Vedendo proprio in questi giorni,
un'antica foto della vecchia Chiesa di San Giuseppe, è balzato
immediatamente ai miei occhi, un addobbo funebre di colore
nero, con finimenti dorati, che negli anni '50, nella giornata
in cui vi era
lu mórte (un funerale),
Uggénie lu
sagrastane (Eugenio De Francesco, il sagrestano),
collocava dinanzi al portone d'ingresso della chiesa. Stesso
addobbo, facente parte della serie, veniva collocato, sempre
da
Uggénie, appena veniva a sapere
ca z'ave' morte
cacchedìiune (che qualcuno aveva reso l'anima a Dio) sul
portone della casa del defunto, in segno di lutto.
Erano addobbi, quelli, che rendevano l'aria cupa, anche se
c'era il sole. E poi, sentire per ore e ore
, che la cambane
che sunave a morte (quei rintocchi della campana che
suonava a morto), finivano a
chiude l'opere (a
chiudere l'opera), nel senso che
rendevano ancor più
triste l'atmosfera di lutto che si impossessava dell'allor
piccolo paese.
A quei tempi non era come oggi, che per tramite facebook,
arrivano le ferali notizie delle persone decedute.
C'era la campana.
"Chi z'ha vulute muré'?" (Chi sarà morto), era la prima
domanda che si ponevano tra i vicoli, sopratutto le
donne anziane, ai primi rintocchi.
"
Ni saccie", rispondeva quasi sempre l'interpellata di
turno, sopratutto se il morto era fresco (recente).
"
Dece ca ze vuléve muré'..." e lì iniziavano le
supposizioni, di chi potesse essere il morto, facendo nome e
cognome di una persona che avevano sentito dire che stava
a
muretàure (malissimo) e quindi "
ze vuléve muré'", inteso
non come desiderio di morire, ma con il significato che stava
per rendere l'anima a Dio.
E qui, per meglio rendere l'idea, lascio la parola a
Sebastiano Valentini.
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Vi era una differenza sostanziale all'epoca tra i funerali dei
ricchi e quelli dei poveri, che il tempo ha parzialmente
cancellato.
Il morto ricco riceveva un funerale in pompa magna, con tanto
di corone di fiori e carrozza funebre, che l'aveva
Valérie
(Valerio Torricella), anche se non era di sua proprietà,
ma di un'impresa di pompe funebri di Vasto.
Il poveraccio, invece, lo portavano a spalla e non vedevano
l'ora di scaricarlo, ma non solo quelli che trasportavano la
bara, ma anche gli altri che li seguivano: tutti avevano
fretta di tornare prima degli altri a casa del defunto per
dare le condoglianze ai familiari. Così si usava.
I familiari del defunto facoltoso, chiamavano "il Capitolo",
che era una lunga fila di frati e fraticelli del convento
dell'Incoronata di Vasto, che precedeva il feretro durante i
funerali. Davanti andavano, in fila per due ed in ordine di
altezza,
le municiarílle (i fraticelli), bambini
vestiti da frati, che frequentavano il collegio
dell'Incoronata, mentre dietro
le munície (i frati
anziani). Durante il corteo funebre, recitavano le preghiere.
E qui lascio la parola a Pasqualino Cilli.
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il 19 Ottobre 1959 un grave
lutto colpisce San Salvo. Il dott. Gustavo Cirese, medico,
segretario DC, perisce in un tragico incidente stradale.
Notare in primo piano alcuni frati del"Capitolo" ed in
fondo, sul portone di casa, l'addobbo funebre.
Anche all' epoca, ai ricchi o a persone importanti del paese,
si faceva l'elogio funebre al cimitero, ricordando la sua
persona e le sue azioni in vita. Il poveraccio invece, se ne
andava da morto di fame, e spesso questa era la vera causa del
decesso, solo tra la disperazione dei suoi cari, che
z'avevena fa' curaggie (dovevano farsi coraggio)
tra
di loro,
a chiécchiere murte (a chiacchiere morte),
trattandosi di un funerale.
Come già detto, le condoglianze ai familiari non si
davano al cimitero. Era usanza tornare a casa del
defunto. Lì si creava una processione di persone che
saliva e scendeva le scale di casa, spesso ripide. Una parente
più stretta o qualche famiglia amica, dopo la cerimona
funebre, portava "
lu cunsole", un pranzo consolatorio
offerto ai familiari del morto, che a quel punto era bello e
sistemato, sotto tutti i punti di vista, da solo al cimitero.
Diceva Mastr'Angelo De Felice, il fabbro, a proposito della
morte: "Io non temo di morire. Quando una persona muore è una
festa. Vengono i parenti, gli amici, ti fanno visita, ti
portano i fiori". Poi concludeva: "Il bruttì è quando rimano
soli!!!", riferendosi alla prima notte della salma in
cimitero.
Come dice un detto paesano,
'Nci sta 'na spose senza
chiande e 'nci sta nu morte senza rése (Non c'è
una festa nuziale senza un momento di pianto e non c'è un
funerale senza che scappi da ridere), ma a questo punto mi è
d'obbligo lasciare la parola nuovamente a Sebastiano
Valentini.
Meglio di lui non vi potrà far ridere mai nessuno.
Video
Di questi tempi, con la pandemia non debellata, che ha
stravolto le abitudini e le consuetudini della gente, anche
je'
a lu morte (andare ai funerali) è mutato. Il protocollo
sanitario impone nuove regole, come quello di non creare
assembramenti, vietando i cortei funebri ed in modo
particolare stravolgendo il modo di esprimere le proprie
condoglianze alla famiglia del defunto. Dopo la cerimonia
religiosa in chiesa, vi è come uno sciogliere le righe e come
si direbbe in italiano arrivederci e grazie.
25 Settembre 2021