amico, con il suo 1100 FIAT nero (CH 27708). Con
loro, andammo anch'io, che avevo appena compiuto 11 anni, e
mia madre. Fu una scena molto triste vederlo affacciare al
finestrino di un vagone e con un fazzoletto bianco salutarci,
mentre il treno andava via.
Il suo esilio non durò a lungo.
Per farlo tornare, un gruppo di suoi amici, tra cui mio padre
che ne fu il promotore, Balduzzi, Virgilio Cilli ed altri,
iniziarono a fare una raccolta di firme, a cui aderì la gran
parte dei fedeli. La lettera venne spedita al vescovo di
Chieti con la speranza che sortisse l’effetto di dimostrare
che in fondo non tutta la popolazione gli era contro, ma solo
alcune frange e Don Cirillo tornò.
Non furono, tuttavia giorni facili, per lui.
I suoi contestatori, appresa la notizia del suo ritorno, non
si diedero per vinti. Lo attesero di primo mattino dinanzi
alla chiesa di San Giuseppe, alcuni seduti su sedie
impagliate, come in un bivacco. Don Cirillo, passò in mezzo a
loro, ma a parte qualche sguardo truce, non successe nulla.
Don Cirillo entrò, sano e salvo in Chiesa, e disse messa.
La brace, però, covava ancora sotto la cenere.
Bastava un nonnulla, per far riaccendere il fuoco.
Ed ecco un bel giorno, Balduzzi, ricevere la notizia che era
arrivata alla stazione ferroviaria di San Salvo, la nuova
statua di Sant’Antonio.
Il suo entusiasmo salì alle stelle.
Chiamò mio padre e gli chiese di accompagnarlo alla stazione.
Salimmo sulla Giardinetta di Balduzzi anch’io e suo figlio
Ivo, entrambi ragazzini. Prima di partire, si aggregò
all'ultimo momento anche sua figlia Angiolina, la primogenita,
in lacrime, perché, nonostante fosse signorinella, qualcuno le
aveva detto di restare a casa.
Partimmo.
A dire il vero, non compresi subito il motivo di
quell’inaspettata gita mattutina in Giardinetta. Spesso
Balduzzi, da sempre amico di mio padre, gli chiedeva di fargli
compagnia, quando il sabato sera si recava a Vasto a portare
le schedine all'agenzia zonale del Totocalcio Massacesi, e
spesso mi avevano portato con loro, ma dove andassero quel
mattino lo ignoravo.
Quel giorno presero la strada della stazione ferroviaria,
ancora immersa in una quiete bucolica, nonostante fosse in
dirittura finale la costruzione della SIV.
Era una bella giornata di sole. L’estate era alle porte.
Arrivati alla stazione, scendemmo
dall’auto e Balduzzi, dopo aver parlottato con il
capostazione, ci condusse in un deposito merci, che era
proprio accanto al localie biglietteria.
Lì, tra pacchi e pacchetti, vi era una grande cassa di legno,
grezza, da imballaggio. Cosa contenesse però lo ignoravo. Mio
padre, figlio di falegname, tirò fuori un martello, che si era
portato da casa, e con colpi secchi, dal basso verso l'alto,
iniziò a schiodare le assi della parte superiore della cassa.
Una visione sublime ed irreale, che suscitò in me, a
prima vista, un senso di paura e di impressione si presentò
dinanzi ai miei occhi quando, tolto il coperchio, tra
récce
e riccitìlle (trucioli di legno), apparve una statua.
Era lì, allungata, immobile, come un morto in una bara: era la
statua di Sant’Antonio di Padova.
“Bellissima statua”, commentarono felici e soddisfatti
Balduzzi e mio padre.
Ma la felicità non durò a lungo, lasciando subito il posto ad
una inaspettata sorpresa. Balduzzi, prese una busta, che era
lì, dentro la cassa, l’aprì e sbiancò in volto. Aveva pattuito
con la ditta fornitrice Goffredo Moroter & figli di
Ortisei, che avrebbe pagato la statua a rate ed invece,
probabilmente a causa di un malinteso, la fattura prevedeva
che l’importo doveva essere saldato in unica soluzione, entro
pochi giorni. Costo della statua £. 206.000 .
La sua gioia si tramutò all'improvviso in seria
preoccupazione.
Tornato a casa ne parlò con
‘Ndonétte, sua moglie, che
lo rincuorò dicendogli di non preoccuparsi. Insieme avrebbero
trovato una soluzione.
Nel frattempo, la notizia si era sparsa in giro, ed iniziarono
i preparativi per portare su, in paese, la statua, che era
rimasta lì, in stazione.
Insieme a Don Cirillo, che era tornato a San Salvo da qualche
settimana, decisero di dare maggiore risalto all’evento,
organizzando una corteo di automobili che avrebbero
accompagnato la statua del Santo, con partenza dalla stazione
ferroviaria sino al suo arrivo in Chiesa.
Balduzzi, però, nonostante il suo coinvolgimento emotivo e
totale in questa sua iniziativa, non riusciva ad essere
sereno.
Dove avrebbe trovato i soldi, tutti in contanti, per pagare la
statua?
Quelli che aveva non bastavano.
Andò a letto, la sera prima, con questo pensiero in mente e fu
una notte, per molti versi, insonne. Iniziò a rigirarsi nel
letto, ma nulla da fare.
'Ndonétte se ne accorse e gli disse: "Dormi Lilli'!
Vedrai che
Sant'Antonie ci aiuterà".
E Sant'Antonio li aiutò.
La sfilata di automobili, nel pomeriggio del giorno dopo,
partì dalla stazione. Decine e decine di automobili, si misero
in fila dietro ad un 1100 blu a camioncino, che da poco aveva
acquistato di seconda mano
Nine lu napuletane (Nino
Iannace), vicino di casa di Balduzzi, sul cui cassone,
addobbato a festa con lenzuola ricamate ed ornate con pizzo e
merletti, venne collocata tra i fiori la nuova statua di
Sant’Antonio.
Salì sul cassone anche Don Cirillo Piovesan insieme a qualche
chierichetto.
La statua al vento, con i capelli scompigliati di Don Cirillo,
passò dinanzi alla SIV, ancora in costruzione, proseguì verso
lu Vurrìcce, risalì l’attuale Via Trignina (ex SS.16),
girò a
la curve de la mammene,
a la curve de la
Innarille, ed arrivati
a lu stop in salita in
Via Roma, nei pressi dell'oreficeria Piscicelli, tra ali di
folla e campane che suonavano a festa, stava per immettersi in
Via Roma, verso il Monumento ai Caduti, per recarsi in Chiesa,
quando Don Cirillo... picchiò con due dita al finestrino
posteriore del camioncino e disse
a Nine lu napuletane,
che conduceva il mezzo, di allungare il giro.
Nino, sempre seguito dal corteo di automobili con i clacson
festanti, con la gente che si affacciava sull'uscio delle
porte ed alle finestre, mentre Don Cirillo,
nghe lu
sacramente in mano, tra gli applausi, come un papa sulla
papamobile, benediceva a destra e manca, proseguì su Via Roma,
C.so Umberto I, ed invece di girare sotto a
la Porte de la
Terre, per rientrare in chiesa, proseguì a destra su
Corso Garibaldi, passò dinanzi alla vecchia caserma dei
carabinieri, all'epoca estrema periferia del paese, imboccò
Via Circonvallazione (attuale V.le Duca degli Abruzzi), girò
verso
lu Calevarie (il Calvario), ripercorse tutta Via
Roma, di nuovo C.so Umberto I, per girare infine sotto
a
la Porte de la Terre, fermandosi dinanzi alla Chiesa,
gremita di fedeli.
Si era compiuto il primo “miracolo” di Sant’Antonio: quello di
aver riconciliato per sempre Don Cirillo con il suo popolo.
Il secondo “miracolo” ?
Balduzzi giocò una schedina al totocalcio e vinse esattamente,
né una lira in più, né una lira in meno, l’esatto importo del
costo della statua.
4 gennaio 2017
La statua di Sant'Antonio, al
suo arrivo nella Chiesa di San Giuseppe
Leone Balduzzi con sua moglie Antonietta Terreri